Nella partita vitale per l’autonomia strategica, l’Europa rischia di imboccare la strada sbagliata e di perdere un’occasione storica.

L’autonomia strategica si ottiene solo con una difesa e un esercito comuni, vale a dire con un’Europa federale in cui i singoli governi non hanno più, su questo, il diritto di veto.

Così facendo si ridurrebbero anche i costi. Basti pensare che il Pil dell’Unione europea è 9 volte quello della Russia, a valori nominali, e fra 3 e 4 volte tenendo conto della differenza di potere d’acquisto. Quanto a popolazione, la nostra è più del triplo.

La minaccia Russia

È evidente che l’Unione europea, con un Pil totale che rappresenta un sesto dell’economia globale, e una popolazione che è la terza al mondo dopo India e Cina, se disponesse di un unico esercito, con un comando centralizzato, sarebbe tranquillamente in grado di fronteggiare la minaccia strategica della Russia – un paese demograficamente in declino e che nel 2023 ha destinato il 6 per cento del suo Pil alle spese militari – stanziando per la difesa il 2 per cento del suo Pil. Vale a dire più o meno quello che stanziano già adesso, separatamente, i singoli paesi: ma oggi sprecando molte di queste risorse, in sostanza perché le nostre classi dirigenti non hanno avuto, finora, il coraggio e la forza per il salto di qualità.

Ebbene, quel salto di qualità è ormai ineludibile. Di fronte alla sfida rappresentata da Donald Trump, e alla minaccia di Vladimir Putin, nel nuovo ordine multipolare e muscolare i governi europei devono finalmente procedere a creare una vera Unione federale: dovrebbero lanciare, subito, la riforma dei trattati, per superare il diritto di veto creando un esercito e anche un fisco comuni. E se qualche paese non ci sta, che rimanga pure fuori, inizialmente, come fatto con l’euro.

Il gioco di Trump

L’indirizzo prevalente nell’Unione europea sembra invece quello di consentire a ciascun governo di aumentare le proprie spese per la difesa, derogando al Patto di stabilità. In questo modo, però, ogni paese dell’Unione non consegue e non conseguirà mai una vera autonomia strategica: da solo rimarrà sempre troppo debole.

Semplicemente, e perlopiù, si limiterà a comprare più armi, in genere dagli Stati Uniti. Mentre l’Europa tutta continuerà a non parlare con una voce sola nelle questioni geopolitiche e militari; e quindi a non contare. Alla fine, in questo modo si finisce per fare proprio il gioco di Trump.

Oltretutto quest’aumento della spesa militare avverrebbe a debito, rinunciando proprio qui alle regole comuni: quello che non si è voluto fare per fronteggiare la crisi economica, o per ridurre le disuguaglianze, o per contrastare l’esigenza climatica, lo si fa invece per le spese militari, in maniera peraltro sostanzialmente inutile.

Che razza di messaggio le classi dirigenti europee stanno mandando ai loro cittadini? Devastante. La crisi dei partiti tradizionali si farà così ancora più acuta, come quella della nostra democrazia. Se si vuole e si può derogare al Patto di stabilità, avviando finalmente una politica espansiva in modo strutturale, lo si faccia invece per affrontare la crisi ambientale con una politica industriale degna di questo nome, che non faccia ricadere i costi della conversione ecologica sui più deboli e sia capace di rilanciare crescita e innovazione (peraltro è l’unico debito pubblico eticamente incontestabile: quello che serve a lasciare alle generazioni che verranno un pianeta vivibile); o per politiche che riducano le disuguaglianze, investendo sui beni pubblici (sanità, scuola, welfare) e affrontano i problemi improrogabili dei cittadini in difficoltà.

Ostacolo Italia

Il discorso vale anche, soprattutto, per l’Italia. Vero è che nessun governo rinuncia facilmente al diritto di veto, ma a farne la sua bandiera identitaria è proprio il nostro, guidato dalla destra nazionalista.

Giorgia Meloni è insomma, in Europa, la paladina di questa strategia fallimentare: aumentare le spese militari a livello nazionale, in deroga al Patto di stabilità, puntando a un rapporto privilegiato con gli Usa di Trump che mina la coesione europea. E con il risultato di avere invece meno risorse per la riduzione delle disuguaglianze, o per fronteggiare il caro bollette, o per una seria politica industriale che rilanci la crescita e riduca il prezzo dell’energia, per la sanità e per la scuola, o anche per ridurre le tasse: insomma per tutto il resto.

Il governo italiano è oggi il principale ostacolo al salto di qualità dell’Unione, cavallo di troia di Trump nella sua strategia di mantenere l’Europa divisa e subordinata. E con il risultato di far del male in questo modo all’Europa, di oggi e di domani, e all’Italia, a tutti noi cittadini. Forse mai l’inadeguatezza del governo Meloni è risultata così evidente, e drammatica, come in questo momento decisivo della storia.

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