- Quando i tabelloni dell’Europarlamento proiettano il voto finale e rivelano che la Nature restoration law ha avuto il via libera, nell’aula di Strasburgo deflagrano applausi e urla, proprio come quando un ostaggio – in questo caso il Green Deal tenuto in scacco dalle destre – viene liberato.
- La storia della legge sugli ecosistemi è un vero thriller politico. C’è lo sfidante Weber, che tiene in ostaggio il clima. Ci sono i mediatori, come Nils Torvalds, che provano a risolvere «il cubo di Rubik». Ci sono vincenti e perdenti.
- La Nature restoration law ottiene il via libera ma esce depotenziata dall’assalto delle destre.
Quando i tabelloni dell’Europarlamento proiettano il voto finale e rivelano che la Nature restoration law ha avuto il via libera, nell’aula di Strasburgo deflagrano applausi e urla, proprio come quando un ostaggio – in questo caso il Green Deal tenuto in scacco dalle destre – viene liberato.
La storia della legge sugli ecosistemi è un vero thriller politico, anche perché in realtà in questa storia gli ostaggi sono due; ma il secondo si scopre solo sul finale.
Weber lo sfidante
Partiamo dall’inizio. Manfred Weber è il leader dei popolari europei ed è il grande normalizzatore delle destre estreme: più si avvicina a Giorgia Meloni e ai sovranisti, più prende nel mirino il clima.
La Nature restoration law si trasforma così da proposta di legge sull’ambiente a simbolo di uno scontro politico. Weber impone al Ppe di sottrarsi del tutto ai negoziati, e non potendo attaccare direttamente la presidente della Commissione europea – perché Ursula von der Leyen è una cristianodemocratica come lui – scaglia le destre di ogni sfumatura contro Frans Timmermans, il socialista che in Commissione ha la delega al Green Deal.
Nel trasformare la legge sugli ecosistemi in un test di compattezza delle destre, Weber fa anche altro: anzitutto polarizza il dibattito sul clima, tanto che a fargli opposizione deve calare a Strasburgo Greta Thunberg in persona. E poi detta l’agenda in vista delle europee: pur sapendo che il Ppe è destinato a perdere consensi, si atteggia da uomo chiave. Sfonda il cordone sanitario verso le destre estreme, e puntando su questo nuovo asse prende a spintoni la legge per il clima.
La tiene in ostaggio, decide persino quali eurodeputati del suo partito devono partecipare alla commissione Ambiente. Costringe le famiglie politiche progressiste a reagire e quindi a giocare in difesa. Fa l’attaccante.
Il cubo di Rubik
Weber sa bene che la miglior difesa è l’attacco. «Posso capire che i popolari si siano sentiti messi nell’angolo», dice il finlandese Nils Torvalds. Lui è il padre di Linus – l’inventore del sistema operativo Linux – ed è anche uno dei componenti storici del gruppo liberale all’Europarlamento.
All’appuntamento per l’intervista, poco prima che inizi il voto sulla legge, Torvalds non arriva camminando. Lui corre. «Sono qui come promesso, ma nel frattempo devo mandare messaggini, fare telefonate, la mediazione è ancora in corso».
La mediazione serve a impedire il piano di Weber, che vuole far saltare del tutto la legge, e il compito è arduo: bisogna anzitutto ricomporre i liberali. Renew è spesso divisa sul clima, e lo è ancor di più da quando le destre hanno preso di mira il centro per penetrare quel fronte in vista del 2024. Inoltre bisogna assicurarsi che ci siano maggioranze sugli emendamenti e poi sul voto finale: Torvalds parla con tutti, Ppe compreso.
«Noi finlandesi siamo abituati a essere minoranza e a essere pragmatici: ecco perché sappiamo mediare», dice. E aggiunge: «Si tratta di un equilibrio complesso, è come un cubo di Rubik; a ogni emendamento e a ogni mossa bisogna prevedere come si muoveranno i vari gruppi, per poter infine ricomporre tutto il quadro».
Chi perde e chi vince
A mezzogiorno comincia il duello. Weber ha messo tutto il suo peso politico sul rigetto della legge, ma il piano più aggressivo viene sventato. Per il rigetto votano le destre – popolari, conservatori ovvero meloniani, sovranisti Lega compresa – e pure una fetta di liberali, compresi i terzopolisti nostrani. Ma la maggior parte di loro vota contro – il che significa che la mediazione sta funzionando – e soprattutto Weber non riesce ad avere il controllo totale sul Ppe.
Quindici popolari votano in modo difforme, e il rigetto salta: il grande sfidante Manfred Weber si ritrova gran perdente. Al momento di risponderne ai cronisti invita a «non personalizzare» uno scontro che lui stesso aveva personalizzato.
Ma il cubo di Rubik non è una manovra semplice, è un frenetico giro di mano. Anche se i liberali hanno sventato il rigetto, propongono poi un emendamento chiave che schiaccia la proposta di legge sulla versione preferita dai governi (cioè dal Consiglio Ue). La mossa serve sia a spingere gli eurodeputati alla lealtà verso i loro governi, che a compensare le spinte centrifughe dentro Renew stessa. Passa questo emendamento, e passa anche qualche emendamento proposto dai conservatori: in questo modo, la legge viene sia fiaccata che dirottata verso destra.
A questo punto il cubo di Rubik si compone, e si va al voto finale sul testo. Che passa, con una maggioranza a trazione progressista che tiene insieme i socialisti, sinistra e verdi, molti liberali e qualche popolare. «Il fronte delle destre si sta sgretolando», esulta il capodelegazione Pd Brando Benifei, mentre la capogruppo socialista Iratxe García Pérez dichiara «vittoria». Ma continua a pietire la redenzione di Weber: «La nostra porta è aperta se i popolari vorranno tornare al tavolo».
© Riproduzione riservata