Il gol del calciatore contro l’Ovest ai Mondiali del ‘74 è uno dei successi della Germania Est scavato nell’immaginario comune. Oggi come allora, però, le due parti del paese rischiano di non parlarsi abbastanza: l’ultima dimostrazione arriva dal voto delle europee, quando AfD ha raggiunto percentuali che finora esistevano solo nei sondaggi. E solo Lipsia resta agganciata al grande calcio
L’orgoglio della Germania Est ha un nome e un cognome, che sono Jürgen Sparwasser. E anche un’immagine: quella del gol del 22 giugno di cinquant’anni fa al Volksparkstadion di Amburgo. Unico incontro che si tenne mai tra le due prime squadre della Bundesrepublik e della Ddr, nel girone dei Mondiali: in tutte le altre occasioni la Mannschaft della Repubblica democratica aveva affrontato una nazionale occidentale composta da dilettanti.
A guardare i video sgranati che si trovano oggi su YouTube dell’impresa degli undici in divisa azzurra con scollo a V – almeno a Roma una grossa fetta delle generazioni più giovani di fronte al nome Sparwasser pensa al circolo Arci del Pigneto – il giocatore col 14 sulla schiena vola verso la porta praticamente da solo, segnando la rete che garantì alla Germania Est il suo primo e unico successo contro l’Ovest, che poi avrebbe vinto la Coppa del Mondo. Sparwasser avrebbe smesso di giocare soltanto tre anni dopo, quando il Muro di Berlino era ancora inscalfibile e la riunificazione non era neanche ancora una fantasia dei più ottimisti.
Destino volle che fosse invece proprio il torneo del 1990, l’anno della riunificazione, ad appuntare la seconda stella sul petto della Mannschaft, quella della Repubblica federale beninteso, nonostante i giocatori dell’Est fossero già a disposizione del commissario tecnico Franz Beckenbauer. Contemporaneamente iniziava la faticosissima riunificazione di due società che avevano vissuto in parallelo per cinquant’anni: una ricucitura che passava per le famiglie che riuscivano a mettere insieme pezzi fino a quel momento separati, una repubblica di nuovo completa di tutti i suoi territori e, in maniera più pragmatica, una lunga serie di sovvenzioni pubbliche e trasferimenti di denaro dall’Ovest verso l’Est per riappianare lo scarto di ricchezza a disposizione dello stato e dei privati. Un’economia da ricostruire da zero per portarla nell’arco di tempo più stretto possibile all’altezza dell’Ovest.
Forzature
Un’accelerazione forzata e non sempre rispettosa di quello che era stato a tutti gli effetti un paese autonomo, con la sua realtà quotidiana, la sua cultura e il suo modo di vivere. Troppo spesso i Wessis – gli occidentali – apparivano come occupanti piuttosto che fratelli a lungo perduti a cui ricongiungersi. E, al contrario, a occidente gli Ossis sembravano recalcitranti verso l'ondata di benessere che i Land occidentali erano pronti a spartire con l’Est, reintegrato a caro prezzo, pagato da Helmut Kohl in cambio del solido marco, destinato a confluire nell’unione monetaria che gli altri paesi europei – su tutti la Francia – posero come condizione per la riunificazione.
Quasi trentacinque anni dopo, però, sembra essere cambiato ben poco nel faticoso tentativo di far incrociare le traiettorie di due realtà che continuano a tollerarsi, più che collaborare. L’ultima prova sono state le elezioni europee. Sono mesi che a Est risuona l’allarme per l’ondata blu, ma l’ultimo voto ha calato nella realtà cifre che finora apparivano solo nei sondaggi: in alcuni Land AfD ha superato il 30 per cento dei consensi, in alcuni distretti del Brandeburgo si avvicina al 40. Il partito avrà cambiato colore per eludere il marrone che a livello di brand era piuttosto compromesso, ma la proposta politica non è così diversa anche a ottant’anni di differenza, come ha puntualmente sottolineato il numero uno della Spd Lars Klingbeil dando della “nazista” alla leader Alice Weidel in un talk show.
L’aspetto più preoccupante emerso dal voto è proprio la motivazione della scelta dell’estrema destra. Non si tratta (soltanto) di un voto di protesta. E il fatto che nel partito ci siano tratti neonazisti certificati anche dai servizi segreti interni non compromette minimamente la volontà degli elettori di mettere la loro croce sul simbolo di una formazione in cui milita un professore di storia, Björn Höcke, che prima utilizza motti hitleriani e poi si difende sostenendo di averli pronunciati senza conoscerne l’origine.
La preoccupazione che la maggioranza a Est possa scivolare fuori dalle mani dei partiti tradizionali – il primo settembre si vota in Brandeburgo, Turingia e Sassonia – è fortissima. I governatori dei Land orientali sono tornati a manifestarla al cancelliere Olaf Scholz anche questa settimana. Ma sembra che Berlino sia sorda ai richiami degli amministratori sul territorio dell’Est.
L’Ovest per ora reagisce poco oppure, se lo fa, impiega gli stessi strumenti da “forza occupante” che hanno caratterizzato il processo di riunificazione. Basta guardare il calcio: in Bundesliga in quasi quarant’anni di campionati in comune è sopravvissuta una sola squadra dell’Est, il Lipsia. E soltanto perché investitori stranieri hanno deciso di prendere in mano il denaro necessario. Pure gli Europei dimostrano lo stesso approccio.
Speranza Lipsia
Tutto il Campionato si gioca all’Ovest, con l’eccezione per l’appunto di Lipsia, unico stadio e unica realtà turistica in grado di sostenere il numero di fan attesi alla partita. Altri centri che pure hanno una storia calcistica rilevante, come Magdeburgo, sono semplicemente troppo piccoli per accogliere l’ondata di tifosi che si sta abbattendo sul paese. Allo stesso modo, soltanto a due squadre ospiti è stato proposto di stabilirsi all’Est per il tempo del torneo: la Croazia soggiorna in Brandeburgo, l’Inghilterra in Turingia.
Ma il fatto che il calcio della Germania orientale si muova nell’ombra rispetto al resto del paese si riflette anche nella composizione della delegazione: solo cinque convocati vengono dalla Germania orientale: un trend storico, nonostante ci siano stati profili che hanno fatto la storia della Mannschaft: da Matthias Sammer, di Dresda, Pallone d’oro, a Michael Ballack, stella dei Mondiali del 2002, nato a Görlitz. I primi anni Duemila secondo gli osservatori sono il momento in cui gli astri si sono allineati per i giocatori dell’Est, combinando l’ottima preparazione di base della Ddr con la maturazione nella Bundesliga federale: sono anche gli anni in cui i calciatori provenienti dalla ex Ddr raggiungono la quota più alta all’interno della squadra, sette. Oggi manca tutto: i circoli dilettantistici sul territorio sono stati smembrati, chi ha un po’ di ambizione deve trasferirsi a Ovest, e in generale il numero di calciatori attivi è diminuito. Quasi una metafora delle prospettive che incontrano nella vita di tutti i giorni i tedeschi dell’est.
Nonostante il quadro di partenza e un clima sempre più teso, la speranza di organizzatori e forze politiche tradizionali in questi giorni è che Lipsia possa beneficiare della scelta di aver ospitato Francia-Paesi Bassi, o l’Italia lunedì, e godere di un clima più aperto e rilassato, che magari si irradi anche nel circondario. Generando un effetto che possibilmente duri fino alle elezioni di settembre.
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