Ci sono i “russo-tedeschi” che si fanno i selfie con Bjorn Hoecke, il leader dell’ultradestra in Turingia famoso per i suoi discorsi che riecheggiano le parole d’ordine del Terzo Reich, e nell’inquadratura rientrano anche i ragazzi della Junge Alternative, classificata dai servizi segreti interni tedeschi come «caso accertato di estremismo politico».

Poco più in là c’è chi distribuisce adesivi con la scritta “Maximilian Krah non ha detto niente di sbagliato”: ebbene, è quel Maximilian Krah che aveva dichiarato che «non erano criminali tutte le SS», con ciò causando l’espulsione dell’AfD dal gruppo Identità e Democrazia (Id) all’Europarlamento. E fuori dalla Grugahalle, che ospita il congresso nazionale dell’AfD, ci sono decine di migliaia di persone, secondo qualcuno 70mila, compresi sindacalisti, uomini di chiesa, socialdemocratici, ambientalisti, cittadini comuni: mai nella storia tedesca si era vista una manifestazione di protesta così imponente ai cancelli di un evento di partito.

Che paese è quello in cui l’AfD è la seconda forza politica, lungo i cui confini batte il cuore nero del “nuovo muro” che a 35 anni dalla caduta di quello di Berlino torna a dividere le due Germanie? Questa è la domanda che ricorre inquietamente nelle capitali del Vecchio Continente, e non solo dopo il bombastico 15,9 per cento conquistato alle elezioni europee, e non solo alla luce della tempesta elettorale francese.

Domanda che è ancor più paradossale di fronte alle infinite contraddizioni interne all’AfD: messa ai margini – finora – non solo dagli altri partiti tedeschi, ma anche dalle altre estreme destre del continente, subissata di scandali tra cui quello sui presunti finanziamenti filorussi all’europarlamentare Petr Bystron, messa da anni sotto osservazione dell’intelligence interna e travolta da manifestazioni di massa in decine di città tedesche.

Contraddizioni che sabato e domenica in quel di Essen sono state coperte da una spessa coltre di ricercata armonia: i due leader dell’AfD, Alice Weidel e Tino Chrupalla, sono stati rieletti con percentuali bulgare (rispettivamente il 79 e l’83 per cento dei consensi), mentre fuori dalla Grugahalle i manifestanti gridavano “Tutta Essen odia l’AfD” e non mancavano sporadiche scaramucce con la polizia. Meglio concentrarsi a mettere a fuoco nuovi e vecchi avversari: ebbene, in prima fila c’è anche la premier italiana Giorgia Meloni, stretta nel gioco dei sovranismi concorrenti.

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Accusata da Alice Weidel d’essere complice de facto di Ursula von der Leyen: «Gettano dalla finestra il denaro del nostro popolo», esclama la leader dal palco, mentre Chrupalla rincara affermando che l’AfD è contraria alla «melonizzazione», con ciò intendendo il sostegno dell’Italia all’Ucraina.

Elezioni a settembre

Tanta apparente “armonia” ha tre nomi: Sassonia, Brandeburgo e Turingia. In questi tre Land si vota a settembre, i sondaggi prefigurano un’elezione-tsunami: in Sassonia il partito di Weidel e Chrupalla è dato al 31 per cento, superando con ciò la Cdu che fu di Angela Merkel ferma al 29,5 per cento, mentre rimangono solo briciole ai partiti che attualmente formano la “coalizione semaforo” che governa il paese, ossia Spd, Verdi e liberali.

Analoga situazione in Turingia, con l’AfD al 28,6 per cento, vari punti sopra i cristiano-democratici, e in Brandeburgo, dove l’ultradestra si attesta intorno al 29 per cento, e anche qui socialdemocratici e ambientalisti vedono precipitare i loro consensi. Con tali prospettive, lo sforzo dei vertici del partito di non disperdere forze in liti interne è ancora più stringente a fronte di un terzo incomodo: il neonato BSW, ossia il neonato movimento intitolato all’ex leader della Linke Sahra Wagenknecht, che mischia istanze nazional-populiste con gli umori della sinistra cosiddetta radicale.

Stando agli ultimi rilevamenti, i suoi consensi nei tre Land oscillano tra il 15 per cento e il 20 per cento, abbastanza da stravolgere tutti gli scenari: in pratica, per la prima volta sono ipotizzabili coalizioni che escludano i partiti “tradizionali”, permettendo l’ingresso dell’AfD nelle stanze del potere. In soldoni: sulla carta potrebbero nascere dei governi regionali targati AfD-BSW. E se accade questo, la divisione della Germania che le macerie del Muro 35 anni fa avevano assegnato al passato sembrerebbe risorgere lungo la faglia di un nazional-populismo per il quale finora il paese non sembra aver trovato degli antidoti efficaci.

Com’è stato possibile? Per capirlo è opportuno dare un’occhiata ad altri sondaggi realizzati nel day after del voto europeo: l’istituto infratest/dimap ha messo a confronto gli umori dei tedeschi di adesso con quelli del 2019. Ebbene, quel che ne esce fuori è uno smottamento dell’anima del paese, delle sue priorità e soprattutto delle sue paure: rispetto a cinque anni fa è aumentata dal 22 al 74 per cento la percentuale dei tedeschi che teme una drastica crescita di criminalità, è calato dell’11 per cento il numero di coloro che vedono il cambiamento climatico come pericolo numero uno, mentre balzano dal 14 per cento al 61 per cento coloro che temono che l’islam diventi «troppo forte» in Germania.

Detto in altre parole: pare siano gli slogan dell’ultradestra ad avere la meglio nella coscienza del paese, a discapito dell’ambientalismo verde e del welfare socialdemocratico. E allora non stupiscono istantanee come quelle scattate a Essen, con un Maximilian Krah “relativista” rispetto alle SS che sorride sugli adesivi. Anche questa è una Germania forgiata dalla paura. Ed è una Germania che torna a fare paura.

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