- Dove c’è un caso di cattiva amministrazione, dove c’è poca trasparenza, lì interviene Emily O’Reilly, la difensora civica europea. Di questi tempi è più indaffarata che mai, tra lo scandalo della corruzione all’Europarlamento e le opacità della Commissione Ue.
- In questa intervista ripercorre il caso dei messaggini segreti tra Ursula von der Leyen e Pfizer, che condanna come caso di «malgoverno», e spiega perché dai tempi dello scandalo Barroso-Goldman Sachs la Commissione Ue non ha fatto abbastanza contro i conflitti di interesse.
- I grandi interessi privati spintonano le istituzioni mentre la società civile rischia di restare inascoltata. Dopo il caso Qatar, la riforma promessa dall’Europarlamento presieduto da Metsola non è sufficiente, e soprattutto «manca la volontà politica». Peccato che la trasparenza sia «alla base della fiducia» dei cittadini verso l’Ue.
Dove c’è un caso di cattiva amministrazione, dove c’è poca trasparenza, lì interviene Emily O’Reilly, la ombudsman dell’Unione europea, e cioè la difensora civica europea. Al suo decimo anno in questo incarico, O’Reilly è stata confermata in ben tre elezioni. Nella sua vita precedente era una giornalista, e poi la prima ombudsman donna nel suo paese di provenienza, l’Irlanda.
Non bastano le dita di una mano, per contare gli scandali che stanno travolgendo l’Ue. C’è la Tangentopoli dell’Europarlamento, ci sono i messaggini segreti di Ursula von der Leyen con Pfizer… Lei è sempre più indaffarata, immagino.
Le istituzioni Ue con i loro poteri regolatori sono il bersaglio di aziende, di attori esterni, di tanti che provano a influenzarle. Lo scandalo Qatar ha aumentato la consapevolezza generale e quindi sto ricevendo tantissimi reclami.
I grandi interessi privati hanno molte possibilità di accesso alle istituzioni, non sempre vale lo stesso per la società civile: in alcuni casi recenti, la Commissione ha svolto centinaia di incontri con aziende, nessuno con le ong. Eppure la destra europea sta utilizzando lo scandalo qatariota come grimaldello contro le ong. Cosa ne pensa?
Per quel che ho potuto apprendere, l’associazione Fight Impunity, legata ad Antonio Panzeri, era stata messa su proprio come veicolo per le attività poi emerse nelle indagini. Ma mi pare fuori luogo usare questo esempio per portare avanti una critica verso la società civile, come invece sta accadendo. Quella ong aveva un ruolo specifico che non è affatto tipico della società civile in generale. Certo, serve trasparenza, e più ce n’è, meglio è, ma come lei stessa dice la società civile non ha certo un ammontare di risorse paragonabile a quello delle grandi imprese, per influenzare le istituzioni! Anche semplicemente il denaro fa la differenza. Per esempio, ho riscontrato che durante i triloghi – i negoziati informali fra Consiglio, Parlamento e Commissione Ue per finalizzare un accordo su un provvedimento – è molto più facile che le informazioni trapelino alle corporation; del resto hanno soldi per assumere gente apposta. Già questo dà l’idea dello squilibrio a sfavore della società civile; e non dico che siano tutti santi, ma rappresentano un interesse generale ed è importante che i cittadini vengano ascoltati.
Dopo il caso Qatar, l’Europarlamento ha avviato un percorso di riflessione interna. Cosa ne pensa della riforma ventura?
L’altro giorno ho spedito una lettera alla presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, per dire che alcune idee contenute nella sua bozza – come il periodo di raffreddamento per gli eurodeputati – sono positive, ma che le proposte vanno decisamente irrobustite.
Pensa davvero che gli europarlamentari partoriranno una riforma decisiva?
A parole, l’Europarlamento vuole una riforma che lo renda il più possibile resistente alla corruzione. Vuole diventare corruption-proof. Ho una certa esperienza su quali siano gli elementi necessari perché un organo indipendente funzioni davvero: deve avere potere di iniziativa, di sanzione, e poter verificare che le sue raccomandazioni siano implementate. Al momento invece c’è un comitato consultivo di europarlamentari che non possono avviare un’indagine se non è il bureau a chiederlo. Non c’è indipendenza, non c’è potere di indagine, e ci sono pure forti restrizioni su cosa pubblicare. Ho affrontato un caso proprio di recente. Il comitato consultivo stava indagando sul friendship group Ue-Cina, ma si è rifiutato di rendere pubbliche le sue osservazioni. Sa con quale motivazione? Che se le conclusioni fossero state rese note, ciò avrebbe generato pressione sul presidente perché desse loro seguito. L’argomento che mi è stato fornito fa capire quanto sia limitata l’indipendenza dell’organo attuale.
Il tempo passa e la proposta promessa da von der Leyen a inizio mandato, per un organo etico indipendente, non è ancora sul tavolo.
Le mie perplessità sull’organo dell’Europarlamento valgono anche per la Commissione europea. Lì al momento c’è un comitato etico ad hoc, ed è composto da un ex membro della Commissione, un ex dell’Europarlamento, e un membro della Corte di giustizia. Lo chiamano “indipendente”, ma non può investigare su nulla – neppure se c’è uno scandalo plateale – a meno che non sia la Commissione stessa a chiederlo. Nelle scorse settimane, quando von der Leyen ha detto che questo comitato potrebbe essere preso a modello per il nuovo organo etico indipendente, ho pensato: ma scherziamo? E ho detto: per me no.
Perché la proposta latita?
Se non c’è è perché non la si vuole. Io ho una regola che finora non è mai stata smentita: è sempre la volontà politica a fare la differenza. In Ue, quando lo si vuole davvero, si mobilitano risorse, ci si mobilita… Quando ciò non avviene, è perché non c’è la volontà politica.
Lei nel 2018 ha concluso la sua indagine su José Barroso, l’ex presidente della Commissione europea, e il suo caso di porte girevoli. Il tema però rimane, e il modo di affrontarlo è cambiato poco: penso a come Bruxelles ha gestito le consulenze dell’ex commissario Günther Oettinger. Tutto cambia perché nulla cambi?
Se c’è un requisito che un ombudsman deve avere, è di certo la pazienza. Si fanno piccoli passi, a volte con qualche accelerazione, dovuta magari a uno scandalo, come quello qatariota di adesso. Dopo la mia indagine è stato prolungato il periodo di raffreddamento, ma molte mie raccomandazioni sono cadute nel vuoto. Non penso ci sia una coscienza adeguata dei danni che fanno le porte girevoli, che sono una forma meno dichiarata di corruzione.
Barroso fece scalpore per il passaggio a Goldman Sachs, ma anche Ursula von der Leyen ci dà materiale di cui discutere. O meglio, non ce lo dà: possibile che quei messaggini con l’amministratore delegato di Pfizer non siano ancora saltati fuori? Sono stati distrutti?
Le dirò di più: nonostante le inchieste giornalistiche sugli sms scambiati durante la negoziazione del contratto sui vaccini, la Commissione europea non ha mai apertamente ammesso neppure la loro esistenza.
Esiste un libro, a firma di Albert Bourla che è il ceo di Pfizer in questione, e da lì lo si può in qualche modo dedurre, nel senso che lui vanta i rapporti più che cordiali con la presidente di Commissione.
Sta dicendo che per sapere la verità un cittadino europeo si deve affidare ai memoir dei manager?
Io posso dire qual è la conclusione che ho tratto dopo le mie indagini sul caso: per me la Commissione è colpevole di malgoverno. Faccio ciò che posso, e posso dire che in seguito sono state avviate interlocuzioni con la Commissione su come vanno gestiti gli sms in futuro.
Mi scusi, ma che gli sms in questione vadano trattati a tutti gli effetti come documenti, non era già chiaro con il quadro normativo vigente?
È quel che ho sostenuto anch’io: per me il regolamento 1049 del 2001 porta già a queste conclusioni, ma la Commissione ha sostenuto altrimenti e ha fatto leva su questo.
Ci sono innumerevoli episodi di richieste inevase di trasparenza sui contratti per i vaccini. Come può von der Leyen continuare impunemente a non dare chiarimenti?
Io ho concluso i miei lavori parlando di malamministrazione, anche la Corte dei conti Ue si è espressa negativamente e la procura europea indaga. Come dico sempre, quando i cittadini pensano che le cose vengano nascoste, ciò genera sfiducia.
Il caso dei vaccini è particolarmente delicato: in Italia il dibattito è stato molto polarizzato, tra no vax e pro vax. Chi difende la scienza e i vaccini non merita a maggior ragione un approccio trasparente?
Chi governa ha l’obbligo di essere trasparente, ancor più visti i sacrifici che la popolazione ha fatto durante la pandemia. Scelte come il lockdown sono sostenibili solo in un’ottica di fiducia verso le istituzioni.
Una mancanza di chiarezza è un errore comunicativo oltre che morale: può essere strumentalizzata da euroscettici e no vax. Meglio ammettere chiaramente gli errori che star zitti. Una comunicazione aperta riduce le tensioni.
Davvero lei liquida l’opacità di Bruxelles come un errore di strategia comunicativa?
Non so cosa succede dietro le quinte, le influenze giocate, io posso solo fare la mia parte e segnalare quando i trattati vengono traditi.
I governi sono i primi a scaricare colpe su Bruxelles, e gli ultimi a essere trasparenti. Con la sentenza De Capitani, la Corte di giustizia ha appena fatto presente anche al Consiglio i suoi obblighi a riguardo. Che ne pensa?
Il Consiglio si ritiene autorizzato a lavorare a porte chiuse in virtù di una natura diplomatica, ma partecipa alle decisioni dell’Ue ed è indispensabile che i cittadini conoscano le posizioni prese al suo interno.
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