L’Spd è riuscita a superare l’ultradestra ma a discapito dei possibili alleati. E per molti analisti la coalizione “semaforo” potrebbe non arrivare a Natale
Solo pochi minuti è durata la delusione dei militanti dell’AfD quando domenica sera hanno visto sfumare il sogno di conquistare la palma di prima forza politica del Brandeburgo. In men che non si dica, così narrano alcuni cronisti, nella sala del locale in un sobborgo di Potsdam che ospitava il comitato elettorale del partito dell’ultradestra i presenti sono esplosi a cantare la Abschiebesong, titolo che si potrebbe tradurre con «la canzone dell’espulsione», con tanto di balli annessi.
«Ehi, che succede? Noi li cacciamo tutti», ululavano soprattutto i più giovani dei presenti, qualcuno si è messo a ballare. Nel video che accompagna la canzone si vedono delle hostess e dei piloti biondi e alti, messi a confronto con individui dalla pelle scura, ovviamente destinati ad essere cacciati dal paese. L’episodio ha indotto il verde Volker Beck a sporgere denuncia per incitamento all’odio. Ma «per l’AfD non c’è più motivo di nascondere il proprio estremismo», commenta l’emittente Rnd. Ovvio: il 29,2 per cento dei consensi è comunque un risultato-tsunami che permette all’ultradestra di condizionare pesantemente il lavoro del Landtag, il parlamento regionale. E, insieme agli analoghi risultati in Turingia e in Sassonia, di creare una pesante ipoteca sulle scelte del governo federale.
Non ci sono veri vincitori alle elezioni del Brandeburgo anno domini 2024, questa è la verità. Al massimo qualcuno può dirsi “diversamente sconfitto” nel day after delle elezioni nel Land dell’ex Ddr che “circonda”, per così dire, la città-Stato di Berlino. Certo, è un fatto che l’AfD sia stata sorpassata dai socialdemocratici, che qui hanno messo a segno una spettacolare rimonta, riuscendo a rimanere primo partito con il 30,9 per cento dei voti.
E certo, rispetto al 2019 l’Spd - qui al governo da ben 34 anni - ha addirittura guadagnato 4,7 punti, essendo stata in grado di porsi come unica vera alternativa all’ultradestra. E tuttavia decine di analisti oggi sono a spiegarci che così facendo ha tolto il terreno sotto i piedi a tutti i più plausibili o possibili alleati di governo, in primis ai Verdi, finiti sotto la soglia di sbarramento del 5 per cento e pertanto cacciati dal Landtag, senza considerare i liberali dell’Fdp, precipitati a risultati talmente infimi da precipitare nel colonnino degli “altri” nel conteggio dei voti. Male male anche i conservatori della Cdu - il partito che fu di Angela Merkel - che qui è finita con il 12,1 per cento ad un punto e mezzo sotto il neonato Bsw, la formazione neonata di Sahra Wagenknecht, accusata di fondere il populismo di sinistra con quello di destra in nome di pulsioni anti-migranti e filo-putiniane. Infine, quello che un tempo fu proprio il partito di “Sahra la rossa”, la Linke, ha perso quasi otto punti percentuali, anch’essa esclusa dal Landtag.
Sono cronache di un disastro politico, se si eccettua la prospettiva dell’ultradestra. «Un’AfD al 30 per cento è diventata una circostanza normale ma pericolosa, che non dovremmo mai accettare», commenta sulfurea la Zeit. Anche perché qui l’ultradestra ha i numeri per «ricattare» - così dice lo Spiegel - qualsivoglia maggioranza esca dai negoziati. Sì, perché i numeri messi a segno - più del terzo dei seggi - danno agli ultradestri la cosiddetta Sperrminorität: in italiano si potrebbe dire «blocco della minoranza», che vuol dire che l’AfD può mettersi di traverso ogni volta che è ai voti una norma che necessita dei due terzi. Dice sempre allo Spiegel il leader del partito brandeburghese René Springer che «se avranno bisogno dei nostri voti, per esempio per una riforma della Costituzione regionale, noi pretenderemo che vengano sostenuti i nostri progetti di legge». Fa un esempio concreto, Springer: «Il divieto dei richiedenti asilo di accedere alle nostre feste popolari».
Detto così sembra uno scherzo, di fatto è una forma di apartheid. E sempre alla voce estremismo, si viene a sapere che alla festa elettorale dell’AfD di cui sopra erano previsti esattamente 88 ospiti. Ebbene, 88 è il numero che per i nostalgici del Terzo Reich è sinonimo di “Heil Hitler”. Alcuni dei funzionari interpellati rispondono che si tratta di un’invenzione dei media. Altri, dice lo Spiegel, «si limitano a sorridere».
All’altro fronte, quello del “vincitore” uscito dalle urne, la Spd del popolarissimo governatore uscente Dietmar Woidke, si tratta di mettere insieme i cocci. Fatti fuori i Verdi dal Landtag, ridimensionata fortemente la Cdu, scomparsi dalla faccia della terra di Brandeburgo i liberali, rimane solo il Bsw per mettere su una coalizione. E i negoziati per la formazione del nuovo governo iniziano in salita ripida: Woidke ha annunciato colloqui per sondare la Cdu e il Bsw, ma la Cdu ha già detto di no. Oscure e sempre più fitte anche le nubi che si addensano su Berlino. Intanto perché difficilmente Olaf Scholz - ancora in caduta libera in quanto a indici di gradimento - potrà accreditarsi il successo dei socialdemocratici brandeburghesi, che devono la rimonta sull’AfD soprattutto alla popolarità del governatore Woidke e alla sua scelta di tenere lontano il cancelliere dalla campagna elettorale, quasi presentandosi come una sorta di “anti-Scholz”.
E poi, stando alle prime reazioni, non sembra proprio che gli alleati del governo “semaforo” (Verdi e liberali) intendano fare sconti al cancelliere: domenica sera, a urne ancora calde, il vicecapo dei liberali, Wolfgang Kubicki, ha posto a Scholz un ultimatum di tre settimane per trovare soluzioni «convincenti» ai capitoli migrazioni ed economia. «Vista l’attuale performance non credo che la coalizione semaforo arrivi al Natale». Amen.
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