- La nuova presidente dell’Europarlamento è una donna di establishment: la sua è una famiglia con interessi; lei usa i riferimenti giusti, cita i padri fondatori dell’Europa. Ma Roberta Metsola fa slittare l’Europa a destra, e non solo per le sue posizioni nemiche delle donne e dei diritti sociali.
- Amica della destra italiana e sostenitrice del “cordino” sanitario, con la sua elezione il separé immaginario con l’ultradestra diventa un velo, mentre a finire ai bordi sono le forze più progressiste.
- Fratelli d’Italia si avvicina sempre più sia al potere che ai popolari, fino a pattuire una vicepresidenza. “Spero non sia un premio perché hanno lavorato contro l’unione delle destre”, commenta il capodelegazione della Lega. Che comunque appoggia Metsola per le posizioni su famiglia e immigrazione.
Amica della destra italiana, antiabortista e sostenitrice del «cordino» sanitario al posto del cordone, la popolare Roberta Metsola è la presidente dell’Europarlamento che sposterà l’Europa più a destra. Lo farà, ed è riuscita a farlo, proprio perché è una donna di establishment e sa bene come ci si muove nel potere: non a caso nel suo discorso di insediamento cita i padri fondatori dell’Europa, richiama l’eredità politica di David Sassoli, rassicura che porterà avanti le posizioni dell’aula e non le proprie.
Ma con la sua elezione, chiusa già al primo turno, con 458 voti quindi ben oltre la maggioranza assoluta, prende forma la penetrazione delle destre e al contempo la marginalizzazione delle forze progressiste.
Il cordino sanitario
Stando ai suoi promotori, la candidatura di Metsola è espressione di un fronte europeista: popolare lei, socialdemocratici e liberali gli altri due gruppi che hanno siglato l’accordo di metà mandato. Ma se anche conservatori e sovranisti hanno votato lei come presidente, il motivo c’è. Già a settembre, quando la sua candidatura era un desiderata, Metsola, di passaggio a Roma, ammetteva che «il cordone sanitario», quel separé immaginario che teneva ben distinti i populisti di destra e gli altri, «ormai è diventato un cordino».
E apriva così agli «amici» di Fratelli d’Italia, notando che i conservatori «votano più spesso in sintonia con noi che la sinistra». Chi si è trovato, in queste elezioni di metà mandato, fuori dall’accordo di spartizione degli incarichi, col rischio di essere sottorappresentato nell’ufficio di presidenza, è in effetti proprio la sinistra, oltre ai verdi. I conservatori invece hanno «dialogato» coi popolari.
Giorgia Meloni ha la presidenza del partito conservatore europeo, Raffaele Fitto copresiede il gruppo, ma qui siedono anche gli ultraconservatori polacchi (Pis), indigeribili per un Ppe dove siede l’opposizione guidata da Donald Tusk. I meloniani hanno adottato la loro strategia di conseguenza: a guidare il dialogo coi popolari è stato sempre Fitto, mai il copresidente polacco Ryszard Legutko. Quando i popolari hanno aperto all’elezione di un vicepresidente conservatore, questo gruppo ha ritirato il candidato di bandiera alla presidenza – un polacco – convinto così di eleggere un vice, il lettone Roberts Zīle.
Competizione sovranista
E i sovranisti di Identità e democrazia, dove siede la Lega? Che avrebbero appoggiato Metsola era piuttosto chiaro anche dall’assenza di un proprio candidato di bandiera. Ma la comunicazione della scelta è stata confezionata nel modo più imbarazzante possibile per il Pd, che è nei socialdemocratici e dunque nell’accordo a tre pro Metsola: la mattina del voto, il capodelegazione della Lega, Marco Campomenosi, ha dichiarato il sostegno alla maltese «per la sensibilità e le posizioni mostrate su temi come il contrasto all’immigrazione clandestina e la difesa dei valori della famiglia», ricordandone così di fatto le posizioni retrive su temi come il diritto all’aborto. I leghisti vorrebbero che anche con loro cadesse il «cordino» sanitario, ormai ridotto a un velo. Ma l’idea di Campomenosi è che i meloniani siano stati avvantaggiati, nelle elezioni di metà mandato, perché «hanno lavorato contro l’unione delle destre: mi auguro che un accordo su Zīle vicepresidente non sia un premio per questo». Il riferimento è al progetto di unione tra conservatori e sovranisti coltivato da Matteo Salvini e poi naufragato anche per il freno di Meloni: «Fosse stato per noi avremmo un gruppo insieme, e allora sì che contavamo!».
Lo schema attuale sposta comunque a destra l’Europarlamento, e consente ai popolari di salvare la faccia. Sia Metsola sia il presidente dei popolari Manfred Weber a parole difendono «un fronte pro Europa». Di fatto, almeno un pezzetto di destra viene gradualmente assorbito e “normalizzato”. Mai come stavolta, la porosità del principale gruppo dell’Europarlamento alle forze populiste di destra si avverte chiara, così come il rischio per le forze progressiste di essere marginalizzate.
A destra sui diritti
Metsola sulla carta non ha un profilo sovranista, anzi. Avvia il suo percorso politico nel Partito nazionalista maltese proprio battagliando, da studentessa universitaria, per l’ingresso di Malta nell’Ue, nel referendum di adesione del 2003. Tenta l’elezione a eurodeputata già nel 2004, poi nel 2009, insiste e riesce quattro anni dopo. Nel frattempo è già perfettamente inserita nell’apparato di Bruxelles: era nella rappresentanza maltese a Bruxelles quando si negoziava il trattato di Lisbona, poi ha lavorato come consulente legale per il servizio diplomatico dell’Ue. «Come Sassoli, starò dalla parte dell’Europa», ha detto nel discorso di insediamento. Sulla carta, è la più giovane, e la prima donna a far da presidente dai tempi di Nicole Fontaine, cioè vent’anni fa. Ma i suoi posizionamenti politici sono tutt’altro che femministi: è contraria al diritto all’aborto, e vota di conseguenza quando l’aula si posiziona a difesa delle donne polacche; si astiene quando il parlamento europeo chiede alla Commissione di considerare la violenza di genere un «euroreato».
Il potere e gli interessi
Quando l’ala progressista prova a orientare i piani di ristoro verso «la lotta alle diseguaglianze economiche», lei vota contro, e quando ci si batte per il diritto alla casa, si astiene. Metsola all’anagrafe è Tedesco Triccas, ma si fa chiamare col cognome del marito, il finlandese Ukko. Lui, che pure viene dalla politica, negli ultimi anni si è buttato sulle grandi compagnie di navi da crociera. Era a dirigere la sezione europea della Cruise Lines International Association quando in Ue, con la moglie in aula, si discuteva di Green Deal, e lui definiva il pacchetto Fit for 55 «uno tsunami regolatorio»: il tema riguarda anche le navi; e su quel tipo di emissioni, la proposta finale dell’Europarlamento si è rivelata non ambiziosa. A proposito di questioni di famiglia, Roberta Metsola era pure nella commissione di inchiesta dell’Europarlamento sui Panama Papers, quando sia suo padre, sia marito e suocera, erano coinvolti nello scandalo sui paradisi fiscali con la società “European public affairs advisors”.
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