Il futuro cancelliere lavora a un mega fondo per la difesa e i leader Ue si preparano al Consiglio sulla difesa; boom in borsa per i colossi militari. Trump, felice di scaricare la sicurezza, progetta tranelli con Putin. Alla iperattività di spesa degli europei non corrisponde un piano condiviso di emancipazione politica da Trump
Friedrich Merz deve ancora diventare cancelliere e già prova a mettere a segno un esborso per la difesa che può superare i 400 miliardi. Emmanuel Macron, che con lui prende accordi, pensa a un fondo intergovernativo, perché sulle spese militari il duo francotedesco – pur di andare in corsa – non esita a pensare a un’Europa a doppia velocità. La presidente di Commissione europea che aveva chiesto un secondo mandato indossando il giubbino da guerra nel video elettorale lascia intendere che giovedì, durante il Consiglio europeo speciale, sentiremo detonare fuochi d’artificio. Sulle spese militari prepara il colpaccio da molto tempo ma adesso – per citare una sua espressione – «i pianeti si allineano» e quindi nel libro bianco della Commissione e nella bozza dei leader entra di tutto, dalle elasticità sul debito che prima parevano impronunciabili alla compressione degli iter democratici – «mentalità emergenziale!», aveva preannunciato von der Leyen – fino alla deviazione di fondi strutturali, nati per ridurre i divari, sulla difesa.
Mentre a livello globale le istituzioni multilaterali sono sotto attacco, tra i leader europei si anima l’idea di creare una banca multilaterale, ma al fine del riarmo: la «banca del riarmo», idea che circola e che piace già da settimane a governi come quello polacco, grande acquirente di armamenti Usa peraltro. Con una simile cornice politica, la eccitazione che si registra sui mercati è pavloviana: questo lunedì in borsa i colossi dell’industria militare sono schizzati in alto. Leonardo e Thales verso il più 17 per cento, Rheinmetall sopra il più 15, BAE Systems quasi 14. Big che hanno come capitali di riferimento Roma, Parigi, Berlino, Londra, paesi e governi in prima fila in questa fase di mutazione del progetto europeo.
L’operazione di bullismo politico recitata da Trump e Vance nello studio ovale ha stimolato l’orgoglio europeo ma ha anche indirettamente confermato che gli Usa sono pronti a lavarsi le mani delle sorti dell’Ucraina e che sarebbero ben felici di scaricare il terreno minato agli europei: la corsa europea al riarmo apparentemente fa felice la Casa Bianca, che insiste sulle spese al 5 per cento del Pil, e rischia di avvenire non a dispetto delle prepotenze di Washington ma assecondandole. Alla iperattività operativa e di spesa degli europei non corrisponde infatti un piano condiviso di emancipazione politica da Trump e dai suoi piani, per quanto alcuni – come Merz sùbito dopo la vittoria – abbiano detto esplicitamente che l’Europa dovrà iniziare a pensarsi sganciata dagli Usa trumpiani.
Il danno e la beffa
Anche i leader che appaiono più attivi sul piano negoziale, come il premier britannico e il presidente francese, stanno facendo di tutto per trovare un accomodamento con Trump. «Il suo impegno per la pace è sincero e resta il nostro principale alleato», ha dichiarato Keir Starmer questo lunedì, mentre Trump riponeva questa sua «sincerità» nel sostenere a sua volta che Putin voglia la pace e Zelensky no. La «coalizione di volonterosi» europea vede in Starmer uno dei grandi volonterosi, e il gran volonteroso è pure gran pacioso con Trump.
«Pare quasi che gli europei stiano concertando le mosse con Kiev e la Casa Bianca con il Cremlino, dunque è come se l’Europa e gli Usa stessero negoziando tra loro in nome l’uno dell’Ucraina e l’altro di Mosca», nota Dave Keating, cronista americano di stanza a Bruxelles.
Sin dal giorno del tavolo Usa-Russia a Riad, è apparso che il presidente Usa stesse facendo pressione per esautorare Zelensky, ricalcando il piano putiniano di elezioni dopo il cessate il fuoco. L’idea fatta trapelare nel weekend da Macron, e che Londra tiene a chiarire che non sia «un piano già collaudato», viene ora presentata come un piano europeo ma combacia in realtà con la scaletta trumputiniana: prima cessate il fuoco, poi si vedrà. L’unica richiesta cruciale che sia Macron che Starmer dicono di aver fatto a Trump (e cioè che gli Usa svolgano un ruolo di deterrenza) non sta affatto ottenendo il via libera di Trump, che nel frattempo continua il suo ricatto: «Ah, Zelensky dice che la fine della guerra è lontana? Ma come, gli europei nell’incontro con questo tizio gli avevano pure detto che non possono cavarsela senza gli Usa!». Insomma, se la vedano gli europei con questo Zelensky che non vuole abbassare la testa, è il concetto trumpiano.
Ma soprattutto: se la vedano loro con la sicurezza. «Gli Usa accolgono con favore che gli europei assumano un ruolo di guida nella loro sicurezza, ma che investano nelle proprie capacità per poterlo fare!» (parole di Mike Waltz, consigliere per la sicurezza di Trump, ma concetti di Trump stesso ovviamente).
Mentre Washington scarica la (in)sicurezza agli europei, nell’esaltazione di corporation e leader, e nel sacrificio di welfare e coesione, intanto il dialogo tra Casa Bianca e Cremlino riprende al punto che si ipotizza una riattivazione di Nord Stream 2 con gli Usa a gestire (e lucrare su) le forniture all’Europa. E dire che erano stati proprio gli Usa a fare di tutto perché quel progetto non fosse concluso, anche prima che la guerra si infiammasse. Oltre al danno, la beffa. «L’Europa ha speso di più per comprare energia russa che per difendere Kiev», attacca Trump.
© Riproduzione riservata