Il presidente può utilizzare l’esito elettorale per logorare gli avversari, oppure può trasformare le divisioni a sinistra in un’occasione per il futuro. In quale direzione si dirigerà? Ecco le figure rivelatrici
Fino a che punto i macroniani potranno e vorranno dialogare con il Front populaire, lo vedremo da qui al 18 luglio, quando l’Assemblea nazionale – dove questo mercoledì i nuovi eletti hanno fatto il loro debutto – dovrà eleggere i posti chiave. Per ora pare che una qualche concertazione sia possibile, e che la priorità del campo presidenziale sia frammentare i frontisti, staccandoli dall’ala sinistra più radicale.
Il nodo per Emmanuel Macron oggi non è soltanto la formazione di un nuovo governo, ma soprattutto in che modo gli assetti attuali potranno favorire la ristrutturazione del suo campo in vista delle presidenziali del 2027. In quale direzione può dirigersi? Ecco i personaggi rivelatori.
Attal: la conservazione
Pochi ricordano che nella primavera del 2022, quando le elezioni presidenziali avevano già mostrato a Macron il progressivo collasso del suo polo in favore dei due poli dell’estrema destra e della sinistra, il presidente aveva nominato una prima ministra senza neppure aspettare lo svolgimento delle elezioni legislative. Élisabeth Borne è stata nominata a maggio; il mese seguente, le elezioni legislative hanno certificato che il campo macroniano non aveva più la maggioranza assoluta, ma solo quella relativa. Ciò non ha portato a un cambio di nome, anzi: il cambiamento in favore dell’attuale premier Gabriel Attal è intercorso solamente molto tempo dopo, e per una pura strategia elettorale di Macron.
Borne era ormai l’impopolare prima ministra della riforma delle pensioni, la Fornero di Francia, mentre Attal aveva ottimi indici di gradimento ed era perfetto per fingere un secondo 2017: nato politicamente nei socialisti, giovane e carismatico, il premier reincarna la politica «acchiappa-tutti» del macronismo delle origini. E in nome della stabilità, l’Eliseo non gli ha chiesto di restare solo per il disbrigo degli affari correnti, opzione che pure sarebbe stata a sua disposizione.
«Questo scioglimento dell’assemblea non l’ho scelto – ha detto Attal dopo i risultati del secondo turno esibendo il proprio disappunto verso la scelta del presidente – ma mi sono rifiutato di subirlo e coi nostri candidati abbiamo deciso di batterci». Vedremo quanto a lungo Macron terrà il suo alter ego a Matignon, e se intende bruciarlo politicamente o meno in vista del 2027.
Darmanin: l’ala destra
Questo lunedì il ministro degli Interni ha radunato a sé una pattuglia di eletti, circa una trentina: la sua linea è che la sinistra non ha davvero vinto e che – soprattutto – con la sinistra non si governa. Paradossale che Gérald Darmanin, lui che ha individuato negli Insoumis il nemico politico, debba la sua elezione a deputato proprio alla desistenza repubblicana operata dalla France Insoumise, che nel suo collegio era arrivata terza al primo turno e che – come da indicazioni di Jean-Luc Mélenchon – si è ritirata con lo scopo di far fronte contro il Rassemblement National.
Dato che il campo macroniano deve riassettarsi, specialmente in vista del 2027, Darmanin perfeziona in questi giorni con ulteriori arroccamenti il suo tentativo di sempre: dirottare il campo a destra. L’inizio più sfacciato era arrivato più di tre anni fa, quando il ministro era andato dicendo che sull’Islam «Le Pen è troppo morbida»: era da lì che si capiva già bene l’ambizione di Darmanin ad ala dura. Ma se non fosse bastato, lo si è visto durante la violenta repressione delle proteste per la riforma delle pensioni e di quelle ambientaliste, dallo zelo del ministro nel voler zittire o provare a chiudere associazioni e persino la storica Lega dei diritti dell’uomo; dalle leggi illiberali come quella sulla «sicurezza globale» e dalla vicinanza (simile all’obbedienza) all’ala dura dei sindacati di polizia che è arrivata a fare appelli «alla guerra civile».
Arrivato nel governo di stampo macroniano come componente sarkoziana – era portavoce di Nicolas Sarkozy – prosegue in sintonia: Sarkozy, grande sodale di Viktor Orbán, continua a dire che non è più tempo di demonizzare il Rassemblement. Per il duro della Macronie in questa fase la priorità non è governare – a meno di ancorare l’esecutivo a destra – ma differenziarsi. E capitalizzare politicamente poi.
Le Maire e Philippe: il 2027
Cosa accomuna il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire all’ex premier Édouard Philippe? Entrambi demonizzano la France Insoumise ed entrambi guardano al 2027. Perciò le loro figure sono interessanti qualora Macron decida di sfruttare questa fase non soltanto per logorare la sinistra, o per dividerla, ma anche per ricomporre il proprio campo, facendo della scomposizione dei frontisti da Mélenchon pure una occasione per rimpinguare il proprio campo con componenti centriste, magari pure socialiste.
Va notato ad esempio che Le Maire abbia invocato esplicitamente, in questa fase elettorale, un «campo socialdemocratico»: proprio il «campo socialdemocratico» è ciò che dice di voler costruire, dal lato dei frontisti, Raphaël Glucksmann, che pure maltollera Mélenchon. Le Maire va pure dicendo che la sinistra della France Insoumise porterebbe il paese sul baratro economico: insomma, che i frontisti se ne liberino, favorendo così il dialogo, è il messaggio.
Édouard Philippe ha esibito protagonismo non appena le urne si sono chiuse, già al primo turno, indicando che la sinistra dovesse esser da aborrire così come l’estrema destra. Noto come l’eterno sindaco di Le Havre, è stato un supporto fondamentale per Emmanuel Macron quando – ancora fresco di incarichi politici – era arrivato alla presidenza nel 2017 e gli serviva un primo ministro esperto. Philippe, che in biografia aveva pure di esser stato alto funzionario, era perfetto. E aveva pure un’altra dote: la provenienza socialista, e poi la giravolta verso destra, insomma una storia politica perfetta per il presidente “uomo nuovo” che doveva acchiappare centristi d’ogni sorta.
Adesso che il campo è logoro e i poli a destra e sinistra crescono nel consenso, l’unico modo per dare al macronismo un futuro dopo Macron è emanciparsi dal presidente scomodo. Dal 2021 nel quale Philippe ha creato la sua formazione, Horizons, lui guarda appunto all’orizzonte, anzitutto il proprio nel 2027.
© Riproduzione riservata