«La honte a changé de camp», ha detto Gisèle Pelicot all’inizio del processo a carico dell’ex marito e di altri 50 imputati per violenza sessuale. La vergogna deve cambiare lato, e per farlo serve lo sforzo dell’intera società. «Speriamo che questo processo porti a un cambiamento, non solo culturale, ma anche legislativo», dice Emmanuelle Handschuh, avvocata civilista e attivista del collettivo femminista NousToutes.

La società per cambiare deve vedere e, per questo, Gisèle Pelicot ha deciso di aprire le porte del processo, iniziato il 2 settembre: «Ha avuto un ruolo importante nel rendere pubbliche le udienze, permettendo a tutti di capire cosa accade in un’aula penale durante un processo per stupro. Ma è fondamentale sottolineare che tutte le vittime sono degne di rispetto», spiega Handschuh.

Qual è stato il ruolo di Gisèle Pelicot?

Ha fatto del suo meglio, ma bisogna evitare di idealizzare una vittima, perché si rischia di scoraggiare le altre, che potrebbero pensare di non essere all’altezza. Non tutte riescono a parlare in pubblico o a esprimersi come lei, e va bene così. Tutte le donne che subiscono violenza meritano rispetto, anche quelle che scelgono di non parlare.

Che effetto ha avuto questo processo nel dibattito pubblico?

Ha permesso a tutto il mondo di aprire gli occhi sul fatto che lo stupratore è “monsieur tout-le-monde”, quello che chiamiamo il buon padre di famiglia all’apparenza, e che in Francia tutto il sistema sia impregnato di cultura dello stupro. È emerso dalle formulazioni dei giudici in udienza e dalle argomentazioni delle difese. Le organizzazioni femministe lo denunciano da decenni, e ora credo che ci sia una maggiore presa di coscienza.

Chiediamo un cambiamento innanzitutto sociale, perché le violenze sessuali non siano più giustificabili e si inizi a educare al consenso. Si parla sempre di parlare della violenza, ma cosa facciamo per ascoltare la voce delle vittime? Cosa facciamo per proteggerle? Bisogna accogliere le denunce con un’adeguata formazione e mettere fine all’impunità, che è ancora molto diffusa. In Francia meno dell’1 per cento dei casi di stupro (dati Insee 2020) porta a una condanna.

La formulazione del reato, nel codice penale francese, non include il consenso. Qual è il limite della legge?

Chiediamo che la definizione di violenza sessuale venga modificata e si basi sul consenso della vittima, perché nel codice penale esiste una presunzione del consenso. Il corpo della donna viene considerato un corpo disponibile, salvo nei casi di violenza, minaccia, costrizione o sorpresa. Quando si sa che in 9 casi su 10 la vittima conosce l’aggressore e i fatti vengono spesso commessi senza brutalità evidente, è difficile provare violenza, costrizione, minaccia o sorpresa.

Questa modifica non solo ridurrebbe l’impunità, ma avrebbe anche un valore educativo, producendo un cambiamento sociale e culturale. Nel caso di Gisèle Pelicot, abbiamo sentito chiaramente le argomentazioni degli avvocati dell’ex marito e degli imputati, che sostenevano di non avere intenzione di violentarla pensando fosse consenziente. Una tesi che non regge e per fortuna la corte ha saputo riconoscere il reato di stupro.

È pensabile una modifica della norma con queste forze politiche?

Sono abbastanza ottimista. C’è una missione parlamentare avviata nel 2023 per includere il consenso nel codice penale. È decaduta con lo scioglimento delle camere ma è stata ripresentata. Alcuni partiti politici – conservatori e reazionari – non vanno in questa direzione, come Rassemblement national, Reconquête e una parte dei repubblicani. Ma c’è la possibilità di una maggioranza favorevole, in base anche al ministro della Giustizia che sarà nominato.

E all’Assemblea nazionale una commissione d’inchiesta sta esaminando le violenze sessuali nell’industria cinematografica e culturale. NousToutes non sostiene, invece, la proposta di «legge integrale» di alcuni gruppi femministi, perché si concentra solo sulla violenza sessuale e non su tutte le forme di violenza di genere.

Cosa accade nei processi?

Dobbiamo continuare a lottare perché la giustizia smetta di maltrattare le vittime. I tre mesi di udienza sono stati estremamente difficili per Gisèle Pelicot. Tutte le vittime di violenza sessuale subiscono vittimizzazione secondaria. La Francia ha diversi casi di fronte alla Cedu in materia.

Durante il processo, le vittime vengono ritenute colpevoli, con domande che violano la loro integrità fisica e psicologica e indagano sul loro passato, la loro vita sessuale. Dovrebbe essere impedito, come accade, ad esempio, in Canada, dove è vietato basare una difesa su stereotipi di genere, permettendo di concentrarsi sul comportamento dell’aggressore e non su quello della vittima.

Il processo Pelicot ha permesso poi di comprendere perché chiediamo che l’intera catena degli operatori della giustizia abbia una formazione sulla cultura dello stupro, la violenza sessuale e gli stereotipi di genere, perché le vittime non subiscano un’ulteriore violenza.

C’è stata una presa di coscienza da parte degli uomini?

Gli uomini coinvolti erano persone “normali”. Questo dovrebbe portare a una riflessione gli uomini della società civile. Sebbene i movimenti femministi e le associazioni abbiano lavorato per anni su questi temi, la reazione degli uomini è spesso limitata a “Not all men”. Ma questo processo dimostra che anche le vittime faticano a riconoscersi come tali, proprio perché gli uomini tendono, in modo tacito e radicato, a negare le aggressioni.

Quello che si chiede loro è di guardarsi dentro: davvero non hanno mai insistito o forzato il consenso di qualcuno? Occorre educare al consenso affinché ogni uomo faccia un esame di coscienza individuale, osservi gli altri e non lasci più passare atteggiamenti sessisti o comportamenti discutibili.

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