- La storia delle proteste di Sainte-Soline è un buon caso di studio per capire in che modo le lotte climatiche possono essere sabotate.
- Lo scorso weekend in Francia migliaia di persone si sono radunate per protestare contro i mégabassines, gli enormi bacini di raccolta delle acque, sotto lo slogan di “No basaran!”: «i bacini non si faranno!». Anche la presenza dei poliziotti era massiccia.
- Il ministro degli Interni Gérald Darmanin, lo stesso che aveva accusato Marine Le Pen di essere troppo morbida, ha poi lanciato l'accusa di «ecoterrorismo». La trappola semantica non è l’unica dalla quale gli attivisti climatici devono guardarsi.
La storia delle manifestazioni di Sainte-Soline, dove lo scorso weekend migliaia di persone hanno protestato per l’uso iniquo delle risorse idriche in piena emergenza ambientale, è un buon caso di studio per capire in che modo le lotte climatiche possono essere sabotate.
Il ministro degli Interni Gérald Darmanin, lo stesso che aveva accusato Marine Le Pen di essere «troppo morbida», ha detto che «i violenti della manifestazione di Sainte-Soline sono ecoterroristi».
L’uso iniquo delle risorse
Per capire i fatti di Sainte-Soline bisogna partire da un presupposto: il nesso tra cambiamento climatico e uso delle risorse è sempre più evidente nel dibattito pubblico francese. Con trenta gradi in pieno autunno, «se si va avanti così ci potrà essere carenza d’acqua»: il quotidiano Libération poneva questo problema in prima pagina venerdì scorso.
In questo contesto, a Sainte-Soline sono in cantiere enormi bacini di raccolta d’acqua; i produttori della zona puntano su queste infrastrutture per le proprie coltivazioni.
Una galassia variegata, che tiene insieme sindacati, ambientalisti di diversa estrazione, partiti di sinistra ed ecologisti, contesta il progetto. A suo avviso dirotta le risorse comuni a vantaggio dell’agroindustria: enormi quantità di acqua, a rischio di evaporazione, a vantaggio di un pugno di grandi agricoltori. Il governo non recepisce l’istanza, e anzi: i cantieri di Sainte-Soline sono stati di fatto militarizzati.
Repressioni e divisioni
Lo scorso weekend, migliaia di persone si sono radunate a Sainte-Soline per protestare contro i mégabassines, gli enormi bacini di raccolta delle acque, sotto lo slogan di “No basaran!”: «i bacini non si faranno!». All’inizio delle proteste, i manifestanti erano 7mila per gli organizzatori, 4mila per la prefettura.
I poliziotti mobilitati nel weekend per presidiare i cantieri erano tra i 1.600 e i 1.700.
Nonostante la maggior parte degli attivisti stesse manifestando pacificamente, ben presto il tema della violenza è diventato predominante: il ministro dell’Interno ha riferito che una sessantina di poliziotti era stata ferita, mentre la prefettura locale denunciava «la presenza di quattrocento tra black block e attivisti molto violenti» che «gettavano molotov, esplosivi e lanciavano colpi».
Tra chi era sul posto per manifestare pacificamente, ci si domandava viceversa come mai così tanta polizia non fosse stata in grado di gestire la situazione in modi diversi, e peraltro gli attivisti a loro volta hanno riportato di essere stati feriti. «Una manifestazione pacifica, e ci ritroviamo pure con tre deputati colpiti e spruzzati con lacrimogeni, questa la chiamate polizia repubblicana?», ha twittato Jean-Luc Mélenchon, leader dell’Unione della sinistra ecologista (Nupes).
Proprio Mélenchon durante le due tornate elettorali di primavera ed estate – prima le presidenziali, poi le legislative – ha catalizzato il voto di tanti giovani sensibili ai temi climatici, che lui ha saputo introiettare in forma radicale nella sua piattaforma di sinistra.
I Verdi invece, anche su Sainte-Soline, si sono divisi: Yannick Jadot, che con la sua linea più moderata aveva prevalso alle primarie ecologiste su Sandrine Rousseau, è uscito con le ossa rotte dalle presidenziali, e ora i due litigano sulle proteste. Entrambi erano a Sainte-Soline, ma lei ha accusato lui di essere poco radicale, lui ha accusato lei di parteggiare per i violenti.
L’accusa di «terrorismo»
Gérald Darmanin, ex portavoce di Nicolas Sarkozy, ministro degli Interni sotto la presidenza di Emmanuel Macron dal 2020, due anni fa era stato tra i sostenitori di una controversa svolta illiberale, con una proposta di legge sulla “sicurezza globale” che prevedeva il controllo dei manifestanti.
Dopo il weekend di Sainte-Soline, ha tratto le sue conclusioni: mille poliziotti di stanza sul posto, e un’etichetta da affibbiare, quella di «ecoterroristi».
«Nessuno cerca di terrorizzare le persone, gli attivisti ambientalisti radicali nei loro attacchi mirano a oggetti, attrezzature, alle forze dell'ordine. Questo non è terrorismo», dice il cronista politico Thomas Legrand.
Fermo restando il tema delle proteste più o meno radicali, la strategia di Darmanin mira a demonizzare il movimento nel suo complesso, come già Macron ha fatto alle legislative “diabolizzando” la Nupes.
Va inoltre ricordata la lezione del 2015, quando all’Eliseo c’era François Hollande e Parigi ospitava la Cop21 poco dopo gli attentati terroristici: lo stato di emergenza venne utilizzato anche per perquisire e controllare gli ambientalisti.
© Riproduzione riservata