Con Bardella capolista, il Rassemblement non fa che crescere nei sondaggi: è al 33 per cento. La strategia di normalizzazione proietta i lepeniani come primo partito francese, e fa di Bruxelles il trampolino verso la presidenza
Le elezioni sono quelle europee ma le urla degli astanti durante i comizi – come quello di domenica al Dôme di Parigi – sono per «Marine presidente».
I sondaggi dicono con pochissimo margine di smentita che domenica il Rassemblement National otterrà un terzo dei consensi e diventerà il primo partito di Francia, oltre che il caso di studio dell’avanzata delle destre estreme sovraniste in Europa.
Queste due trame – le sorti di Marine Le Pen in Unione europea e in Francia – sono estremamente intrecciate tra loro. Come già è avvenuto per l’apripista Giorgia Meloni, anche la leader francese ha un piano a due tappe: prima c’è Bruxelles, per completare il processo di normalizzazione; poi c’è la propria capitale, con l’Eliseo all’orizzonte.
Tutte le mosse del Rassemblement, del capolista alle europee Jordan Bardella e di Le Pen stessa – comprese quelle per scrollarsi di dosso Alternative für Deutschland, pure le critiche al generale Vannacci, le lusinghe a Meloni, o le dichiarazioni sulla guerra in Ucraina – hanno questa strategia di riabilitazione sotto traccia.
Il primo partito
A guardarla coi numeri, quella del Rassemblement pare un’ascesa senza freni. A luglio il 25 per cento nei sondaggi, a fine febbraio il 29, secondo l’istituto Ifop. Il mese dopo, un altro punto in più. La settimana del voto comincia con l’ennesima salita nei consensi: un recentissimo sondaggio Ipsos dice che la lista lepeniana guidata da Bardella è quotata al 33 per cento.
L’astensionismo – tale da far prevedere che voti solo un francese su due – potrebbe rivelarsi come una ulteriore prateria per questo Rassemblement galoppante: «L’RN ha ancora riserve significative tra gli astensionisti e tra i potenziali elettori», come ha messo nero su bianco il politologo Pascal Perrineau.
La destra classica dei Repubblicani, uscita in fin di vita dalle presidenziali del 2022, è data al 7 per cento, mentre gli alleati meloniani di Reconquête – con Marion Maréchal capolista – possono appena sperare di superare la soglia di sbarramento. Insomma, Le Pen – col delfino Bardella – domina incontrastata il proprio campo.
Quanto agli altri: Emmanuel Macron, che è diventato presidente nel 2017 con la promessa di far da argine a Le Pen, in realtà le sta cedendo spazio. Otto anni fa, lei aveva otto deputati, mentre nell’estate 2022 ha sfiorato i novanta, ha ottenuto vicepresidenze d’aula, ha penetrato sia le istituzioni che l’agenda.
Se alle ultime presidenziali la distanza dall’Eliseo si è ridotta, le europee potrebbero essere il trampolino per quelle venture. Con una capolista debole, Valérie Hayer, e con alle spalle riforme impopolari come quella sulle pensioni, il campo presidenziale non fa che calare ed è dato ora al 16 per cento. Ha buon gioco, la coppia Bardella-Le Pen, a trasformare il voto di domenica in un referendum contro il presidente.
Il redivivo Partito socialista, con Raphaël Glucksmann oltre i 14 punti, potrebbe sottrarre altri voti a Hayer, ma in un campo progressista ormai a brandelli: ognun per sé, non c’è più l’unione di sinistra ecologista Nupes che aveva fatto la differenza nell’estate 2022. France Insoumise ed Ecologisti sono dati rispettivamente all’8 e al 6.
Il trampolino per l’Eliseo
«L'Europa non esiste che per le nazioni che la compongono», continua a dire fino all’ultimo Marine Le Pen: proprio come è sempre stato, l’estrema destra intende fare tutt’altro che rafforzare l’integrazione europea. Ciò che cambia è però la strategia: invece che uscire dall’Ue, l’obiettivo è dirottarla. La strategia è meloniana: accreditarsi a Bruxelles, ottenere qui il patentino di governabilità, assumere più peso negoziale possibile.
Perciò RN ha spinto Identità e democrazia a cacciare già prima del voto AfD, che adesso prova a radunare altri postnazisti come gli ungheresi di Mi Hazánk per creare un gruppo ancor più estremo, che finirà per legittimare ancor di più Le Pen.
La strategia di normalizzazione in corso da anni a quanto pare funziona: come mostra lo studio pubblicato quest’anno dalla fondazione Jean Jaurès, la percentuale di francesi che giudicano l’RN come pericoloso per la democrazia è scesa dal 60 per cento del 2015 al 52 per cento di febbraio. Stessa tendenza sul fatto di ritenerlo xenofobo (dal 61 al 50). In aumento invece chi ritiene il partito vicino alle proprie preoccupazioni.
Con l’immigrazione diventata preoccupazione preponderante assieme al potere d’acquisto, torna utile l’armamentario sovranista: dalla «preferenza nazionale» al «patriottismo economico». Ma stavolta l’obiettivo è condizionare le scelte di Bruxelles, e allora ecco comparire in lista chi ne conosce bene i meccanismi, come l’ex capo di Frontex, Fabrice Leggeri (è la strategia di notabilisation).
E poi, per normalizzarsi ancor di più, oltre alla presa di distanza da AfD ci sono quelle verso Vannacci in lista con la Lega: a chi chiedeva conto delle frasi omofobe del generale, Bardella ha risposto che «condanno queste frasi».
Nel dibattito tv con il premier macroniano Gabriel Attal, quest’ultimo ha provato a ricordare dei prestiti russi (come già fatto in passato da Macron negli scontri tv con Le Pen); ma ormai anche sulla guerra in Ucraina la tattica lepeniana è dissimulare.
Le destre di Ppe, Ecr e Id condividono già un’agenda anti clima e migranti, e un coordinamento più stretto con Meloni servirà a Le Pen per aumentare peso negoziale. L’obiettivo non è Bruxelles: quella è solo una tappa; la meta di una vita è l’Eliseo.
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