- I soldati bielorussi spingono i migranti dal lato europeo del confine. La politica di frontiera polacca è in sintonia con quella di Europa fortezza. Perché quindi la Polonia non chiede aiuto a Frontex?
- La prima ragione si chiama “rally ‘round the flag effect”: se c’è un nemico esterno c’è anche la “stretta attorno alla bandiera”, e per una Varsavia che con Polexit si è auto-isolata, ora è importante che quella bandiera sia polacca.
- Inoltre rivolgersi all’agenzia significa dover coinvolgere altri, e Varsavia vuole agire indisturbata. Poi c’è la prova di forza: le truppe polacche sono molte più di Frontex, dice il governo. La difesa della frontiera diventa arma negoziale da far pesare a Bruxelles.
Mentre i soldati bielorussi tagliano il muro di filo spinato e spingono i migranti dal lato polacco – dunque europeo – del confine, Bruxelles ancora non si capacita che la Polonia non abbia sùbito chiesto aiuto all’agenzia europea Frontex. Eppure la ragione primaria risiede nelle regole della scienza politica: quando c’è un nemico esterno, la nazione si stringe attorno alla bandiera. Si chiama “rally ‘round the flag effect”, e i governi ormai lo conoscono così bene che molto spesso il nemico, se non c’è, lo costruiscono. La “stretta attorno alla bandiera” serve a portare consenso al leader e, viceversa, a spegnere il dissenso. E adesso, per una Varsavia che è vittima del suo stesso auto-isolamento rispetto all’Ue, è importante che quella bandiera sia polacca, non europea. Una prova di forza di Varsavia, in un contesto di sostanziale affinità: la politica di frontiera polacca è comunque perfettamente in sintonia con quella di Europa fortezza praticata sia dalla commissione che dai governi europei. C’è poi un’altra ragione per non chiedere aiuto: coinvolgere una agenzia europea, seppur una che non si è distinta per il rispetto dei diritti, significa condividere decisioni, responsabilità e occhi che guardano. Il governo polacco invece preferisce agire indisturbato. Berlino non si rassegna a questo scenario, anche perché – stando al ministro degli Interni Horst Seehofer – molti arrivi dalla Bielorussia finiscono in Germania, ed ecco perché sarebbe preferibile una truppa comune alla frontiera.
Una prova di forza
«Dobbiamo essere pronti a rischi che non abbiamo ancora immaginato», ha detto oggi il premier polacco davanti ai parlamentari riuniti nella Sejm per parlare della crisi al confine. «Ora abbiamo bisogno di unità, e lo dobbiamo alle generazioni passate che hanno versato il loro sangue. Lo dobbiamo alla Polonia». Unità di fronte alla minaccia esterna: il “rally ‘round the flag”, appunto. Per il partito di governo, dietro le azioni bielorusse alla frontiera c’è la Russia di Vladimir Putin, e difendendo il confine polacco, Varsavia si sta facendo carico di difendere tutta l’Unione europea. La questione è: ma perché allora non chiedere l’intervento diretto dell’Ue al confine? Il regolamento Ue numero 1896 del 2019 dice che «in casi di sfide specifiche e sproporzionate alle frontiere esterne, l’agenzia, di propria iniziativa e con l’accordo dello stato membro interessato, o su richiesta di tale stato, dovrebbe organizzare e coordinare interventi rapidi alle frontiere e inviare squadre del corpo permanente e attrezzatura tecnica». Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex, si è detto «impressionato» dalle misure già intraprese dal governo polacco, quando ha visitato il confine neanche un mese fa, assieme al sottosegretario polacco Bartosz Grodecki. Del resto Frontex a Varsavia è di casa: ha la sede lì. E la Polonia, perché non ha chiesto un intervento dell’agenzia? Il governo polacco tiene a ribadire che è più forte lui, e che è semmai Varsavia che deve aiutare l’Ue, non viceversa: «Frontex ha 1300 funzionari, la guardia di frontiera polacca ha 16mila ufficiali», dice Maciej Wąsik, viceministro dell’Interno. Non a caso il premier Morawiecki si fa fotografare all’alba mentre dà la benedizione governativa alle truppe al confine, e ringrazia «i nostri soldati e ufficiali a guardia del confine: vigilano sulla sicurezza dei polacchi».
Agire indisturbati
L’agenzia Frontex è finita nelle inchieste sia dei giornalisti che degli europarlamentari per aver praticato respingimenti illegali; il governo polacco dal canto suo ha di recente trasformato in legge i respingimenti di chi vorrebbe chiedere protezione. Ma al di là di questa comune visione di Europa fortezza, nel momento in cui uno stato chiede l’intervento dell’agenzia europea deve anche concordare con essa un piano di intervento. Le operazioni congiunte con altri stati membri implicano un loro coinvolgimento. Varsavia invece non vuole coinvolgimenti né controlli alcuni: ne è prova lo stato di emergenza istituito a cominciare da questa estate, che istituisce una vera e propria «zona cieca» fino a tre chilometri dal confine, dove né i media né le ong e neppure gli stessi deputati possono esercitare alcun tipo di vigilanza.
Potere di trattare
Le tensioni con Bruxelles su Polexit, i fondi europei che non arrivano: in questo contesto, il governo di Varsavia ha buon gioco a usare il ruolo svolto al confine come argomento negoziale. Da settimane il ministro dell’Interno tedesco Seehofer, allarmato dalla penetrazione di migranti dalla Bielorussia fin verso la Germania, offre a Varsavia truppe condivise e sostegno in Ue. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel domani vola da Berlino a Varsavia: incontra Morawiecki.
© Riproduzione riservata