- In quella stessa reggia dove nel 2017 da neoeletto Macron ha ricevuto Putin, ora nei giorni del conflitto in Ucraina i leader europei riuniti in Consiglio pensano alla direzione da dare all’Ue.
- Aleggia, nei corridoi di Versailles come in quelli dell’Europarlamento di Strasburgo, una sensazione nitida: che la guerra in Ucraina possa essere il momentum per spingere verso una nuova architettura europea proiettata verso militarizzazione e «difesa comune». La tentazione di utilizzare lo spartiacque della guerra per una svolta di questo tipo è così forte che si torna a parlare di una convenzione che porti a una riforma dei trattati.
- C’è poi il tema della vulnerabilità energetica: si lavora a un compromesso su tempi e modi per ridurre la dipendenza da Mosca. Quanto alle risorse, sulla scia di ciò che è avvenuto con la pandemia – e cioè l’indebitamento comune - la Francia, in sintonia con Roma, spinge per sostenere indipendenza energetica e difesa con modalità simili.
Quando la Francia ha assunto la presidenza di turno in Europa, Emmanuel Macron ha messo in conto un invito ai capi di stato e di governo a Versailles. L’invasione dell’Ucraina non era ancora iniziata. La due giorni di Consiglio europeo cominciata questo giovedì pomeriggio è diventata un Consiglio di guerra, con l’aggressione come tema di fondo, e l’obiettivo di concordare la direzione politica sotto la pressione del conflitto.
Architettura bellica
Nell’invito alla riunione informale, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non a caso avverte i leader che «bisogna rafforzare le nostre capacità di difesa». Aleggia, nei corridoi di Versailles così come in quelli dell’Europarlamento di Strasburgo, una sensazione nitida: che la guerra ucraina possa essere il momentum per spingere verso una nuova architettura europea, più bellica, proiettata verso la militarizzazione e la «difesa comune». Già l’esodo dall’Afghanistan era stato considerato, tanto dai colossi dell’industria militare francese e italiana quanto da Bruxelles, come il momentum (proprio questa parola è stata usata quest’estate dall’alto rappresentante Ue Josep Borrell). Ora la tentazione di utilizzare lo spartiacque della guerra per una svolta di questo tipo è così forte che si torna a parlare di una convenzione che porti a una riforma dei trattati. Così la conferenza sul futuro dell’Europa, che è in corso e che finora è stata tenuta sotto traccia, diventa d’un tratto il possibile trampolino di lancio per un simile progetto. L’idea gode di un consenso piuttosto trasversale, almeno tra popolari e socialisti.
Versailles e Putin
Il primo gennaio, quando è iniziata la presidenza francese, nessuno avrebbe con ogni probabilità ricordato che Versailles è un luogo simbolo delle relazioni con la Russia. Simboleggia infatti un fallimento: quello del presidente Macron, che appena eletto nel 2017, proprio in quel luogo maestoso ha ricevuto Vladimir Putin «come lo zar Pietro il grande».
Era maggio di cinque anni fa, e l’eco delle tentazioni imperiali del presidente russo era già palpabile: Putin ricordava le settimane passate dallo zar in Francia, Macron lo riceveva con tutti gli onori. Da allora l’Eliseo ha insistito sulla necessità del dialogo con il Cremlino, e oggi che quel dialogo non risponde alle aspettative, Macron continua tuttavia a mantenere la linea telefonica aperta con Putin. Giovedì il presidente francese, assieme al cancelliere tedesco Olaf Scholz, nell’ennesima telefonata al presidente russo ha chiesto ancora una volta il cessate il fuoco. Intanto un ex cancelliere tedesco, Gerard Schröder, è a Mosca per incontrare Putin, con la velleità di mediatore, mentre da Berlino il governo dice di non saperne nulla.
A settembre 2005, due settimane prima di lasciare la cancelleria, il socialdemocratico Schröder ha siglato con Mosca l’accordo per Nord Stream 2; il mese dopo, era lui stesso al soldo di Gazprom. Proprio i rapporti «pragmatici» intrattenuti a lungo dai leader europei con Putin, e l’effetto diretto della dipendenza energetica dalla Russia, finiscono in qualche modo nell’agenda dei governi.
Energia e vulnerabilità
Il 45 per cento delle importazioni di gas in Ue viene dalla Russia, che è pure il paese di rifermento per l’import di petrolio (27 per cento) e carbone (46 per cento). «Siamo troppo dipendenti dalla Russia», ha detto il commissario Ue Frans Timmermans martedì, mentre presentava i piani della Commissione: ridurre le importazioni di gas di due terzi entro la fine del 2022.
Bruxelles ha aperto su alcuni punti chiave: acquisti comuni (un po’ come è avvenuto coi vaccini), meccanismi di solidarietà anche per lo stoccaggio, e procedure semplificate per gli aiuti di stato, anche per accelerare sulle rinnovabili.
Ai capi di stato e di governo spetta ora prendere in mano il dossier, tenendo conto di posizioni divergenti, fosse per i paesi baltici bisognerebbe bloccare le importazioni da Mosca; Berlino su questo ha messo il freno. Versailles è quindi il luogo del compromesso, per emanciparsi dalla Russia con modalità che tengano insieme tutti. «Le decisioni che prenderemo qui, e il mandato che daremo alla Commissione in vista di fine marzo – dice Macron – riguardano anzitutto la volontà di proteggere i cittadini dall’aumento dei prezzi: la Francia li ha già bloccati; si può intervenire a livello europeo». C’è poi da concordare la tempistica per ridurre la dipendenza energetica da Mosca, «sempre che non sia Putin a decidere i tempi per noi», dice l’Eliseo alludendo a possibili ritorsioni.
Risorse comuni
Sulla scia di ciò che è avvenuto con un altro shock esogeno – la pandemia – e cioè l’indebitamento comune, la Francia spinge anche per sostenere la strada dell’indipendenza energetica, e della difesa, con modalità simili. Sull’idea di finanziare questi sforzi economici attraverso un debito comune a livello europeo, il premier Mario Draghi ha detto giovedì che «Italia e Francia sono completamente allineate». Intanto Valdis Dombrovskis, il vicepresidente della Commissione Ue noto per le sue posizioni da falco, prima ancora che i leader si incontrassero ha lanciato un messaggio che equivale a un freno: prima di pensare ad altri prestiti, si impegnino a sfruttare pienamente le risorse già in campo con il Recovery.
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