Questo mercoledì si tiene il voto di sfiducia, che ha già più sostenitori del numero necessario. Il nodo politico non riguarda solo un nuovo governo, ma le presidenziali, checché ne dica Macron («fantapolitica»). Domenica Trump a Parigi
Mentre Michel Barnier si prepara ad assistere questo mercoledì pomeriggio alla fine del proprio governo, Emmanuel Macron ha già pensato da giorni a come sostituirlo e da mesi a che fine farà lui stesso. «Non posso credere alla sfiducia», bluffa il presidente lanciando affondi in ogni direzione (Le Pen «di un cinismo insostenibile», i socialisti «allo sbando»).
Un governo al capolinea
Ma è un bluff, appunto: Macron sa bene quel che sta accadendo. E non sono rimasti dubbi sul fatto che questo mercoledì l’esecutivo guidato da Michel Barnier – il repubblicano che ha negoziato la Brexit coi populisti e un governo con l’estrema destra – verrà sfiduciato. Non solo i numeri ci sono, ma sfondano la soglia: bastano 288 voti ma già 325 parlamentari si sono esposti per sostenere la “motion de censure”.
Da Marine Le Pen è dipesa la nascita dell’esecutivo così come la possibilità e il momento per farlo saltare: il governo di minoranza si fondava sulla non belligeranza (e sopravviveva sotto i pesanti condizionamenti) dell’estrema destra, ma il Rassemblement National ha chiarito sin da subito che l’esperimento era solo pro tempore. L’occasione per lo strappo è arrivata quando Michel Barnier, dopo aver negoziato fino all’ultimo concessioni all’estrema destra sulla legge di bilancio, a un certo punto – e cioè sulla richiesta di adattare le pensioni all’inflazione – ha tirato dritto. E attivando l’articolo 49.3 della Costituzione non ha solo scavalcato l’aula per far passare il provvedimento, ma le ha anche messo in mano la possibilità di sfiduciare il governo.
Da sinistra e da destra, si sono sommate quindi le intenzioni di rovesciarlo. Era già successo – sempre con le pensioni sullo sfondo – con il governo Borne, ma all’epoca i macroniani avevano una maggioranza almeno relativa e l’operazione di sfiducia non era riuscita. I precedenti andati in porto sono ormai nella storia: l’ultimo risale al 1962. Stavolta però il Fronte popolare (France insoumise, socialisti, ecologisti e comunisti) è la prima forza politica, oltre che la più insoddisfatta: Macron l’ha di fatto esautorata imponendo un governo che guardava a destra (estrema). Quanto a Marine Le Pen, il suo obiettivo per ora è far saltare l’esecutivo (guardando all’Eliseo) e quindi ha immediatamente garantito che il gruppo del Rassemblement National non avrebbe solo proposto una mozione di sfiducia, ma anche votato quella degli altri.
La fine del governo Barnier andrà in scena quindi questo mercoledì a partire dalle 16, quando Eric Coquerel (presidente della commissione Finanze e proveniente dalla France insoumise) presenterà la mozione con più sottoscrittori, cioè quella sostenuta dal Fronte popolare. «La sinistra non sta con l’instabilità e il caos, ma l’assenza di dialogo, il disprezzo per le proposte e il lavoro parlamentare, rendono la sfiducia necessaria», recita questa mozione. Che non risparmia affondi a Le Pen: «L’uso del 49.3 da parte di Barnier non è che l’effetto della scelta di Macron di nominarlo nonostante avesse solo un sostegno debolissimo sia in aula che nel paese, relegandone così la sopravvivenza a un accordo chiaro con il Rassemblement National». Ma il Rassemblement voterà per questa mozione, dunque verosimilmente non si arriverà neppure a mettere alla prova del voto la seconda, quella proposta dall’estrema destra (Le Pen con l’aggiunta di Ciotti).
Il tutto dovrebbe durare circa quattro ore: alle 16 si inizia con il dibattito, la presentazione delle mozioni e le reazioni di Barnier; poi si vota la mozione principale, e se passa non si arriva a votare la seconda; il tutto dovrebbe concludersi per le 20. Il provvedimento che ha innescato la reazione di Le Pen è ormai stato ufficializzato e quindi non sarebbe possibile per il primo ministro intervenire emendandolo con negoziati all’ultimo minuto; del resto mancano anche i presupposti politici per una exit strategy di questo tipo.
Macron, il futuro e Trump
L’8 giugno – ovvero il giorno prima che il presidente della Repubblica francese desse il via allo scioglimento dell’Assemblea nazionale senza neppure attendere i risultati ufficiali delle europee, gettando con la sua mossa il paese prima nella paralisi prolungata e poi pure nella convivenza forzata con l’estrema destra – Emmanuel Macron aveva accolto all’Eliseo l’allora presidente degli Stati Uniti, Joe Biden; e non è da escludere che il presidente francese avesse condiviso col presidente Usa i suoi piani, annunciati poi d’impeto il giorno dopo, ma sicuramente ragionati da ben prima.
Così come non è peregrina l’ipotesi che Macron e Trump, nel segreto di una stanza parigina, ragionino sugli scenari anche in questa ulteriore fase delicata: domenica, in occasione della riapertura della cattedrale di Notre-Dame, a Parigi piomberà il presidente designato Donald Trump. Punta sulla Francia in tilt (non sull’Ungheria del sodale Orbán o sull’Italia di Meloni) per il suo primo grande viaggio post elettorale europeo. E ha scelto guarda caso di renderlo pubblico contestualmente all’evolversi della crisi di governo francese, lunedì, quando era ormai chiaro che «la candidata più solida» (come Trump aveva definito Le Pen alle presidenziali 2017) avrebbe tagliato la spina al governo Barnier. Chissà che l’attuale presidente della repubblica francese non condivida col futuro inquilino della Casa Bianca anche qualche indiscrezione sulle presidenziali anticipate. Lui nega l’ipotesi, che anche questo martedì ha declassato a «fantapolitica». Ma è questa la vera scommessa, ben più di quella della nomina del nuovo premier.
Questo mercoledì comincia solo il primo atto di un’opera teatrale di media lunghezza, il cui copione è stato oggetto già questa estate di numerose cene tra macroniani e lepeniani, con il controverso Thierry Solère a fare da padrone di casa e da pontiere. Solère è considerato il consigliere ufficioso di Macron ed è pure amico stretto di Edouard Philippe, che ha preso parte al “pasto con l’estrema destra” e che nelle ore in cui stava per essere nominato il governo Barnier stava già scommettendo da candidato ufficiale sulle presidenziali anticipate in primavera.
© Riproduzione riservata