Se il centrismo di Macron ha fallito, l’unica speranza di sconfiggere l’estrema destra e salvare le democrazie liberali risiede in una sinistra incisiva, con serie proposte di redistribuzione di reddito, diritti, conoscenze. Ai liberali tocca scegliere: se accettare la redistribuzione sociale o mettere a rischio democrazia e libertà per mantenere le disuguaglianze e i privilegi. La loro desistenza in Francia è una scelta giusta
Pur non sapendo ancora il risultato dei ballottaggi, possiamo già trarre due importanti lezioni dalla Francia. La prima è il fallimento delle politiche centriste, di cui Macron era il principale campione europeo.
Il risultato del governo e della presidenza Macron è stato di fare crescere ancora di più i voti per l’estrema destra, a livelli che non si erano mai visti, e nemmeno immaginati, nel cuore dell’Europa: domenica scorsa, con un’affluenza di quasi venti punti superiore a quella del 2022, il partito di Le Pen ha ottenuto 10,6 milioni di voti, ben 6,4 milioni in più di quelli raccolti nelle precedenti legislative (4,2).
La maggioranza presidenziale si è fermata a 6,4 milioni di voti, solo mezzo milione in più rispetto al 2022. Ma, e questa è la buona notizia, anche la coalizione delle forze di sinistra ed ecologiste è cresciuta molto, da 5,8 a 9 milioni di voti, con un programma forte e incisivo sui temi economici.
In pratica, i dieci milioni di francesi che due anni fa si erano astenuti e che questa volta sono andati a votare, provenienti in stragrande maggioranza dai ceti popolari, si sono distribuiti fra l’estrema destra (due terzi) e la sinistra (un terzo), ignorando quasi la coalizione presidenziale (appena uno su venti).
Questo vuol dire che senza una sinistra forte e attrattiva per quei ceti sociali, che tendono all’astensione, la vittoria dell’estrema destra sarebbe stata ancora più ampia e Le Pen forse avrebbe già in tasca la maggioranza assoluta.
Detta altrimenti: se il centrismo ha fallito, l’unica speranza di sconfiggere l’estrema destra e salvare le nostre democrazie liberali risiede in una sinistra socialmente incisiva, con serie proposte di redistribuzione di reddito, diritti, conoscenze.
Ai liberali, come già scrivemmo all’indomani delle europee, tocca di scegliere: se accettare la redistribuzione sociale per salvare le libertà civili e i diritti (andando con la sinistra), o mettere a rischio democrazia e libertà per mantenere le alte disuguaglianze e i privilegi di ceto (andando con la destra).
E qui viene il secondo insegnamento dalla Francia. A dispetto di quel che temevano molti (fra cui il sottoscritto), e nonostante timidezze, mal di pancia e contraddizioni, in fondo i liberali francesi – almeno i loro leader politici, vedremo gli elettori – hanno fatto la scelta giusta.
C’è stato un numero impressionante di desistenze, soprattutto della sinistra verso i liberali (che già dice molto), ma anche (ben più delle aspettative) dei macroniani verso la sinistra: i candidati arrivati terzi e con un buon risultato, che pure secondo la legge francese potevano competere anche nel secondo turno, si sono ritirati per fare fronte comune contro l’estrema destra.
Riflessi italiani
È una scelta di buon senso: un accordo elettorale, utile a massimizzare i seggi tanto dei liberali quanto della sinistra. Era possibile anche da noi, pur con una legge elettorale diversa, nelle elezioni politiche del 2022? Su questo giornale, in quei convulsi giorni di inizio agosto, fummo tra i pochi ad auspicarlo. Ma i leader di allora, con l’eccezione di Bonelli e Fratoianni e in parte dei Radicali, non vollero nemmeno sentirne parlare.
Letta, Calenda, Renzi e Conte andarono consapevolmente incontro al disastro. Di loro quattro, però, solo il primo ne ha tratto le doverose conseguenze, dimettendosi da segretario del Pd; e come conseguenza il Pd con Elly Schlein persegue ora una strategia completamente diversa, unitaria (e vincente).
È bene insistere su questa strada anche perché, non nascondiamocelo, la nostra legge elettorale pone un problema in più. Non sono sufficienti gli accordi di desistenza al maggioritario (posto che lo siano in Francia, vedremo).
Da noi occorre presentarsi con una coalizione comune sin dall’inizio, anche al proporzionale. E per questo, è importante avere un minimo di programma condiviso. Ma qui si torna alla prima lezione che viene dalla Francia. Bisogna puntare su temi concreti, e popolari, capaci di mobilitare un elettorato che altrimenti si asterrebbe.
Ad esempio la lotta contro i salari bassi e il precariato; ad esempio il rafforzamento della sanità, del welfare, dell’istruzione, degli investimenti a partire dall’ambiente, che vanno finanziati con la redistribuzione fiscale (come proposto in Francia) e con la lotta all’evasione. Oltre naturalmente ai diritti civili e alla difesa delle libertà fondamentali. E va spiegato poi che tutto questo è anche un modo per far ritrovare all’Italia la strada di una sana crescita economica, orientata al progresso.
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