- A dodici mesi dall’addio della cancelliera la Russia ha attaccato l’Ucraina, il gas e la benzina sono cari e il paese ha paura dell’inverno
- La leader è passata dall’essere un modello all’essere considerata la responsabile delle crisi. E si è chiusa nel silenzio
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
Chissà se Angela Merkel nel suo nuovo ufficio vicino alla Porta di Brandeburgo tiene il ritratto di Caterina la Grande, che per tanti anni ha fatto bella figura sulla sua scrivania alla cancelleria: l’imperatrice russa di origini tedesche, la zarina “dispotica ma illuminata”, colei che detronizzò il marito, lo zar Pietro III, alla fine della Guerra dei Sette Anni.
Oggi, scrive lo Spiegel, qui c’è una scultura raffigurante il dio Kairos, che nell’antica Grecia simboleggiava il “momento giusto o opportuno”, per non dire il “momento supremo”: di una scelta, di una decisione, di un passaggio da riconoscere per tempo. Nel caso dell’ex “ragazza dell’est”, l’addio alla politica attiva, alla prima linea. L’icona politica chiamata Angela Merkel «conosce bene il valore dei simboli», diceva il suo biografo Gerd Langguth. Beh, qui ce n’è a bizzeffe. E al centro c’è sempre la Russia.
Ex-eroina
È passato un anno da quando Angela Dorothea Merkel, figlia del “pastore rosso” Horst Kasner, ha lasciato la cancelleria: per la cerimonia con concerto della banda musicale della Bundeswehr la cancelliera aveva scelto la canzone di un’altra icona venuta dell’est, la punk-rocker Nina Hagen, una scelta paradossale e straordinaria, che colse tutti alla sprovvista. A suo modo una scelta emblematica dell’unicità della figura storica Merkel, così com’è altamente emblematico che oggi la sua eredità politica sia messa a durissima prova dalla guerra in Ucraina e, soprattutto, dalle ombre russe che a ritroso avvelenano la sua storia.
Dodici mesi fa la cancelliera se ne andava festeggiata come “eroina del mondo libero”, quella che aveva tenuto saputo tener testa a Donald Trump, aveva guidato la Germania con mano sicura attraverso lo sconvolgimento della pandemia, aveva lanciato insieme ad Emmanuel Macron il Recovery fund, forse salvando l’Europa, aveva battezzato la “politica delle porte aperte” ai migranti sfidando il responso delle urne e l’onda montante dell’ultradestra tedesca. Angela Merkel, per tanti anni la “donna più potente del mondo” stando alla classifica di Forbes: era suo il telefono che squillava quando i potenti del mondo cercavano l’Europa, per parafrasare la celebre battuta di Henry Kissinger.
L’ombra della Russia
Oggi, invece, è dell’“eredità smarrita” di Merkel che ci troviamo a parlare, in una Germania impaurita dalla spaventosa guerra che infuria ad un tiro di schioppo, ma anche resa insicura dall’inflazione impazzita, dalla crisi energetica, da un corto circuito violento che mette in discussione il suo ruolo nel mondo ed il totem della sua stabilità: e pare tutto concentrarsi lì, sullo snodo della storia dei rapporti tra Berlino e la Russia di Vladimir Putin, l’unico potente che c’è sempre stato durante i sedici anni di Merkel alla cancelleria.
Una storia a scatole cinesi, con al centro il nodo irrisolto – secondo qualcuno il mistero – della vicenda Nord Stream, ossia delle pipeline che avrebbero reso la Germania iperdipendente dal gas russo, ossia da un solo soggetto statale incarnato dal capo del Cremlino: il tutto in una sorta di vortice collettivo che minaccia di risucchiare il successore di Angela, il socialdemocratico Olaf Scholz, e finanche il presidente Frank-Walter Steinmeier, già ministro degli Esteri proprio sotto Merkel, i quali avevano condiviso e sostenuto tutte le scelte della cancelliera in quanto al famoso “dialogo con Mosca”, in barba agli avvertimenti di Washington, ai timori di Parigi, alle critiche interne (a cominciare da quelle dei Verdi, oggi al governo con Scholz), a dispetto dei rapporti che ogni anno si facevano più difficili con la Russia, dagli attacchi hacker al Bundestag alle operazioni dei servizi segreti di Mosca in Germania passando dalle reciproche espulsioni di diplomatici e spie, per finire con le furenti tensioni sul caso Navalny.
Com’è stato possibile, ci si chiede adesso, non capire che Nord Stream sarebbe stata un vicolo cieco, sotto il profilo energetico, ma anche della sicurezza nazionale e degli equilibri globali? Adesso è facile, mentre i missili russi ancora si abbattono su Kherson e i soldati di Putin si arroccano sulla linea del Donbass, allungare lo sguardo alla prima crisi ucraina del nostro secolo, all’annessione della Crimea, all’infaticabile zig-zag negoziale compiuto allora da Merkel con il fragile esito degli accordi di Minsk, tra le cui faglie ovviamente si trovano le origini dell’invasione del 24 febbraio.
Sempre lo Spiegel la sintetizza così: «Un anno dopo il suo addio il mondo è in fiamme, la Russia ha attaccato l’Ucraina, il gas e la benzina sono cari e la Germania ha paura dell’inverno. Angela Merkel è passata dall’essere un modello all’essere considerata la responsabile, dalla manager delle crisi a colei che le crisi le ha causate».
Caccia alla cancelliera
Ebbene, di questi tempi in Germania sembra uno sport nazionale “sparare” sulla cancelliera: la Bild, il giornale più letto del paese, attacca dicendo che «quasi tutti i politici di primo piano hanno ammesso d’aver compiuto errori sui rapporti con la Russia. Solo la donna più importante della Germania si è intestardita dicendo di aver fatto tutto nel migliore dei modi». Nella fila dei pentiti figura pure il capo della Spd, Lars Klingbeil, che parla di “momenti di cecità”, mentre lo stesso presidente Steinmeier ha definito «un errore evidente il mio tener fermo a Nord Stream 2», aggiungendo che la Germania «si è affidata troppo a lungo alle forniture energetiche dalla Russia». Tutte scelte firmate Merkel, ovvio.
Certo, l’ex cancelliera – che in generale ha preferito attenersi ad un poderoso silenzio – la vede in un altro modo: puntare sul gas russo, ha detto qualche settimana fa, «era giusto, se la vediamo dalla prospettiva di allora», pertanto lei non vede per quale motivo debba scusarsi.
Per tutta risposta, il suo amico-nemico Wolfgang Schäuble – colui che Merkel prima affossò come possibile candidato cancelliere e poi recuperò machiavellicamente come temuto ministro alle Finanze per infine tollerarlo come presidente del Bundestag – coglie l’occasione per ricoprirla di zolfo: è «troppo presto», ha voluto sottolineare, per dire se Merkel sia stata una “grande cancelliera”, come Adenauer, Brandt e Kohl.
Nell’autodafé generale si esercitano anche i media ed i sondaggi: stando ad un rilevamento Civey, il 71 per cento dei tedeschi non vorrebbe mai e poi mai un ritorno di Merkel alla cancelleria. Persino tra gli elettori della Cdu, il partito che lei ha guidato per ben diciotto anni, il 48 per cento si dice contrario ad un suo ipotetico comeback. Dato interessante, alla luce dei sondaggi stellari ai tempi del primo lockdown, quando l’ex “bambina di Kohl” sfiorava un tasso di popolarità pari al 60 per cento e l’Unione Cdu/Csu superava il 34 per cento dei consensi (venuto meno il “bonus Merkel”, alle elezioni dell’anno scorso perse, come si sa, con il 24,1 per cento).
Poco impressionabile
Angela, come d’abitudine, non si mostra troppo impressionata degli sconquassi del presente e dalle speculazioni sulla sua eredità. L’inviato dello Spiegel che la va a trovare per il suo primo anniversario da “ex” si meraviglia «di quanto poco sia cambiata» e chi mostri estremamente “rilassata”, come se le notizie dal mondo esterno non la toccassero. Come previsto, nell’auto-narrazione merkeliana tutto suona diversamente: «Avrei desiderato un periodo più pacifico dopo il mio addio, dato che mi sono tanto occupata di Ucraina», confida sempre allo Spiegel. Poi aggiunge: «Non è stata una sorpresa, tuttavia.
L’intesa di Minsk era svuotata, nell’estate 2021 volevo ricreare insieme a Macron un nuovo formato di confronto con Putin nel Consiglio Ue. Ma c’erano stati disaccordi, e io non avevo più la forza di impormi, dato che tutti sapevano che dall’autunno non ci sarei stata più». Idem il suo viaggio d’addio a Mosca: «La sensazione era chiara: dal punto di vista del potere, ero finita». Come dire: volevo prevenire quel che è accaduto, non ho avuto gli strumenti per farlo.
Tempo e sorprese
C’è un altro passaggio rivelatorio, nel colloquio con il settimanale amburghese: Merkel fa sapere di aver visto il film di Netflix su Neville Chamberlain, Munich.The Edge of War, dove si narra della conferenza di Monaco del 1938 ed il predecessore di Churchill viene descritto non come l’emblema della mollezza dell’occidente verso Hitler, ma come colui che riuscì a guadagnare il tempo necessario a prepararsi al conflitto mondiale.
Dice lo Spiegel: «Monaco 1938 come Bucarest 2008. Merkel ritiene di aver guadagnato del tempo, come anche successivamente con i negoziati di Minsk, poi servito all’Ucraina per poter resistere con maggiore efficacia ad un attacco russo». Paragone quantomai scottante: a Bucarest nel 2008 si svolse il vertice al quale si decise di non dare il via libera all’Ucraina per il processo d’adesione alla Nato.
Eppure, pandemia a parte, la Merkel dell’addio certamente aveva la Russia al centro delle proprie preoccupazioni. Narrano le gole profonde che negli ultimi incontri a quattr’occhi con Olaf Scholz precedenti al passaggio di consegne – diversi mesi prima dell’invasione – l’argomento fosse uno solo: Vladimir Putin. Un uomo che l’ex cancelliera conosce molto bene, che ha avuto di fronte in decine di serratissime maratone negoziali, al quale si è sempre rivolto in russo, con il quale condivide il passato nel bianconero della Ddr (dove lei faceva la scienziata, lui l’agente del Kgb), un uomo che per due decenni ha cercato di tenere ancorato al consesso occidentale.
Anche considerando che il modello di Putin è Ivan il terribile, certo non la zarina illuminista Caterina (che amava scrivere lunghe lettere a Voltaire e Diderot), dalla prospettiva delle macerie ucraine avvolte nel gelo il fallimento merkeliano oggi appare completo. Ma benché i vaticinatori che la vedevano all’Onu debbano rifare i loro conti, forse la storia può attendere a calare i suoi verdetti: da Angela Merkel è lecito attendersi sorprese.
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