Le assenze e gli errori nel gestire il disastro sull’arcipelago rivelano la fragilità del primo ministro prima ancora che il suo governo sia partito. I tatticismi e le prese di distanza di facciata dal macronismo non bastano a blindare il nuovo governo
Chissà se è stato peggio non esserci ieri, o dichiarare oggi che l’arcipelago Mayotte è territorio extranazionale: quel che è certo è che François Bayrou deve ancora annunciare la sua squadra di governo e già scatena uno scandalo dopo l’altro. Il premier appena designato era convinto di avere in tasca la strategia, e questa strategia comprendeva una esibizione tattica di autonomia da Emmanuel Macron. Ma i tatticismi non bastano, per gestire la complessità della situazione politica. Così basta un inciampo su Mayotte per rivelare quanto la nomina sia fragile.
Mayotte e lo scandalo politico
Il caso Mayotte è deflagrato oggi in aula, quando il neopremier ha risposto alle domande dell’Assemblea nazionale; ma l’innesco risale al giorno prima, quando Bayrou – con l’arcipelago che intanto affrontava morti e distruzione per il ciclone Chido – ha deciso di recarsi di persona a Pau, il comune del quale è tuttora sindaco, per presiedere in presenza il consiglio comunale, relegando così a una sua partecipazione in videoconferenza l’incontro interministeriale che si è svolto nello stesso giorno a Parigi con Emmanuel Macron. «Il vostro posto, signor sindaco, o premier (come dobbiamo chiamarla?) non doveva essere a Pau, tantopiù che qui non c’era nulla di urgente da decidere, ma o a Parigi o a Mayotte per manifestare la sua solidarietà ai nostri connazionali», ha detto ieri un consigliere comunale di opposizione, l’ecologista Jean-François Blanco.
Due sono gli aspetti significativi della vicenda. Uno è che non dimettendosi dal ruolo di sindaco François Bayrou rivela quanto egli stesso sia disposto a scommettere sulla longevità del proprio ruolo da primo ministro: molto poco. Nel 2017, quando all’inizio del macronismo era stato nominato ministro della Giustizia, aveva almeno annunciato le dimissioni da sindaco, anche se a seguito di uno scandalo ha finito per dover dimettersi da guardasigilli mantenendo l’incarico a Pau.
Poi c’è il versante politico e simbolico dell’assenza da Mayotte, territorio d’oltremare, nonché il più povero della Repubblica francese: il ciclone ha un impatto devastante su un arcipelago già socioeconomicamente fragile e zeppo di bidonville. Su questo nodo Bayrou è inciampato anche oggi in aula, affermando che «di solito il presidente e il premier non lasciano entrambi allo stesso tempo il territorio nazionale», come se Mayotte non ne fosse parte.
Un governo che nasce incerto
La défaillance basta a far dire ad alcuni osservatori – come un repubblicano intervistati su Le Point – che «ci si potrebbe trovare in una situazione in stile belga, nella quale Bayrou salta prima ancora di formare il suo governo». E tutto questo mentre il premier carica il suo compito di mettere a segno la legge di bilancio con valori «morali», incastonando così il tema del debito.
Oggi il giro di consultazioni delle forze politiche – al netto della France insoumise che ha rifiutato l’incontro e il cui fondatore Jean-Luc Mélenchon è alle prese con atti di vandalismo ai danni di una delle sue abitazioni – si è concluso, dunque il premier deve riferirne all’Eliseo. Il punto dirimente sarà la postura dei socialisti, ai quali sia i macroniani che gli insoumis – da prospettive opposte – chiedono di non limitarsi a un tacito accordo di non censura e di dichiarare da che parte stanno. Fino a questo pomeriggio, in aula il capogruppo socialista Boris Vallaud ha detto che «siamo pronti a metterci al lavoro sùbito».
«Abbiamo preteso un premier di sinistra aperto al compromesso; Bayrou non è di sinistra, ma è aperto al compromesso?». Insomma Vallaud è ancora in fase negoziale. Nel frattempo il premier presenta a Macron la sua idea di “architettura di governo”, premurandosi che intanto sui giornali passino titoli che accreditino una sua autonomia rispetto al presidente della Repubblica. Persino la sua stessa nomina era stata preceduta da retroscena che riferivano che Macron stesse per scegliere un altro, e che Bayrou si fosse conquistato la nomina in un’ora e tre quarti di negoziato teso.
In realtà la versione di un Bayrou non del tutto allineato con l’Eliseo fa gioco a entrambi, proprio perché la presunta continuità con il macronismo è il principale deficit di questo nuovo governo, debole ancor prima di essere incaricato.
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