Batosta alle urne per i Popolari austriaci, che sono disposti a dialogare coi postnazisti. Ma per ora c’è il veto su Kickl cancelliere. L’alternativa (difficile) è la grande coalizione
Questa domenica alle urne i postnazisti austriaci di FPÖ – gli stessi che hanno ancora un accordo di cooperazione col partito di Putin, che vogliono imitare il modello Orbán e che sono stati prontamente festeggiati dalla Lega di Salvini – hanno sfondato. Non il cordone sanitario, perché quello in Austria non è mai esistito, ma la soglia delle aspettative, quelle che fino all’ultimo hanno fatto sperare a Karl Nehammer – il cancelliere popolare – di ridurre al minimo le distanze e assicurarsi così una posizione di forza. «Non ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato, e questo è amaro», ha ammesso.
Il suo reale obiettivo non è mai stato quello di impedire all’estrema destra di far parte di una coalizione di governo, ma di disarcionare il suo leader Herbert Kickl così da restare cancelliere. Visti i risultati, i Popolari di ÖVP – che restano il vero ago della bilancia per qualsiasi ipotesi di governo – avranno più difficoltà a estromettere Kickl, ferma restando la possibile sponda del presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen, allergico alla nomina di un premier postnazista.
Le affinità tra destre restano maggiori che quelle coi socialdemocratici di Andreas Babler, arrivati terzi. Peraltro coi nuovi equilibri elettorali un’alleanza secca ÖVP-SPÖ (rispettivamente 52 e 41 seggi dunque 93) raggiunge la maggioranza assoluta (che è 92) per un soffio: va considerata una sponda liberale (Neos con 18 seggi il 9,2 per cento è arrivato quarto) e magari verde (16 seggi e l’8,3 per cento).
Equilibri rovesciati
Così come l’Italia con Berlusconi e Meloni ha rappresentato un apripista per la destra a livello internazionale, così l’Austria anticipa tendenze. Qui da almeno vent’anni i Popolari cooperano con l’estrema destra convinti di poter mantenere il controllo, e sempre qui si è visto che questa è un’illusione.
Appena si sono chiuse le urne e sono apparsi gli exit poll, nel quartier generale dei Popolari le espressioni sono mutate d’improvviso dal sorriso alla più sfrenata delusione; fino a un secondo prima si pasteggiava a prosecco e wiener würstchen. FPÖ (già primo alle europee) sfiora il 29 per cento (il 28,8 che si traduce in 56 seggi) e guadagna quasi 13 punti (12,6) rispetto alle ultime politiche, l’ÖVP supera appena il 26 per cento (26,3 per cento e 52 seggi) e perde 11 punti (11,2), dunque l’estrema destra è in testa con due punti e mezzo di vantaggio.
In Austria la cooperazione tra destra estrema e Popolari non è un inedito: i due partiti governano già insieme in questo istante in tre regioni – Austria Bassa, Austria Alta e Salisburgo – e hanno sperimentato alleanze a livello nazionale dal 2000; erano i tempi di Jörg Haider alla guida di FPÖ e l’Ue lanciò le sue prime sanzioni contro un paese membro proprio perché l’estrema destra partecipava al governo coi Popolari.
Ma all’epoca Haider accettò di lasciare il ruolo di cancelliere (e la bussola politica) a ÖVP. Così come a Bruxelles il Ppe con Manfred Weber ha aperto a Meloni nella convinzione di restare alla regia delle destre, così i Popolari austriaci si aggrappano all’idea di restare egemonici in una coalizione destrorsa. «Nessuna preclusione: siamo pronti a cooperare con tutti. Ma Kickl non sarà cancelliere», continua a dire Nehammer. Come molti partiti di centrodestra in Ue, i Popolari austriaci si sono spostati sempre più a destra, comprimendo l’ala moderata; la attuale leader del partito liberale Neos, Beate Meinl-Reisinger, si è allontanata da ÖVP anche per questo una decina di anni fa, durante l’ascesa di Sebastian Kurz.
Il test di compatibilità tra il programma dei Popolari e quello di FPÖ vede una convergenza su 19 dei 25 punti (coi socialdemocratici solo su 10). Nehammer – come il Ppe – si presenta come «il centro che vi salverà dagli estremi», ma si accontenterebbe di restare lui il cancelliere, non Kickl. Quest’ultimo, ex ministro degli Interni del governo Kurz, da trent’anni è ideologo del partito e pensatore dei più aspri slogan elettorali; evoca il lessico nazista, simpatizza per il movimento identitario, vede in Orbán un alleato e un modello. Ma il resto di FPÖ non è certo più morbido. Al comizio finale a Stephansdom, oltre a Kickl che se la prendeva coi lockdown e con gli Usa, Dominik Nepp, leader del partito a Vienna, vantava: «Solo noi non facciamo guerra alla Russia»; e dal palco la band urlava slogan skinhead («oi! oi!»). Un FPÖ senza Kickl non sarebbe meno estremista, ma per ÖVP il punto è fare il pilota.
L'alternativa impervia
Difficile che con questo risultato storico Kickl rinunci alla sua scommessa di fare il cancelliere. I socialdemocratici – che sono arrivati terzi con il 21,1 per cento e 41 seggi – si sono già detti pronti a dialogare per governare, e anche i liberali sono in assetto da dialogo: se Nehammer vuole mantenere il ruolo di perno di una coalizione senza digerire Kickl, allora potrebbe negoziare una grandissima coalizione.
Le distanze tra i Popolari e il volto del partito socialdemocratico, Andreas Babler, restano ben più abissali – in termini programmatici – di quelle tra Nehammer e Kickl. Anche per questo già da settimane, se non mesi, il vero centro di potere di SPÖ, e cioè l’establishment viennese del partito, a cominciare dal sindaco della capitale, ha portato avanti un boicottaggio latente di Babler: lui rappresenta quell’ala sinistra che i socialdemocratici viennesi vedono da tempo come un impedimento a un’alleanza coi Popolari.
Prima sono filtrati alla stampa gli attacchi di Doris Bures, la capolista viennese fedelissima del sindaco viennese Michael Ludwig, che in una lettera ha preso di mira le proposte economiche di Babler. E i due – Bures e Ludwig – hanno applaudito solo forzatamente, durante il comizio al Prater, mentre Babler sudava sul palco entusiasmando la base in un clima da festa dell’unità dei tempi d’oro.
Infine persino il giorno del voto sono circolati rumor che l’establishment del partito nelle ultime settimane avesse già iniziato a negoziare con ÖVP la defenestrazione di Babler – puntando sull’assessore alle finanze viennese Peter Hanke come alternativa – nella speranza di non restare fuori dal potere.
«La mia biografia è quella di un figlio della classe operaia», racconta Babler stesso. «Se i miei genitori hanno potuto avere un tetto sulla testa, lo devo alla socialdemocrazia. Sono stato un bambino che ha potuto godere della socialdemocrazia: quella parola per me significa tuttora buoni salari, buone condizioni di lavoro, conquiste sociali…. La mia promessa è che i bambini possano vivere meglio dei loro genitori». Ma tra rianimare la Bassa Austria e arrivare a prendersi la leadership dell’SPÖ, con il suo centro di potere vienno-centrico, passa una bella distanza. A dispetto dell’entusiasmo che le sue idee di sinistra hanno suscitato tra gli iscritti, Babler è un leader che non ha potuto esecitare la leadership fino in fondo.
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