«La patria ha bisogno di voi». Alla vigilia del Consiglio europeo sulla difesa, l’Eliseo parla alla nazione. Intanto Trump, dopo aver ricattato Zelensky con lo stop ad aiuti e intelligence, prepara una tregua. Che a detta di Macron stesso sarà fragilissima
«La patria ha bisogno di voi». Prima di raggiungere gli altri leader europei per il Consiglio straordinario sulla difesa, Emmanuel Macron ha parlato alla nazione in diretta televisiva.
L’obiettivo? Prepararla alla militarizzazione della nazione, della politica, dell’economia e persino dell’opinione pubblica: «Le forze armate sono in capo al presidente», cioè Macron stesso, e d’ora in poi nessun dominio della politica, «dall’agricoltura alla dialettica sindacale», sfuggirà al «nuovo contesto, che cambierà tutto». Il momento esige «decisioni senza precedenti».
L’Eliseo argomenta così: «L’aggressività della Russia non conosce frontiere, chi può credere che si fermerà all’Ucraina? È una minaccia per la Francia e per l’Europa». Dunque «dobbiamo continuare ad aiutare l’Ucraina a resistere e prepararci a un sostegno nella durata, forse a forze europee». Perciò «la prossima settimana riunirò a Parigi i capi di stato maggiore degli altri paesi impegnati per Kiev, e per quanto io voglia credere che gli Usa resteranno al nostro fianco, dobbiamo essere pronti se così non sarà».
Tra i piani macroniani, condivisi da molto tempo con i cristianodemocratici tedeschi e che ora tornano in superficie, c’è quello di usare l’ombrello nucleare “fabriqué en France” per il resto d’Europa. L’emergenza trumpian-putiniana fa da innesco a quella «economia di guerra» che l’Eliseo preparava e nominava da tempo.
Piani di tregua
La propaganda della pace di Donald Trump somiglia tremendamente alla teoria della vittoria di Vladimir Putin. Dopo il tentativo di umiliare Volodymyr Zelensky nello studio ovale, gli Stati Uniti hanno proseguito col ricattarlo un passo dopo l’altro: prima lo stop agli aiuti statunitensi, poi un blackout dell’intelligence e addirittura il divieto ai propri alleati di aprire porte sulle informazioni così cruciali in un assetto di guerra. «Abbiamo messo in pausa per una verifica tutto quel che riguarda la nostra relazione in fatto di sicurezza», ha confermato il consigliere per la sicurezza trumpiano Michael Waltz.
Ciò che Giorgia Meloni ripeteva con solerzia prima che la Casa Bianca cambiasse inquilino e che lei diventasse ben più silenziosa, e cioè che solo da una posizione di forza si può negoziare una pace giusta, fa intendere che la “pace” che Trump apparecchia non sarà né giusta né duratura. Zelensky lo sa, e infatti aveva preteso garanzie di sicurezza prima di un qualsiasi accordo o cessate il fuoco. Ma «you don’t have the cards» (non hai potere contrattuale), gli ripeteva Trump, che ha stretto la corda e lasciato agli europei il resto.
Già dal tavolo di Riad, era chiaro che Trump intendesse forzare un cessate il fuoco, e che Putin sognasse poi di destituire Zelensky con liturgia elettorale, discutendo gli assetti con un leader compiacente. Ed è evidente che Trump sta assecondando non certo Kiev (che chiedeva di coprirle le spalle) ma Mosca: solo dopo un cessate il fuoco si parla di eventuali impegni, è la sua linea. L’interlocuzione tra Casa Bianca e Cremlino è ripetuta. La prospettiva del logoramento degli europei sul campo ucraino si fa concreta.
Uno Zelensky letteralmente disarmato (in pausa aiuti e informazioni militari) deve ora parlare di cessate il fuoco, annunciare che le squadre di Kiev e Washington sono pronte per tornare a parlarsi. Musk fa meme-bullismo: «Uomini forti fanno tempi fortunati», scrive, rilanciando un meme in cui si dice che quando Trump vuole che un leader estero faccia qualcosa se ne esce «con qualcosa di iperbolico e il leader in questione (Zelensky) cede così che Trump ottiene concessioni». Il commentatore britannico Jon Sopel nota che «per l’America oggi gli uomini forti sono tre: Putin, Trump e Xi»: è come se Trump immaginasse «tre sfere di influenza, con l’Europa sotto quella russa. La percezione è che l’America voglia, che l’Europa fallisca».
Le mosse dei leader europei
E in tutto questo, che fine fa l’indignazione esibita dai vari leader europei, che Zelensky ha incontrato freneticamente e bilateralmente, e che giovedì vede a Bruxelles? A detta di Trump, tra la Casa Bianca e gli europei in realtà «tutto fila liscissimo». In un gran teatro di incontri che sono para-negoziati, le allerte su Kiev fanno da cornice perfetta al piano di riarmo dell’Ue, ma come von der Leyen stessa ha confermato nella lettera ai leader in vista del summit, «forti relazioni con gli Usa sono uno degli obiettivi primari».
Giovedì 6 marzo i capi europei si incontrano per il tanto atteso Consiglio straordinario sulla difesa, convocato dopo una serie di incontri intergovernativi franco-londinesi e faccia a faccia bilaterali: perché arriva pur sempre il momento in cui l’Unione deve tirare le fila, non foss’altro che per discutere una pratica: quel piano di “ReArm” per il quale von der Leyen conta proprio sul Consiglio, scavalcando il Parlamento europeo con la leva emergenziale dell’articolo 122 del trattato TFUE, anche se il dossier le era stato chiesto dai leader già un anno fa e i contenuti e gli strumenti riflettono una mutazione portata avanti ormai da anni. Ora che un’emergenza c’è, tutto è concesso o almeno così la presidente spera; lo ha anche detto questo mercoledì ai capigruppo del Parlamento europeo.
«Gli aiuti a Kiev non sono in discussione, ma altra cosa è la difesa e sicurezza europea: implica un programma meditato di investimenti in infrastrutture militari, non va fatto in fretta e furia e senza logica; peraltro i missili non si comprano al supermercato, servono investimenti pluriennali», ha detto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, mentre Giorgia Meloni esulta sulle deroghe al patto di stabilità per la difesa e prova a riportare gli alleati leghisti nell’alveo della propria linea. Nel frattempo la Germania, paese dal quale il nostro indotto dipende, si è già fiondata su difesa e infrastrutture: il futuro cancelliere Friedrich Merz, a Bruxelles già dalla vigilia per incontrare il segretario Nato Mark Rutte, si coordina con chi rappresenta Berlino al summit e cioè Olaf Scholz.
Ma soprattutto, è venuto a patti coi socialdemocratici sul piano di liberare qualcosa come un migliaio di miliardi per difesa e infrastrutture, levando a tal fine pure il freno al debito. In questo contesto, i tre miliardi da poco annunciati da Merz come possibile integrazione di aiuti agli ucraini paiono quasi briciole: i governi europei stanno pensando a riorientare le loro economie verso quella «economia di guerra» che Macron preannunciava già tempo fa.
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