Viktor Orbán non ha creato solo il proprio potere, ma anche il principio della sua fine. Pur di batterlo, destra e sinistra si sono unite e sventolano la bandiera europea nel giorno del voto ungherese. «Il sistema di Orbán è difficile da battere», dice l’uomo che oggi prova a strappargli la premiership, Péter Márki-Zay.

«Ma c’è un intero spettro politico a opporvisi. Le chance non sono mai state così alte». Márki-Zay ripete tutto questo da mesi, e da mesi intensifica i legami con Bruxelles e Washington. La guerra rende evidente che questo voto non è un bivio solo per gli ungheresi, ma per tutti gli europei.

Guerra e propaganda

Una bandiera dell’Ue sventola vicino al ponte Elisabetta di Budapest: alla vigilia del voto, poco prima della manifestazione dell’opposizione, si tiene un raduno per l’Ucraina. Tra i manifestanti c’è chi esibisce le caricature di Orbán e Putin: da almeno 13 anni il leader ungherese stringe rapporti col Cremlino e a febbraio era lì, a incontrare Putin. Da quando l’invasione è iniziata non ha mai puntato il dito contro l’aggressore.

«Se non perde le elezioni, ci troveremo un Putin in Europa!», dice Taisiia, una giovane ucraina che è a Budapest da tempo. «Usa le stesse tattiche di Putin, va fermato». Mentre sui media locali passa anche la propaganda russa, Orbán alla sua base racconta che l’opposizione vuole la guerra e lui la pace. «Se Márki-Zay vince, vi manderà a combattere in Ucraina! I prezzi del gas saliranno! Io voglio pace e stabilità», è la sua versione.

Ed è quella che domina. Dal 2010 inizia la colonizzazione del governo sui media pubblici, dal 2018 la concentrazione senza precedenti di media filogovernativi in un’unica fondazione; poi l’entourage del premier fagocita o costringe a chiudere le testate libere. Negli ultimi due anni Orbán ha provato a irreggimentare anche il mondo accademico trasformando le università in fondazioni.

Scalfire il regime

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La presa sulla società si vede anche nell’affissione di manifesti elettorali: Fidesz ha potuto spendere otto volte più denaro dei sei partiti di opposizione messi insieme, e intanto le concessionarie che gestiscono gli spazi a Budapest sono legate al governo e si regolano di conseguenza. L’opposizione si mobilita come può.

Ha iniziato a lavorare a un fronte comune da due anni. Poi l’esperimento tentato con successo dall’attuale sindaco di Budapest, che ha indetto le prime primarie in Ungheria, è stato replicato a livello nazionale. Márki-Zay, da ex elettore di Fidesz che ha abbandonato quel campo proprio «quando Orbán ha incontrato Putin», ha il profilo ideale: conservatore, di centrodestra, capace anche di convincere qualche orbaniano pentito. «Usiamo anche i social, ma la differenza la fa parlare con le persone», dice András Jámbor.

Sinistra e destra

ELMEDIA

Jámbor ha 35 anni, è nato nell’ottavo distretto di Budapest e qui si candida. Viene dal movimento di sinistra Szikra, oggi è il volto più a sinistra dell’opposizione, ed è uno dei pochi dei quali la vittoria è quasi certa. Mentre fa campagna, un elettore di Fidesz si avvicina a lui con fare aggressivo, e ripete la propaganda di Orbán: se vincete ci sarà la guerra, il gas costerà di più. Ma Jámbor trova la strada per comunicare.

«Nello scorso decennio il premier ha potuto contare su congiunture positive, sui salari in crescita, ma ora c’è l’inflazione e l’insoddisfazione sociale cresce. Orbán prova a dirottare questa frustrazione con la sua propaganda, io da sinistra voglio affrontare i temi sociali», dice. Per i giovani di sinistra come lui quanto conta l’appartenenza all’Ue? «Nella coalizione c’è persino chi vuole gli stati uniti d’Europa. Io penso che dobbiamo puntare a due cose: battere Fidesz e restare ancorati all’Ue, perché Orbán ci sta isolando sempre di più».

Sull’ancoraggio all’Ue, la coalizione è netta, sia a sinistra che a destra. A destra sta Brenner Koloman, che dice: «Orbán fa gli interessi di Putin, non è accettabile. Queste non sono elezioni normali: qui c’è un sistema di potere fondato sul partito del premier, e poi dall’altra parte ci sono tutti i partiiti di ogni spettro ideologico accomunati dai principi democratici». Tra i partiti di coalizione, Koloman è esponente di quello più a destra, Jobbik. Dopo aver incassato il 20 per cento di voti nel 2018, questa formazione, nata con tratti di destra estrema, ha attraversato un processo di mutazione e punta a entrare nella famiglia popolare europea.

L’accademico Koloman è la mente del partito e da intellettuale teorizza la direzione da prendere: quella occidentale. «Dai tempi di re Stefano d’Ungheria siamo più vicini all’occidente. Ma negli ultimi dodici anni Orbán è andato contro questa direzione strategica, perciò su un punto così cruciale siamo con la sinistra, i liberali, i verdi. Bisogna riportare il paese verso l’Europa».

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