Il leader dei Repubblicani annuncia l’alleanza con il Rassemblement, e scattano le proteste dentro e fuori dal suo partito. I macroniani corrono ad aprire le porte ai transfughi. Movimenti anche tra Le Pen, Maréchal e Zemmour. Intanto a sinistra si (ri)tenta l’unione con il Front populaire
Cordoni sanitari in tilt, meloniani che si avvicinano ai lepeniani, e poi la resurrezione di una unione delle sinistre ecologiste che pareva sepolta: entro domenica in Francia vanno presentate le liste per le elezioni legislative annunciate la settimana prima dal presidente, e allora ecco scomposizioni e ricomposizioni al cardiopalma. L’unico che in apparenza non si scompone è l’artefice di tutto, Emmanuel Macron.
«Resterò presidente»
Neanche il tempo di vedere ufficializzato lo smacco subìto alle europee – l’umiliante 14,6 per cento raggranellato dal campo presidenziale a fronte di un Rassemblement National al 31,4 – e già l’inquilino dell’Eliseo era davanti a una telecamera a sciogliere l’aula e a convocare le elezioni legislative. Era stata la richiesta, pochi minuti prima, del capolista lepeniano Jordan Bardella; ma non basta certo pretenderlo: Le Pen lo aveva chiesto pure alle europee 2019, nelle quali era primo partito.
Macron col suo coup de théâtre porta i francesi al voto nel pieno della fase negoziale europea: i summit dei leader per le nomine sono il 17, il 27 e 28 giugno, mentre le urne in Francia sono aperte 30 giugno e 7 luglio. È come se il presidente si presentasse ai Consigli europei che determineranno la guida d’Europa con il fantasma di un Bardella primo ministro al seguito.
«Non sono mica impazzito», assicura, lasciando intendere che il caos sia strategico. È dal 2017 che Macron chiede il voto con l’argomento di fermare Le Pen, e stavolta lo farà a colpi di interventi tv alla nazione più volte a settimana; dopo il voto può intrappolare le opposizioni nella logica “o con noi o con Le Pen”, sperare di logorare Bardella in una coabitazione o adottare altri tipi di soluzioni creative. «In ogni caso il presidente resto io», dice escludendo le proprie dimissioni. Questa è l’unica certezza (forse); fino a che punto si può ingaggiare una crisi controllandone le conseguenze?
Destra e cordoni sanitari
«Abbiamo bisogno di un’alleanza per evitare il pericolo della sinistra che potrebbe avere una maggioranza in parlamento, dunque un’alleanza a destra, con i valori della destra, anche assieme al Rassemblement National». Queste parole di Éric Ciotti hanno innescato questo martedì la deflagrazione della destra tradizionale dei Républicains, già in declino elettorale da tempo.
Ancor prima di assumere la guida dei Repubblicani, Ciotti guardava con favore alla destra estrema e all’“unione delle destre” ventilata da Marion Maréchal. Il suo annuncio – fatto da presidente di un partito che in Ue siede tra i popolari – ha reso evidente l’ennesima lacerazione del cordone sanitario. E la lacerazione è anche dei Repubblicani stessi, che dividendosi potrebbero fare il gioco del “presidente attrape-tout, acchiappa-tutti”: è così che il campo macroniano era nato, attraendo centristi da destra e da sinistra.
«Tendiamo la mano a chi non collabora con l’Rn»: lo ha proprio detto, il ministro delle Finanze macroniano Bruno Le Maire. E non a caso uno dei primi a rivoltarsi per l’annuncio di Ciotti è stato il presidente del Senato Gérard Larcher, il repubblicano sul quale si erano poggiate le attenzioni di Macron come possibile premier. «I militanti sono con me», ha provato a schermirsi Ciotti mentre si allungava la lista di repubblicani che ne chiedevano le dimissioni da presidente, accusandolo di «averci mentito». Intanto cominciava la fuga di senatori dal partito, fuga pure di notizie: pare avessero votato contro l’alleanza col Rn; Ciotti li avrebbe traditi.
Corre dietro ai lepeniani anche Marion Maréchal, che da qualche mese si è accomodata nei Conservatori, il gruppo meloniano in Ue. C’è solo un ostacolo, a questo avvicinamento parigino tra lepeniani e meloniani, e porta il nome di Éric Zemmour, cofondatore di Reconquête assieme a Maréchal: «Bardella mi ha detto che non vogliono essere associati a lui», ha detto lei questo martedì. Troppo estremo per una Le Pen che deve normalizzarsi: e così per paradosso è lei che tira su cordoni sanitari.
Il fronte di sinistra 2.0
Mathieu Gallard di Ipsos France stima che un Rassemblement in versione rafforzata possa arrivare al 37 per cento, ma se si unisce anche la sinistra può essere competitiva, sfiorando il 32 per cento.
Devono averlo capito anche i maggiorenti di partito, che lunedì sera si sono chiusi in una stanza coi cartoni delle pizze e ne sono usciti con un patto. Alle legislative 2022 la Nupes, l’unione delle sinistre ecologiste, era stata una salvezza – e aveva consegnato 131 seggi, ben più del Rn – ma era presto deflagrata, anche alle europee.
Ora resuscita come nuovo Front populaire, e promette di tenere insieme France Insoumise, Partiti socialista e comunista, Place publique, ecologisti, e chi più ne ha più ne metta: si pensa anzitutto ai sindacati che si erano mobilitati contro la riforma delle pensioni, e ai giovani che già domenica sera erano radunati in piazza della Bastiglia a invocare l’unione.
Durerà? Raphaël Glucksmann, il socialista che con Place Publique alle europee ha sfiorato il 14 per cento e che per le sue posizioni centriste piace anche ai macroniani, già tira la corda, forte del sorpasso sulla France Insoumise (quasi al 10): il patto «non può portare alla rinuncia dei princìpi».
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