Dietro il gioco di prestigio sul portafoglio per Raffaele Fitto, che al momento non contempla il bilancio, si nasconde una sconfitta politica che la premier ha provato a far scivolare inosservata, ma rivelata già settimane fa da Domani. Il gran regista del dialogo con il Ppe dovrà provare a difendere la premier a e da Bruxelles
La delega al bilancio entra, poi la delega al bilancio esce: dietro il gioco di prestigio sul portafoglio per Raffaele Fitto si nasconde una sconfitta politica che la premier Giorgia Meloni ha provato a far scivolare inosservata, ma rivelata già settimane fa da Domani, quando era apparso chiaro che la delega al bilancio – prima data per certa dai retroscenisti e poi silenziosamente scomparsa dal ventaglio di Chigi – era già stata presa di mira da un altro governo europeo.
E dalla evanescenza delle conquiste meloniane si capisce pure perché Fitto sia per la premier sempre più indispensabile: indicato ufficialmente ieri come il nome italiano per la Commissione europea, l’uomo che ha costruito per Fratelli d’Italia il ponte coi popolari europei dovrà ora salvare la leader di governo da sé stessa. Rinfrescarle una patina di attendibilità in Europa. Del resto è così che Meloni intende questa nomina a Bruxelles: come un parafulmine per Roma. E, pur di coprire le spalle al proprio governo, la premier che Ursula von der Leyen aveva promosso a «europeista» sta mostrando tutta la sua carica antieuropea, dato che tutt’altra ratio dovrebbe guidare – secondo i trattati europei – la nomina.
Con questo presupposto, che ruolo avrà l’aspirante commissario nel futuro esecutivo europeo? Lo stesso che ha svolto all’epoca in cui era capogruppo dei Conservatori europei, ma a un altro livello. Il ruolo sarà quello di far assimilare l’estrema destra anche nei gangli di palazzo Berlaymont, dopo averlo già fatto in Europarlamento (si deve a Fitto l’alleanza tattica col Ppe che ha garantito nel 2022 ai Conservatori una vicepresidenza, oltre che un matrimonio politico su Roberta Metsola presidente). Meloni userà ancora una volta tutte le doti di Fitto come pontiere e tutta la sua democristiana attitudine al compromesso per far apparire il governo più a destra della storia d’Italia dal Dopoguerra come un interlocutore «pragmatico e moderato».
Nel frattempo avremo una Commissione europea che volta sempre più a destra, per lo stradominio di componenti di centrodestra, di falchi di ogni sorta (che si tratti di austerità della spesa pubblica o della linea in politica estera), per lo squilibrio di genere al maschile (che la nomina di Fitto sbilancia ulteriormente) e inoltre per la presenza di un (quasi ex) ministro di un governo di estrema destra.
La casella Fitto in Ue
La nomina è arrivata a ridosso della scadenza, quando ormai quasi tutti i leader avevano deciso. «Attendo adesso con fiducia i prossimi passaggi previsti dai trattati per il completamento del processo di nomina». La «fiducia» di Fitto è corroborata dal rapporto già collaudato sia con la presidente Ursula von der Leyen – perché da ministro degli Affari europei è sempre stato lui il referente europeo di Meloni – che con il leader dei Popolari europei, l’«amico» Manfred Weber, che ha già esplicitato il supporto della sua famiglia politica prima ancora che la nomina fosse ufficiale. Ma quali sono i passaggi di cui sopra?
Un punto cruciale è l’attribuzione delle deleghe. Al netto dei sogni, come quello di ottenere la concorrenza, in queste settimane i retroscenisti vicini a Chigi hanno dato per certo prima un portafoglio composto da bilancio, coesione e Pnrr; poi negli ultimi giorni il bilancio è scomparso dal parterre. Come scritto su Domani prima di Ferragosto, già allora – mentre a Roma si dava per certo il bilancio per Fitto – Donald Tusk, il premier polacco la cui posizione nel Ppe si è rafforzata con le ultime elezioni, riteneva che fosse «molto probabile che il venturo commissario polacco Piotr Serafin otterrà il portafoglio chiave dal punto di vista della Polonia: il bilancio europeo».
Ecco perché negli ultimi giorni la parola “bilancio” è finita eclissata dai retroscena. Sono rimaste solo le deleghe a “coesione e Pnrr”. Interrogate sul punto da Domani, fonti europee di Fratelli d’Italia ritengono «plausibili» queste due deleghe – coesione e Pnrr – e pure che il bilancio Ue resti «spacchettato» (che insomma non sia Fitto a ottenere anche questo spicchio). Quanto alla coesione – casella finora occupata dalla portoghese Elisa Ferreira – già ad aprile gli interventi di Fitto in materia facevano presagire un suo ruolo in Ue, dato che il ministro pensava già a come adattare la distribuzione dei fondi dopo un ulteriore allargamento dell’Ue. La delega Pnrr è una versione tagliata per la propaganda domestica, dato che il Pnrr è il piano nazionale; la Commissione gestisce il livello europeo, Next Generation Eu (l’indebitamento comune), esperienza nata con data di scadenza 2026. Per poter vantare un trionfo, Meloni sta puntando all’etichetta di vicepresidenza esecutiva che finirebbe in sorte anche alla suddetta Polonia, a Francia, Italia e Spagna. Un tributo al peso del paese, insomma; ma Meloni lo farà apparire come una propria ricompensa.
Dopo che von der Leyen avrà definito per iscritto la articolazione di competenze dei commissari, il lavoro si sposterà all’Europarlamento. La commissione giuridica verificherà che Fitto non abbia conflitti di interesse, e in base alle deleghe attribuite si deciderà quali commissioni debbano mettere sotto torchio l’aspirante commissario. Servirà infine il via libera dei due terzi dei coordinatori di commissione per una approvazione: la loro lettera di valutazione giocherà un ruolo importante, e solo dopo – quando tutti i commissari saranno passati sotto la graticola – la plenaria dovrà approvare la nuova Commissione europea.
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