- La costruzione del nuovo muro andrà avanti «senza sosta». La banca nazionale varerà d’urgenza la moneta dedicata alla “Difesa del confine”. «La retorica del governo polacco lo ha condotto in un circolo vizioso dal quale è sempre più difficile che esca», dice Piotr Buras.
- La crisi umanitaria sarebbe gestibile, ma né Varsavia né l’Ue intendono farlo: preferiscono un’Europa fortezza. Mentre non esitano a respingere chi cerca protezione, non interrompono invece il flusso di merci sul quale Lukashenko lucra.
- La deterrenza economica può disinnescare Minsk, ma Polonia e Germania per prime non vogliono pagarne i costi. Il villaggio di Małaszewicze è anch’esso luogo di frontiera a Est. Ma poiché apre a beni e non a persone, il terminal rimane attivo, e anzi ne è pianificata l’espansione.
Il bollettino è di guerra: la guardia di frontiera polacca conta le migliaia di migranti incolonnate al bordo della Bielorussia e dice che «tenteranno di forzare il confine». Il governo dà dettagli freschi sul nuovo muro ipertecnologico e precisa che per costruirlo non si fermerà un attimo: «Avanti 24 ore su 24!». Il gruppo di Visegrad annuncia supporto e la Nato è allertata. Il parlamento polacco è pronto a discutere le nuove regole di emergenza; persino la banca nazionale sancisce e celebra il clima di conflitto. Dopo aver previsto una moneta di commiato dedicata a Lech Kaczynski, il gemello del leader del Pis Jaroslaw, ora la zecca prepara un altro gioiellino da collezione: la moneta “Difesa del confine orientale polacco”, da inaugurare con procedura d’urgenza.
L’Unione europea a sua volta dà il via a nuove sanzioni contro la Bielorussia, artefice di «guerra ibrida» migratoria. C’è però un dettaglio nascosto dentro una situazione sicuramente complessa: la Polonia, e l’Ue, avrebbero gli strumenti per disinnescarla. Uno è quello di gestire la crisi umanitaria, l’altro è quello di colpire davvero sul piano economico la Bielorussia. Ma si rifiutano di usarli, e continuano nella strada che ha portato all’escalation odierna. «La retorica del governo lo ha condotto in un circolo vizioso dal quale è sempre più difficile che esca», dice Piotr Buras, che dirige il bureau di Varsavia dello European Council on Foreign Relations.
L’economia intoccabile
Ieri i ministri degli Esteri dell’Unione europea, durante il Consiglio Ue, hanno dato il via libera a un ampliamento delle sanzioni contro la Bielorussia: ora potranno essere mirate anche contro «individui ed entità che organizzano o contribuiscono alle attività del regime di Lukashenko volte a facilitare l’attraversamento illegale delle frontiere esterne dell’Ue». La misura è pensata ad esempio per le compagnie aeree che consentono il trasbordo di migranti verso i confini polacchi, lettoni, lituani, e la lista dei sanzionati sarà definita nei prossimi giorni. La ratio è chiara: impedire il transito di migranti verso il confine orientale europeo. Fino a mercoledì la stessa Turchia, lautamente finanziata dall’Ue per trattenere entro il suo territorio i rifugiati, con Turkish Airlines operava due voli al giorno da Istanbul a Minsk. La russa Aeroflot fa persino quattro voli al giorno verso la capitale bielorussa. Lukashenko ha reagito alle sanzioni provocando: perché non far volare i migranti direttamente verso Monaco di Baviera?
L’iperattivismo dell’Ue, e della stessa presidente della Commissione, per disincentivare i voli e il trasferimento di migranti non è accompagnato però da una radicale deterrenza economica nei contronti di Minsk. C’è infatti una opzione che Varsavia e Bruxelles potrebbero usare nei confronti di Lukashenko, e che tuttavia non osano. Invece di concentrarsi sul blocco degli arrivi dei richiedenti asilo, che Bielorussia e Russia usano come strumenti di pressione, l’Europa potrebbe colpire le merci e quindi i profitti.
L’altra frontiera è aperta
Il villaggio di Małaszewicze è anch’esso luogo di frontiera: si trova a Est della Polonia, verso la Bielorussia. Ma poiché deve aprire a beni e non a persone, quel terminal rimane attivo, e anzi ne è pianificata l’espansione. Nove su dieci delle merci in transito dalla Cina all’Unione europea, fin verso la Francia, la Germania e altri paesi, passano proprio da questa porta. Siccome le infrastrutture ferroviarie utilizzate per il passaggio merci sono pure bielorusse, Lukashenko beneficia economicamente di quei transiti. Ma chiudere il passaggio dei beni avrebbe un impatto anche sulle economie europee, Varsavia e Berlino per prime; ed è proprio per questo che il consenso sul tema, in Ue, non c’è.
«Imporre sanzioni ben più dure delle attuali sarebbe importante», dice Piotr Buras di Ecfr Varsavia. «Ma i paesi che dovrebbero essere i più interessati strategicamente a imporle, cioè Polonia e Germania, sono pure quelli che non le vogliono perché comporterebbero danni immediati anzitutto per loro». La stessa partita del gas, sulla quale sia Vladimir Putin che il sodale Lukashenko sfruttano il loro potere di ricatto verso un’Europa in crisi bollette, è anche eredità della politica pragmatica tedesca; la stessa che ha garantito a Putin, con Merkel, di concludere il piano Nord Stream 2.
La crisi umanitaria
Intanto le notizie che filtrano, in un confine dove il governo polacco non consente ai giornalisti di vigilare, sono di migranti intrappolati all’addiaccio tra le due frontiere; di almeno nove morti certi, di bambini spersi nei boschi. Il governo polacco invita per sms a «non accettare pillole» dai soldati bielorussi, il riferimento è al metadone per resistere al freddo.
Per il Pis il migrante è bersaglio retorico dal 2015 della crisi siriana, quando Kaczynski diceva che «portano malattie». In questa crisi qui, il governo ha trasformato in legge i respingimenti illegali e innalza muri, in piena sintonia con la visione di “Europa fortezza” dei governi europei e di Bruxelles. Di più: la capacità di Varsavia di tener fronte agli arrivi è vista come una prova di forza con l’Ue, la dimostrazione della propria indispensabilità. Ma questa strategia «rischia di rivelarsi un boomerang, perché alla lunga questa crisi umanitaria sarà un’onta ingestibile per la Polonia. Invece gli arrivi in sé – dice Buras – sono del tutto gestibili: negli anni Novanta il mio paese ha accolto senza problemi quasi 100mila ceceni in fuga».
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