Dietro gli sforzi dell'aspirante premier lepeniano per «rassicurare opinione pubblica e investitori» si celano «grandi contraddizioni», come spiega in questa intervista il massimo esperto di estrema destra francese Jean-Yves Camus. Appurato che «il cordone sanitario non esiste più» e che «Macron ha responsabilità nell’avanzata di Le Pen», dopo le legislative il panorama a destra muterà ancora
Dai rapporti con la Russia alla tenuta dell’economia, passando per xenofobia e totale inesperienza di governo: sono solo alcune delle «grandi contraddizioni» che si celano dietro gli sforzi del lepeniano Jordan Bardella per «rassicurare elettori, investitori e partner della Francia» riguardo a un governo da lui guidato. Questa è l’analisi del massimo esperto di estrema destra francese Jean-Yves Camus, che guida l’Observatoire des radicalités politiques della Fondazione Jean Jaurès. Appurato che «ormai il cordone sanitario non esiste più» e che «Emmanuel Macron ha precise responsabilità nell’avanzata del Rassemblement national», dopo le legislative il panorama a destra muterà ancora.
Qual è la sua impressione sul programma presentato da Bardella?
Ha fatto di tutto per rassicurare opinione pubblica, investitori e partner della Francia dicendo che vuole un governo di unità nazionale, che il Rassemblement national (Rn) è un partito responsabile, che non provocherà crisi di debito e troverà i mezzi per finanziare il proprio programma economico. Niente di tutto ciò quadra. Non si tratterebbe di un governo di unità nazionale visto che sarebbe di Rn, del pugno di repubblicani che hanno seguito Éric Ciotti e di pochi altri: non riunirà neppure i Repubblicani del canale ufficiale. Inoltre, checché ne dica Bardella, non propone soluzioni chiare per finanziare un programma che avrebbe un costo enorme.
Nel caso di Meloni il posizionamento pro Kiev ha facilitato la normalizzazione dell’estrema destra. Bardella prova a mascherare il versante filorusso del Rassemblement. Ma l’operazione funziona?
Anche sul fronte della politica estera Bardella offre grandi contraddizioni. Va dicendo che la Russia rappresenta una minaccia multidimensionale ma poi rifiuta di trattarla come un nemico visto che si oppone all’idea di mandare truppe o missili in grado di colpirla. A parole l’aspirante premier vuol far dimenticare che il Rn sia un partito filorusso, ma a ben guardare i suoi propositi sono in linea con ciò che a Mosca farebbe comodo. La vostra premier sull’Ucraina non finge; semplicemente ha scelto di non andar contro l’Ue tutto il tempo e su tutto. Nel Rn la svolta antirussa è decisamente meno sincera. E poi mi viene in mente anche un’altra differenza sostanziale tra Meloni e Bardella: Fratelli d’Italia non governa da solo, e inoltre il partito è erede di Alleanza nazionale, che aveva una pratica del potere da inizio anni Novanta. Nel partito meloniano c’è una cultura di governo più antica rispetto al Rn, che non ha governato neppure una regione.
Le Pen non si sta attrezzando? Si parla di un processo di “notabilisation” del partito: prova a dotarsi di quadri e funzionari. Alle europee ad esempio ha candidato l’ex capo di un’agenzia Ue.
A parte qualche candidato con esperienza in affari dello stato, la maggioranza non ne ha alcuna. Bardella stesso non ha mai governato neppure una città. Quando Macron ha iniziato la sua ascesa si è almeno attorniato di figure che avevano guidato comuni importanti, come Édouard Philippe.
Sotto giacca e cravatta, la cultura politica del Rn resta la stessa xenofoba di sempre?
Certo, e lo si vede ad esempio dalla proposta di vietare ai binazionali di lavorare in alcuni settori dell’amministrazione. Su questo il Rn non cambia, anche perché se lo facesse perderebbe il suo elettorato.
Alle elezioni del 2022 lei ci aveva spiegato che mentre Reconquête guardava alla borghesia radicale di destra, il Rn cercava un elettorato più popolare. Ma è ancora così? Bardella fa promesse alle imprese e ha il sostegno del magnate Vincent Bolloré.
Magari non le multinazionali, vista la retorica anti globalizzazione, ma sicuramente il Rn può attrarre le piccole e medie imprese che si riconoscono più volentieri in politiche di stampo protezionista. Quanto a Bolloré, è un uomo di destra con forti convinzioni cattoliche che si è persuaso che oggi la vera destra sia incarnata dal Rassemblement. Inoltre pare che i suoi canali tv orientati verso l’estrema destra siano un’operazione che finanziariamente gli va bene: di recente CNews ha spodestato BfmTv in termini di audience.
Se Ciotti riesce a eleggere i suoi coi voti di Rn, i Repubblicani rischiano l’estinzione. Intanto Darmanin parla di «destra da ricostruire». Come cambierà il paesaggio politico a destra?
Non va dimenticato che i Repubblicani hanno ruoli di governo negli enti locali. Se dovessero uscire ancor più indeboliti dalle legislative, sarà loro necessaria una ricostruzione. Al momento il paesaggio a destra appare scomposto, e movimentato dalle ambizioni di tanti: Bertrand, Bellamy, Darmanin, Philippe, Le Maire... Tutto apparirà più chiaro quando i Repubblicani dovranno prendere le misure della disfatta.
Nel 2017 Macron si proponeva come argine all’estrema destra. Rischia di essere il presidente che la porta al governo. Ha responsabilità nell’ascesa del Rn?
Penso di sì. Di recente pare convinto che i francesi chiedano un altro stile di governo, ma avrebbe dovuto accorgersene già pochi mesi dopo essere diventato presidente. I segnali sono stati molteplici, dai gilet gialli alle proteste per la riforma delle pensioni, ma lui non ha voluto cambiare i suoi piani né nel contenuto né nel modo di presentarli, anzi ha se possibile peggiorato la situazione. Anche la scelta di intervenire nelle campagne per europee e legislative a dispetto del ruolo presidenziale è a dir poco discutibile.
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