- Export di armi, fondi pubblici, controlli e sanzioni. Qualcosa si sta muovendo al parlamento europeo per mettere fine alle scappatoie grazie alle quali gli Stati membri continuano ad esportare armamenti ignorando le normative europee.
- Martedì 12 ottobre i Verdi presenteranno un regolamento che intende rivoluzionare i sistemi di controllo dell’export di armi, con sanzioni per gli Stati che non lo rispetteranno.
- L’Ue è il secondo più grande fornitore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti, con oltre 30mila licenze rilasciate solo nel 2020, per un valore di quasi 167 miliardi di euro.
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Spain's Eurofighter Typhoon jet fighter pilot prepares for take off during NATO's Baltic Air Policing Mission during the Lithuania's President Gitanas Nauseda and Spain's Prime Minister Pedro Sanchez visit at the Siauliai military air force base some 220 kms (136,7 miles) east of the capital Vilnius, Lithuania, Thursday, July 8, 2021. (AP Photo/Mindaugas Kulbis)
Export di armi, fondi pubblici, controlli e sanzioni. Qualcosa si sta muovendo al parlamento europeo per mettere fine alle scappatoie grazie alle quali gli Stati membri continuano ad esportare armamenti ignorando le normative europee.
Martedì 12 ottobre i Verdi presenteranno un regolamento che intende rivoluzionare i sistemi di controllo dell’export di armi, con sanzioni per gli Stati che non lo rispetteranno. Domani ha letto il documento che verrà proposto dall’europarlamentare finlandese Alviina Alametsä e dalla tedesca Hanna Neumann, relatrice della Risoluzione sull’esportazione di armi approvata dal Parlamento Europeo a settembre del 2020.
L’Ue è il secondo più grande fornitore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti, con oltre 30mila licenze rilasciate solo nel 2020, per un valore di quasi 167 miliardi di euro. «Non vogliamo che l’Unione Europea sia responsabile delle violazioni dei diritti umani o che contribuisca alle guerre nel mondo, perché tutto questo è contro i nostri valori e le nostre leggi», spiega Hanna Neumann.
Nel 2008, il Consiglio europeo ha adottato una posizione comune che definisce le norme per il controllo dell’export di armamenti ed è vincolante per gli Stati membri: otto criteri impediscono l’export di armi verso paesi che le utilizzano per la repressione interna o in regioni dove possono portare ulteriore instabilità, così come in quegli Stati che violano i diritti umani e le convenzioni internazionali. I criteri sono uguali per tutti, ma vengono attualmente interpretati in modo diverso dagli Stati membri.
«Mentre alcuni membri dell’Unione pongono giustamente dei limiti alle esportazioni di armi, altri continuano a venderle a paesi come l'Arabia Saudita, alimentando guerre, ad esempio in Yemen, con armi prodotte in Europa - denuncia l’europarlamentare tedesca - Questo fa sì che non esista una politica estera europea coerente, mentre la nostra industria militare trae profitto dalle sofferenze di civili».
Per il momento, infatti, le decisioni sull'esportazione di armi prodotte all’interno dell'UE vengono prese a livello nazionale, ma ciascun paese dovrebbe rispettare sia la propria normativa - nel caso dell’Italia, la legge 185 del 1990 - sia quella europea, oltre al Trattato Onu del 2013, che tutti i membri dell’Ue hanno ratificato, Italia inclusa.
Come è possibile, allora, che gli Stati europei prendano decisioni in contrasto tra loro? Perché alcuni paesi hanno bloccato le esportazioni di armi all’Arabia Saudita - come la Germania o l’Italia - mentre la Francia continua a venderle armi indisturbata?
I controlli col buco
Coarm è il gruppo di lavoro del Consiglio d’Europa che si occupa dei controlli sulle esportazioni di armi. Quando gli Stati membri bloccano le vendite ad un paese extra Ue, per esempio l’Arabia Saudita, sono tenuti ad informare gli altri Stati europei, che però possono decidere comunque di andare avanti con i loro affari militari. Nessuna sanzione.
Oltre all’Arabia Saudita, c’è il caso eclatante dell’Egitto, che riguarda da vicino anche l’Italia. Nella risoluzione sull'esportazione di armi approvata a settembre 2020 dal parlamento europeo, si chiedeva agli Stati membri di sospendere le forniture militari non solo ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi, ma anche a Turchia ed Egitto, perché violano le convenzioni internazionali sui diritti umani.
Tre mesi dopo quella risoluzione, il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto il presidente Al Sisi a Parigi con tutti gli onori, dichiarando: «Non condizionerò la nostra cooperazione in materia di difesa o di economia ai disaccordi sui diritti umani».
Quindici giorni dopo l’Italia ha consegnato alla Marina militare egiziana la prima delle due fregate Fremm, le navi militari costruite da Fincantieri. La seconda è partita ad aprile, un affare da oltre un miliardo di euro. La normativa europea è stata semplicemente ignorata.
Eppure, in un parere riservato che Domani ha letto, gli esperti legali del Parlamento Europeo affermano che le norme Ue ammettono una politica di esportazione di armi più restrittiva, mettendo così in discussione che possano essere accettati comportamenti come quelli di Francia o Italia.
Quali sono gli ostacoli che impediscono controlli effettivi? La risposta all’europarlamentare Hanna Neumann: “In alcuni paesi, le aziende produttrici di armi sono molto vicine allo Stato o addirittura di sua proprietà e in quei casi l'interesse del governo spesso coincide con quello dell'industria militare. Ma in molti Stati membri i governi sono contrari al libero flusso di armi europee verso le regioni dove causano morte e migrazioni”.
Armi e migrazioni
La connessione tra esportazioni di armi e migrazioni è stata approfondita in uno studio pubblicato a luglio dall’istituto internazionale di ricerca Transnational Institute. Si intitola “Smoking guns”, “Pistole fumanti”, e analizza in che modo le esportazioni di armi europee stanno costringendo milioni di persone a lasciare le loro case. Il rapporto conferma che le armi europee vengono usate per destabilizzare interi paesi e regioni. Tra i casi di studio esaminati, due riguardano l’Italia.
Leonardo, società controllata dal nostro ministero delle Finanze, ha venduto alla Turchia la licenza degli elicotteri T-129 Atak, usati nel 2018 e nel 2019 in due attacchi nel distretto di Afrin, nel nord della Siria. Secondo i dati delle Nazioni Unite, a causa dell'offensiva di Afrin sono state sfollate 98mila persone tra gennaio e marzo 2018 e altre 180mila a ottobre 2019.
“Smoking guns” cita anche il caso delle motovedette italiane Bigliani, donate dall’Italia alla guarda costiera libica e utilizzate per respingere e arrestare i migranti in fuga dalle coste africane: nel 2019 è stata montata una mitragliatrice su almeno una di queste imbarcazioni, per poi usarla nel conflitto interno.
Con il nuovo regolamento proposto dai Verdi europei, tutto il sistema verrebbe ripensato in direzione di una maggiore trasparenza e di un reale controllo. Il regolamento prevede che venga istituito un organo comune indipendente, per valutare i rischi di esportare armamenti verso paesi ritenuti problematici. Il regolamento si rivolge anche alle aziende che producono armi, che a loro volta sarebbero tenute a valutare se i potenziali destinatari delle loro tecnologie militari soddisfano i criteri dell’Ue.
Infine, il regolamento prevede sanzioni: se non rispetti le decisioni dell’organo indipendente, non hai più accesso alle sovvenzioni del Fondo europeo di difesa o agli altri finanziamenti europei nel settore militare: 8 miliardi di euro tra il 2021 e il 2027.
L'Ue investe sempre di più nel settore della Difesa, ma ad oggi non ha alcun controllo sulle armi prodotte nei progetti congiunti tra gli Stati membri. Molti sistemi d’arma vengono costruiti con componenti prodotti da paesi diversi, e non è chiaro chi abbia effettivamente l'autorità per decidere sull’esportazione. Spesso prevale il paese con gli standard meno restrittivi.
Il caso dell’Eurofighter, per esempio, ha coinvolto Germania e Gran Bretagna. Quando i tedeschi hanno bloccato l’export di armi verso l'Arabia Saudita, anche i pezzi di ricambio degli Eurofighter sono stati bloccati, rendendo impossibile la costruzione degli aerei. Questo ha causato un conflitto tra la Gran Bretagna, che poteva esportarli liberamente, e la Germania, che stava rispettando le regole dell’Ue.
«All’interno dell’UE - conclude Hanna Neumann - stiamo discutendo molto sul tema della Difesa comune e sul sostegno alla nostra industria militare, ma in questo quadro non ha senso prendere le decisioni sull’export a livello nazionale. Non stiamo inventando nuove regole, abbiamo solo trovato un modo per far rispettare quelle che già esistono».
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