- Totò è tornato. Morbido come sempre, affettuoso più che mai, privo di spocchia com’è nella sua natura e arso di potere come è sempre stato, sovrano predistinato delle sue terre, oggi si sente ancora una volta pronto per distribuire le carte e giocarsi la partita della sua terza o quarta vita.
- Dopo i trionfi elettorali dell’anno di grazia 2001 con la sua prima incoronazione a governatore della Sicilia, dopo le sofferenze patite nel carcere di Rebibbia per avere favorito quella mafia vicina a Bernardo Provenzano, Totò “vasa vasa” Cuffaro è rientrato sulla scena politica siciliana per l’elezione del nuovo sindaco di Palermo dopo l’epoca di Leoluca Orlando.
- Mancano più di sei mesi alle amministrative ma lui è già lì in agguato. Non soltanto potrà dire la sua ma, visti i lusinghieri risultati delle comunali di tre settimane fa, farà pesare e non poco i suoi voti e il suo carisma in un luogo che non ha più riferimenti né certezze assolute.
Totò è tornato. Morbido come sempre, affettuoso più che mai, privo di spocchia com’è nella sua natura e arso di potere come è sempre stato, sovrano predistinato delle sue terre, oggi si sente ancora una volta pronto per distribuire le carte e giocarsi la partita della sua terza o quarta vita.
Dopo i trionfi elettorali dell’anno di grazia 2001 con la sua prima incoronazione a governatore della Sicilia, dopo le sofferenze patite nel carcere di Rebibbia per avere favorito quella mafia vicina a Bernardo Provenzano, Totò “vasa vasa” Cuffaro si è ufficialmente catapultato sulla scena della politica siciliana immergendosi nelle grandi manovre per l’elezione del nuovo sindaco di Palermo dopo l’epoca di Leoluca Orlando.
Mancano più di sei mesi alle amministrative ma lui è già lì in agguato. Spaparanzato in questi giorni con tutti i capi del centrodestra isolano sui divani vellutati delle sontuose sale di palazzo dei Normanni, il parlamento siciliano. Non soltanto potrà dire la sua ma, visti i lusinghieri risultati delle comunali di tre settimane fa, farà pesare e non poco i suoi voti e il suo carisma in un luogo che non ha più riferimenti né certezze assolute.
Perché la sua nuova Democrazia cristiana ha sfondato nella città agrigentina di Favara con oltre il 10 per cento dei voti surclassando Forza Italia e diventando il secondo partito. Ha piazzato consiglieri a Giarre. Ha battuto il movimento Diventerà bellissima del governatore Nello Musumeci a Caltagirone, la patria di don Luigi Sturzo, il fondatore della “sua” Dc.
Il “cuffarismo”
Come era ampiamente prevedibile e come era dato per scontato da moltissimi siciliani Totò – nonostante l’interdizione perpetua dai pubblici uffici dopo la condanna a sette anni di reclusione e nonostante un’esperienza (brevissima, tre settimane scarse) in Burundi come volontario – si è ripresentato nell’arena politica sicuro di condizionare equilibri e alleanze per la scelta del primo cittadino del capoluogo siciliano.
È passione ed è malattia di un personaggio che ha segnato un ventennio di storia siciliana. Il “cuffarismo” come fede e modello culturale, baciate di massa e un popolo di clientes in adorazione sotto la sua casa nell’elegante comprensorio palermitano di Villa Sperlinga. Favori e amici, amici e favori, padrino di battesimi in ogni contrada che aveva anche un solo elettore e un’infinità di compari sparsi per la Sicilia. Cristi crocifissi alle pareti del suo studio e tariffari della sanità regionale firmati segretamente nel retrobottega di una merceria di Bagheria.
È lui che rifà in queste settimane il “centro” in Sicilia, è sempre con lui dovranno fare i conti coloro i quali pensavano o speravano che Totò fosse oramai un vecchio arnese del passato. Totò Cuffarò è ancora il presente, il passato e forse anche il futuro, è l’attualità, la cronaca.
È l’impasto del potere come erano impasto di ricotta di pecora quei maledetti cannoli che un giorno l’hanno inchiodato mentre li trasportava su una guantiera da un tavolo all’altro, lo scatto del fotografo Michele Naccari fu implacabile, Totò i dolci li stava solo spostando ma la foto di Narccari lo immortalò come in felice festeggiamento per una condanna non di mafia in un illusorio primo grado. L’inizio della fine. Ma solo di una fine.
Sangue democristiano
Poi il ritorno, molto siciliano. La Democrazia cristiana lui ce l’ha nel sangue. Lo dice ancora oggi: «La gente è scatenata, mi chiamano in tantissimi perché hanno capito che la Dc è viva, genera entusiasmo, però dobbiamo crescere facendo tesoro del rigore morale, della trasparenza e non facendo gli errori che ho compiuto io». Magico. Come ai vecchi tempi. La folla che lo acclama, Totò che si sente un condottiero, la missione, la clientela come metodo, casa e chiesa, chiesa e casa, i dieci comandamenti, la mediazione sino all’esasperazione, la Madonna come guida.
Il suo commento al successo elettorale di ottobre spiegato in un’intervista al giornale online Catania Today: «Era da trent’anni che questo simbolo (della Democrazia cristiana, ndr) non figurava nelle schede elettorali e ha suscitato sentimenti nelle persone, sentimenti che erano latenti».
C’è da eleggere il nuovo sindaco di Palermo ma poi anche il nuovo governatore della Sicilia. Come si muoverà Totò? Come ha sempre fatto, di qua e di là, di sopra e di sotto, a destra e a sinistra o quasi a sinistra: «Noi siamo al centro». Il centro, il centro della vita, delle cose. E intanto tutti lo cercano a Palermo e Catania, ad Agrigento e Caltanissetta, tutti aspettano un suo consiglio, un suo suggerimento o una sua mossa. Dopo vent’anni da quel milionecentocinquantasettemilacentosettantotto di voti (59,1 per cento) delle regionali del 2001, Totò vuole contare ancora.
Dice che non ha più l’influenza di una volta ma mente sapendo di mentire. Dice che è «marginalizzato da tutto» ma chi sta in Sicilia sa che non è vero, dice che il voto che gli hanno consegnato «è puro ideale» ma probabilmente le cose non stanno così. Parla con l’ex ministro Saverio Romano con cui ha una lunga e intimissima frequentazione, parla con Fabrizio Ferrandelli che è uno che ha già inutilmente lanciato quattro anni fa verso la poltrona di sindaco del comune di Palermo, parla con il senatore Davide Faraone che è il riferimento di Matteo Renzi in Sicilia. Tesse la tela e tesse la trama, si prepara con una meticolosità che ad altri è sconosciuta, si sistema discretamente in un angolo per sferrare l’attacco per una rinconquista di ciò che gli spetta dopo l’inchiesta subìta dai magistrati della procura della repubblica di Palermo.
Il prescelto
Totò punta tutto su un nome, su un amico di lunga data: Roberto Lagalla. È un ex rettore dell’Univesità di Palermo che è stato assessore in uno dei suoi governi, uno che ha legami familiari e sociali nell’agrigentino – terra di origine di Totò – di un valore che i siciliani intuiscono bene, è sufficientemente spendibile, per i tempi che viviamo, per risultare un candidato buono per amministrare Palermo dopo “u’sinnacoOllando”, pronunciato o scritto tutto insieme, in una sola parola, perché Palermo e Orlando dai primi anni Ottanta sono la stessa cosa. Palermo è una città-stato.
Questi desideri e questi progetti di Totò Cuffaro vanno incontro a una sola incognita: quali sono i piani di un altro amico, o meglio ex amico, di quello che è stato uno dei simboli della Sicilia politica a cavallo fra i due secoli. Totò ha un solo ostacolo. E, paradossalmente, è un vecchio compagno di strada, uno con il quale ha diviso il pane e imparato l’arte della politica alla corte di Calogero “Lillo” Mannino, uno dei grandi della vecchia Democrazia cristiana alla vigilia del crollo della prima Repubblica.
L’incognita Lombardo
Totò deve misurarsi con l’ingordigia e con le ossessioni di un altro ex governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, anche lui “allievo” di Mannino. Escono tutti dalla stessa “scuola”, Cuffaro e Lombardo, il primo che ha già scontato la sua pena e il secondo che è imputato per concorso esterno in un processo d’appello dopo la condanna in primo grado. È il destino dei siciliani che vogliono decidere sul destino dei siciliani. La mafia.
Solo Mannino, dopo due decenni, è uscito dalle indagini sulle collusioni e da quelle sulla trattativa fra stato e mafia. Resta l’impronta, il marchio, la radice.
Cosa farà Raffaele Lombardo davanti alle ambizioni di Totò Cuffaro? Come si muoverà, come orienterà le sue truppe? Per contrastare Totò o per appoggiarlo? Seppure “nati” nella stessa culla, sono due uomini profondamente diversi. Carnale il primo, di sangue freddo come un serpente il secondo, uno dentro la Sicila più arcaica e sentimentale e l’altro più cinico e “italiano”, uno legato a occidente e l’altro a oriente, due facce di un’isola che non cambia mai.
Raffaele Lombardo non si fa sfuggire una sola parola, Totò Cuffaro si sbilancia dichiarando ai quattro venti che «non fa più politica». È Lombardo che non si rintraccia sui radar. Totò rumoroso e silenzioso insieme, l’altro enigmatico. Totò allo scoperto e Lombardo al coperto. Chissà come finirà. Totò che fa l’agricoltore e in questi giorni raccoglie fichi d’india nella sua tenuta di San Michele di Ganzeria e Lombardo che forse parla segretamente con Matteo Salvini per fare della Sicilia un’isola “libera”.
Le due facce, i due volti di una Sicilia che non sembra cambiare mai. Totò è il passato, il presente e malauguratamente anche il futuro.
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