Annunciando che è pronta a tagliare i fili che lo tengono in piedi, la leader ha ribadito che l’esecutivo (per come Macron lo ha concepito) è poco più che un burattino nelle sue mani. La mozione di sfiducia riguarda palazzo Matignon, ma l’orizzonte sono le presidenziali anticipate
Annunciando che è pronta a tagliare i fili che lo tengono in piedi, Marine Le Pen ha ribadito che il governo Barnier è poco più che un burattino nelle sue mani. La Francia piomba di nuovo nella crisi politica dalla quale in realtà non è mai del tutto uscita sin da quando Emmanuel Macron ha sciolto l’assemblea legislativa lo scorso giugno: tanta è la rapidità con la quale ha convocato nuove elezioni (senza neppure aspettare i risultati ufficiali delle europee) quanto protratta è la destabilizzazione generata.
Dove porterà la crisi
E dov’era Macron questo lunedì, mentre la leader dell’estrema destra – alla quale il presidente qualche mese fa ha deliberatamente conferito il potere di vita o morte sul governo – annunciava il voto del Rassemblement National sulla “motion de censure”, la mozione di sfiducia? Era volato via, in visita ufficiale da Mohammed bin Salman, a stringere la mano del principe saudita; mano nota per aver dato l’ordine di uccidere il giornalista Kashoggi.
Le incombenze internazionali sono ormai diventate per l’Eliseo una via di fuga: dopo che i risultati delle legislative dell’estate avevano catapultato la sinistra del Fronte popolare come prima forza politica, l’Eliseo era rimasto muto per giorni e poi – da Washington – aveva spedito una lettera. Con quella lettera faceva intendere che la sinistra non avrebbe governato, e iniziava uno stallo interrotto solo dalla scelta di nominare Barnier in autunno in accordo con la destra estrema.
Emmanuel Macron è diventato presidente promettendo di arginare il Rassemblement National e uscirà invece dall’Eliseo sotto la spinta (lo spintone) dell’estrema destra: questo è, in fondo, il vero orizzonte politico della crisi che si svilupperà nel corso della settimana con la mozione di sfiducia. Riguarda l’Eliseo, non tanto né solo palazzo Matignon.
Lo sa da tempo chi conosce molto bene il presidente, come l’ex premier del macronismo degli esordi, Édouard Philippe, che è tra i partecipanti delle cene segrete (poi diventate pubbliche grazie alle inchieste giornalistiche questa estate) tra macroniani e lepeniani. Lui stesso, oltre a conoscere bene Macron, è stato a cena con Le Pen. E dato che sia la nascita che la futura morte del governo Barnier sono legate alla scelta della leader di estrema destra, vale la pena ricordare oggi – mentre va in scena la crisi politica – che Philippe prevede elezioni presidenziali anticipate questa primavera. Lo ha fatto intendere non a caso poco prima che Macron annunciasse la nomina a primo ministro per Barnier, ufficializzando in concomitanza la propria candidatura per le presidenziali.
Insomma le mosse di Le Pen di queste ore non rappresentano uno strappo improvviso, ma una dinamica ben orchestrata. Del resto dall’inizio la leader ha annunciato che avrebbe staccato la spina al momento per lei opportuno. Quel momento, a quanto dice, è arrivato. E mentre un presidente da costituzione francese non può sciogliere l’assemblea nazionale prima di un anno, nessuno può escludere che si dimetta lui stesso; neppure il fatto che Macron stesso abbia sempre escluso questa ipotesi fa sì che lo sia per davvero.
L’innesco
Già la Germania si è dimostrata politicamente sempre più fragile, e tornerà alle urne. Il fatto che la Francia piombi di nuovo nell’incertezza, dopo mesi e mesi di crisi e di stallo, rende il caso della mozione di sfiducia eccezionale non solo per Parigi ma per tutta l’Unione europea, che si ritrova con il motore francotedesco completamente in avaria. L’innesco parte da Marine Le Pen, ma è Emmanuel Macron che le ha conferito il potere di attivarlo.
Concretamente, il caso della sfiducia si intreccia con le vicissitudini della legge di bilancio e con il ricorso al fantomatico articolo 49.3, ormai nella memoria collettiva per le pensioni e tuttora innescato anche per quel tema. Il 49.3 permette di scavalcare di fatto il parlamento – perché rende possibile far passare una disposizione senza l’approvazione dell’aula – ma impegna il governo (cioè lo rende “responsabile”, ovvero sfiduciabile) sul provvedimento sul quale viene attivato.
Élisabeth Borne aveva fatto ricorso al 49.3 per imporre la contestatissima riforma delle pensioni, ma l’operazione aveva funzionato perché all’epoca i macroniani potevano contare su una maggioranza almeno relativa. Non è il caso di Barnier: «La sua famiglia politica (i repubblicani, ndr) ha solo 47 deputati!», come gli ha fatto pesare Le Pen stessa durante il weekend, agitando lo spauracchio della sfiducia per condizionare il più possibile la legge di bilancio. Il versante che riguarda la sicurezza sociale è stato il più indigesto, a cominciare dall’idea del governo di ridurre la portata dei rimborsi per le medicine.
Mentre su questo punto le minacce lepeniane hanno portato a una retromarcia, altrettanto non è valso per le pensioni, tema sul quale ancora una volta si scatenano le tensioni politiche nel paese, nonché un’altra delle “linee rosse” dichiarate tali dall’estrema destra. Il governo Barnier ha insistito infatti nel voler disancorare le pensioni dall’andamento inflazionistico, e l’utilizzo del 49.3 su questo punto ha innescato la reazione lepeniana.
Questo lunedì pomeriggio la leader del Rassemblement ha effettivamente annunciato che voterà la sfiducia. Non solo ha presentato una propria mozione, ma sosterrà anche quella presentata dalla sinistra, che è stata già sottoscritta da 185 deputati di France insoumise, partito socialista, ecologista e comunista. Queste forze, che compongono il Fronte popolare, denunciano «la linea dell’austerità» intrapresa dal governo e inoltre la «mancanza di dialogo»: mentre il governo con l’estrema destra ha dialogato sin dalla propria nascita, viceversa la stessa nascita del governo Barnier si fonda sul rifiuto di Macron di coinvolgere il Fronte, pur essendo quest’ultimo la formazione più votata alle legislative.
Qualora al momento del voto sulle sorti del governo (che si terrà a metà settimana) sia il RN che il Fronte popolare votino insieme per una mozione, la soglia perché la sfiducia passi (cioè 288 voti) verrà raggiunta e superata.
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