- La liberale olandese Sophie in’t Veld è all’Europarlamento da quasi vent’anni ed è diventata un simbolo dell’europeismo intransigente: quando Bruxelles tergiversava con Orbán, quando von der Leyen nascondeva i suoi messaggini con le aziende, in’t Veld era in prima fila a esigere trasparenza e diritti.
- In questa intervista, le abbiamo chiesto se c’è una via europeista per riprendersi dalla Tangentopoli europea. E ci siamo fatti raccontare da in’t Veld, che ha stilato il rapporto su Pegasus, se ha notato anomalie su quel dossier.
- L’utilizzo del software spione ai danni degli europei è partito anche dal Marocco; c’è il Marocco pure nello scandalo mazzette. Nella commissione Pega figurano Cozzolino e Arena, i cui nomi sono finiti nell’affaire Qatar. Gli interventi di Kaili «mi puzzavano», racconta in’t Veld. Anche per questo «ho tirato dritto per la mia strada».
Lo scandalo delle mazzette rischia di trascinare a fondo la reputazione delle istituzioni europee, ma deve pur esserci una via europeista per uscirne. E se c’è, la conosce Sophie in ’t Veld. Liberale, olandese, è al parlamento europeo da quasi vent’anni ed è diventata uno dei simboli dell’europeismo intransigente. Quando Bruxelles tergiversava con Viktor Orbán, quando Ursula von der Leyen nascondeva i suoi messaggini con gli amministratori delegati, in ’t Veld era in prima fila a esigere trasparenza e diritti. E c’era in ’t Veld anche quando si è trattato di stilare il rapporto su Pegasus. L’utilizzo del software spione ai danni degli europei è partito anche dal Marocco; c’è il Marocco pure nello scandalo mazzette.
Nella commissione di inchiesta dell’Europarlamento su Pegasus ci sono gli eurodeputati Andrea Cozzolino, Maria Arena, nomi emersi nello scandalo Qatar. Non le pare una coincidenza un po’ particolare?
Certo, potrebbe essere che non sia un caso. Non ho mai parlato con Panzeri, e quando è uscito il nome di Cozzolino ho dovuto cercare su internet la foto per capire di chi si stesse parlando, ma ricordo bene Eva Kaili, visto che era un volto di spicco dei socialdemocratici; era anche relatrice ombra. E ricordo pure quanto fossero anomale le posizioni che assumeva. Quest’estate se n’era uscita con un intervento che mi puzzava. This smells trouble, ho pensato all’epoca. Si parlava dello scandalo intercettazioni in Grecia, che peraltro è stato scoperchiato proprio grazie alle indagini dell’Europarlamento. Negli ultimi tempi si diceva pure che Kaili avesse già un piede dentro Nuova Democrazia, il partito del premier greco. Quando è venuto fuori che Nikos Androulakis – il leader del Pasok ed eurodeputato socialdemocratico – era stato preso di mira per essere intercettato, Kaili se n’è uscita dicendo che se secondo il premier greco Kyriakos Mitsotakis tutto era a posto, avremmo dovuto credergli. Non c’è ragione per investigare, insisteva.
Lei ha steso il rapporto su Pegasus. Ha subìto pressioni?
Sono stata criticata per non aver consultato abbastanza gli altri, ma a posteriori avrete capito perché abbia preferito andar dritta per la mia strada. Ho presentato 160 pagine di report con contenuti critici verso molti governi, c’è chi si è imbizzarrito e ha detto che avrei dovuto consultarmi con gli altri gruppi. Ma io dopo aver visto le uscite di figure come Kaili mi ero detta, come faccio a lavorare con questa gente? La commissione Pegasus era stata molto politicizzata, troppi membri pensavano di dover proteggere i governi o attaccarli, quindi io – a costo di essere accusata di fare di testa mia – mi sono tenuta alla larga da qualsiasi tentativo di condizionamento.
Ha reagito in qualche modo di fronte alle anomalie di Kaili?
Pochi giorni prima che fosse arrestata ho preso un caffè con lei. Ogni settimana usciva qualche nuova rivelazione sullo spionaggio in Grecia, e il suo nome era lì, tra gli spiati. Mi ero detta: probabilmente l’allora vicepresidente del parlamento Ue sarà finita sotto controllo perché è vicina a Vangelis Marinakis, l’oligarca greco il cui nome emerge per traffico di droga e altro; Marinakis stesso non era nella lista degli intercettati, ma molti a lui vicini sì, e avevo sentito dire che lui e Kaili fossero assai vicini. Ho provato a sondare, durante quel caffè: mi sono detta, vediamo come reagisce. Lei mi disse che probabilmente era sotto sorveglianza per le sue attività sui dossier di politica estera, pensai che fossero stupidaggini. Quattro giorni dopo, lei è finita agli arresti.
La Tangentopoli europea finirà per compromettere la credibilità delle istituzioni Ue?
Capisco perfettamente che la gente sia furiosa, e le dirò la verità: lo sono pure io. Chi è implicato in queste attività corruttive sta facendo un danno alle tantissime persone – non solo eurodeputati, ma anche membri dello staff – che sono oneste e lavorano duro. E ci ritroviamo, noi tutti, a doverci giustificare, mentre noi non abbiamo fatto niente. La scorsa settimana all’Europarlamento eravamo tutti provati. Ma in tutta questa storia ci sono anche dei risvolti positivi. Il primo è che il parlamento Ue ha reagito subito. Faremo una commissione speciale per analizzare il sistema, per capire se ci sono modi per prevenire altri casi. Va detto che l’affaire Qatar è attività criminale, quindi certo, irrobustiamo pure le regole, ma accettare mazzette è chiaramente in spregio di ogni regola. Non si può legiferare sulla base delle cattive intenzioni, e soprattutto non possiamo focalizzarci solo sulla corruzione: ci sono altri modi per essere indebitamente influenzati. Anche l’attività lobbistica di colossi come Facebook è pesante. Su di me non fa effetto: ci hanno provato le grandi corporation, e alcuni lobbisti sono usciti dal mio ufficio in lacrime. Bisogna mantenere la lucidità. Ci sono istituzioni Ue, come il Consiglio, alle quali le regole non si applicano per nulla: dove operano i governi, c’è un buco nero.
Qualche mese fa, a Strasburgo, lei mi diceva che il parlamento Ue dovrebbe essere più intransigente anche con la Commissione Ue. Von der Leyen non si muoveva sullo stato di diritto e smessaggiava con Pfizer. Sarà più difficile fare queste rivendicazioni con lo scandalo in corso?
La presidente della Commissione Ue è zelante, ma si muove secondo logiche intergovernative, dietro le quinte e senza alcuna accountability. Peccato che dover rendere conto sia alla base di ogni democrazia. Se noi europarlamentari sapremo reagire in modo compatto per ripristinare la credibilità delle istituzioni europee, potremo uscire da questo scandalo più maturi: ci sarà finalmente la consapevolezza diffusa che oggi ci muoviamo dentro uno spazio politico davvero europeo.
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