Olaf Scholz traballa, ma non si dimette. Una condizione che si è mostrata plasticamente al G7 di Borgo Egnazia, dove il cancelliere non è stato protagonista di nessuna decisione centrale e al più ha tenuto posizione contro «l’estrema destra» di Giorgia Meloni, ammettendo timidamente che tra i due capi di governo ci sono «differenze politiche che sono abbastanza evidenti». Non esattamente un segreto ben nascosto, considerato che la premier ha la sua ascendenza politica nel Movimento sociale e Scholz è un socialdemocratico. Un aspetto, quest’ultimo, che comunque non l’ha portato a prendere posizione nello screzio tra Roma e Parigi a proposito delle conclusioni sull’accesso garantito all’aborto. Ieri il cancelliere si è seduto al tavolo delle trattative per i top job europei dopo aver chiesto agli altri negoziatori di «fare in fretta». Ultima possibilità di confermare la maggioranza uscente.

Dopo un risultato elettorale devastante per la Spd – il peggiore di sempre – Scholz ha giocato la sua unica (e migliore) carta per la composizione della prossima Commissione prendendo posizione a favore del rinnovo di Ursula von der Leyen, attualmente favorita per mantenere il suo ruolo. Anche perché in parallelo il Pse punta alla presidenza del Consiglio con nomi come quello di Antonio Costa o, addirittura, Enrico Letta, una combinazione che non sarebbe la peggiore per un cancelliere compromesso. Insomma, vivere di luce riflessa muovendosi il meno possibile per non fare danni.

Critiche interne

Il risultato del suo partito non consente a Scholz di intraprendere altre vie, anche perché l’analisi della sconfitta pre e post G7 lo ha messo in difficoltà persino all’interno della Spd. Martedì scorso il cancelliere ha dovuto fare i conti con quaranta interventi dei componenti del gruppo parlamentare socialdemocratico e si è ritrovato in mezzo a due fuochi. La destra interna vorrebbe finalmente una linea chiara in termini di politica d’asilo e migrazione: la scorsa settimana Scholz si è espresso a proposito dei rimpatri forzati degli stranieri che commettono reati, foss’anche in paesi considerati non sicuri come Siria e Afghanistan.

La dichiarazione arriva dopo il brutale accoltellamento di un poliziotto a Mannheim, poi morto in seguito alle ferite riportate. La manovra conservatrice è utile agli occhi dei socialdemocratici per mostrarsi all’altezza delle critiche di AfD, che alle elezioni europee ha sottratto voti anche ai socialisti. Ma l’ala destra vorrebbe uno sforzo ulteriore. Spingono in un’altra direzione i parlamentari della sinistra interna, che vedono la chiave per riguadagnare slancio in una politica economica emancipata dal feticcio del pareggio di bilancio tanto caro al ministro delle Finanze liberale, Christian Lindner. La sinistra sarebbe disposta anche a proporre un referendum interno contro i tagli imposti da Lindner, che rischierebbe però di vincolare il cancelliere, apparirebbe come un voto di sfiducia e acuirebbe lo stallo con i liberali. La legge di bilancio che va chiusa entro il 3 luglio, quando il Bundestag va in pausa estiva, è considerata però l’ultima occasione per la coalizione semaforo per invertire la tendenza del suo gradimento in picchiata.

Scholz ha dovuto affrontare anche critiche riguardo allo stile della sua campagna elettorale: è stato attaccato per non avere risposto alle domande dei giornalisti la sera del voto, come anche per aver privilegiato temi inefficaci. Un appunto che ha toccato anche il segretario generale Kevin Kühnert.

Grande critico dell’alleanza con la Fdp, secondo l’ala destra non è all’altezza del suo incarico e andrebbe sostituito. Il timore è che la Spd manchi di cogliere anche lo spirito delle prossime elezioni regionali in Germania orientale: in due dei tre Land in cui si va al voto, nei sondaggi, la Spd attualmente non è molto al di sopra della soglia di sbarramento del 5 per cento.

Insomma, il cancelliere incontra quasi più critiche dentro il suo partito che fuori. Ma il mobbing di un capo di governo non considerato più all’altezza in Germania è un classico: lo hanno saputo bene il socialdemocratico Willy Brandt e il cristianodemocratico Ludwig Erhard, mandati a casa dai loro stessi partiti.

L’atteggiamento di Scholz, che da sempre è al limite del saccente anche nei confronti dei suoi alleati e compagni di partito non lo aiuta a guadagnare simpatie: anche stavolta non vuole mettersi in discussione. La sua fortuna è che, ora come ora, le elezioni anticipate non convengono a nessuno dei partner di maggioranza. Neanche all’insofferente Fdp, che però più volte è stata alleata con la Cdu, che nei sondaggi si muove sul 30 per cento dei consensi.

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