Si preannunciava già come la Commissione più a destra. Dopo il voto finale incassato all’Europarlamento, il von der Leyen 2 sfonda un altro record: con soli 370 voti a favore, a dicembre entra in carica il collegio con meno consenso dell’ultimo quarto di secolo.

Una fiducia ai minimi termini: questo è il dato politico, al di là delle dichiarazioni di Ursula von der Leyen («il centro ha tenuto»). Spingendosi verso l’estrema destra, la principale famiglia politica – i Popolari di von der Leyen, guidati da Manfred Weber – ha guadagnato qualche voto in più nella destra estrema coi sì di Fratelli d’Italia. Ma né von der Leyen né il resto delle destre estreme sarebbero stati disposti a esibire questo mercoledì (anzitutto col proprio elettorato) un totale allineamento: lo faranno sotto traccia nel corso della legislatura. «Non esiste una maggioranza di centrodestra perché non esiste un vincolo di maggioranza», per dirla col meloniano Nicola Procaccini, capogruppo di Ecr.

Gli ammiccamenti del Ppe all’estrema destra hanno generato in compenso uno smottamento dell’arco progressista: solo i liberali hanno aderito del tutto. Oltre alla contrarietà unanime della sinistra Ue, pure tra socialisti e verdi – la maggioranza dei quali ha mantenuto una posizione favorevole alla Commissione von der Leyen 2 – delegazioni di peso hanno segnalato il loro disagio verso la politica dei due forni del Ppe.

Scomposizioni e sfiducia

La crisi politica sviluppatasi durante le audizioni dei commissari – quando il Ppe ha difeso la vicepresidenza esecutiva per un meloniano e il sì al commissario orbaniano, prendendo in ostaggio la socialista Ribera – ha rappresentato per i progressisti un’umiliazione e per il Ppe il tentativo di ridurre i socialisti a junior partner, facendo e disfacendo maggioranze in base all’utilità.

Weber dichiara di aver allargato il fronte «dai Verdi all’Ecr» (i numeri di questo mercoledì dicono altro) ma il costo è la destabilizzazione dell’arco politico. Per quanto le differenziazioni interne abbiano perlopiù ragioni tattiche, il dato è che tutti gli assetti si sono scomposti: la coalizione di governo italiana ha votato in modo difforme al suo interno (la Lega contro, gli altri a favore), il gruppo di Meloni (Ecr) si è diviso così come l’arco dell’estrema destra (Ecr scisso, Patrioti e Esn contro).

Tra i socialisti alcune delegazioni di peso si sono differenziate (come l’Spd, prevalentemente astenuta e in parte contro, e i francesi contrari). I verdi hanno spacchettato i loro voti (pochi in più a favore, ma contro i francesi e altri). In generale l’arco progressista non ha votato compattamente, né lo ha fatto l’opposizione nostrana: il Pd ha votato a favore (a eccezione di Strada e Tarquinio) ma Movimento 5 Stelle e Avs contro.

Con 370 voti a favore, 282 contro e 26 astenuti, il collegio von der Leyen 2 ottiene meno voti pure rispetto al von der Leyen 1: nel 2019 i sì furono 461, e seppur all’epoca ci fossero circa trenta eurodeputati in meno resta smaccata la novantina di voti in meno. La presidente segna un record negativo pure rispetto a se stessa, per non parlare dei precedenti: il collegio guidato da Prodi ebbe 510 voti a favore, 478 la commissione Barroso 1, 488 la Barroso 2, 423 la Juncker.

Giochi di ruolo a destra

«Non so se questa sarà davvero la Commissione più a destra della storia, ma me lo auguro», ha detto il capodelegazione di FdI, Carlo Fidanza, facendo eco a quel che Weber aveva detto alla vigilia del voto: «I Conservatori sono cruciali».

Per decifrare i voti di questo mercoledì - sia a favore che contro – bisogna riannodare il filo. Dal 2021, quando Fitto stesso ha aperto il canale tra FdI e Ppe, i meloniani sono stati «cruciali» per Weber per due motivi: hanno garantito che non si costituisse un gruppo unico delle destre estreme, lasciando al Ppe il ruolo di attore chiave, e hanno agito da ponte con quelle stesse destre estreme. In più ora Weber vede in Meloni un canale verso Trump («Gli eredi di Adenauer guardano a Musk», ha detto Zingaretti).

Già nella scorsa legislatura, contro il clima, e adesso su temi come gli hotspot stile Albania, il Ppe vota con le destre estreme, nessuna esclusa, neppure Orbán, Le Pen o l’AfD, ai quali Weber nel dibattito di questo mercoledì ha attribuito l’etichetta di «nemici», ma assieme ai quali non di rado si coalizza. Alleati tattici quando conviene, né il Ppe né i populisti di estrema destra possono però sancire una maggioranza alternativa che vada dai Popolari all’AfD: gli uni (von der Leyen compresa) devono quantomeno salvare le apparenze, gli altri fanno degli attacchi a Bruxelles una ragione di mobilitazione del proprio elettorato.

Non deve stupire quindi che i Patrioti per l’Europa – dei quali fa parte anche la Lega oltre a Orbán o Le Pen – così come Esn (il gruppo di AfD) abbiano votato unanimemente contro il collegio, con l’effetto di una scomposizione nella stessa coalizione di governo nostrana. I meloniani hanno votato a favore del collegio come Forza Italia (e come il Pd del resto), mentre la Lega tuonava contro e altrettanto facevano gli stessi compagni di gruppo di FdI: pure la spaccatura interna a Ecr riflette la divisione tattica, con gli euroscettici polacchi del Pis orgogliosamente contrari e FdI con belgi e cechi tra i favorevoli e dialoganti.

Verso un’altra opposizione

«Questa è la Commissione della fine del cordone sanitario. Faremo da opposizione», ha detto la capogruppo della Sinistra europea Manon Aubry. I Verdi, che avevano votato per von der Leyen presidente sperando di fare da alternativa a Meloni, hanno votato solo in maggioranza a favore: i sì erano per dire che «Weber non è riuscito a cacciarci dalla maggioranza», i no (ad esempio dei francesi) per denunciare «le responsabilità del Ppe, più duro con la socialista Ribera che con l’orbaniano Olivér Várhelyi»; le parole sono del capogruppo Bas Eickhout, che ha votato a favore cogliendo le dichiarazioni di apertura di von der Leyen (la quale non voleva né poteva contare, questo mercoledì, sulle frange più sovraniste) ma è consapevole degli smottamenti in corso.

I socialisti si aggrappano all’idea di restare in maggioranza, e che sia stabile, ma lo smacco delle audizioni (con Ribera tenuta in ostaggio) rende chiaro anche per loro il mutamento.

Non a caso delegazioni come quella tedesca e francese si sono distanziate, mentre il Pd – pur a favore – lancia moniti: «Presidente, se cerca altre maggioranze sarebbe corretto dirlo. Vedete? La Commissione parte debole per colpa delle scelte di Weber, il tentativo di spostare l’asse a destra è fallimentare», ha detto il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti.

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