Gli ex alleati si accusano vicendevolmente del fallimento, Scholz vuole chiudere qualche dossier entro Natale. I cristianodemocratici sono in vantaggio nei sondaggi e ragionano sulle alleanze, testa a testa AfD-Spd
La domanda non è più se le elezioni saranno anticipate, ma quando si terranno. Dopo il naufragio del suo governo, il piano originario di Olaf Scholz era quello di chiudere gli ultimi dossier sul tavolo entro Natale e poi porre la questione di fiducia al parlamento la prima settimana di gennaio, per far votare il Bundestag il 15 dello stesso mese. La Cdu ha chiesto ieri di anticipare ulteriormente la procedura e porre la fiducia al Bundestag già la prossima settimana, per andare poi al voto – in caso di esito negativo per il cancelliere – già a gennaio.
Anche la Fdp è dello stesso parere e spinge per l’anticipazione del voto. Dopo la rottura della coalizione semaforo andata in scena mercoledì sera, i liberali cercano di emanciparsi dalla loro ultima esperienza di governo il più velocemente possibile. Dopo che Scholz ha annunciato al paese che non c’è più la base fiduciaria necessaria per lavorare con i liberali, il leader e ormai ex ministro delle Finanze è passato all’attacco: in un gioco di accuse reciproche gli ex alleati provano ad affibbiarsi a vicenda la responsabilità della rottura.
Christian Lindner ha spiegato che la richiesta di Scholz di sospendere il freno al debito per assicurare all’Ucraina un ulteriore pacchetto di aiuti da 15 miliardi di euro lo avrebbe portato a disattendere il suo giuramento alla Repubblica federale: una decisione che non si è sentito di prendere. Di conseguenza, il cancelliere lo avrebbe licenziato. Giustamente, secondo le parole del vicecancelliere verde Robert Habeck, che ha giudicato la reazione di Scholz ragionevole e resta con il suo partito al fianco della Spd.
Ieri il presidente federale ha consegnato la certificazione del loro licenziamento ad altri due ministri liberali, quella dell’Istruzione e quella della Giustizia: il ministero che è stato di Bettina Stark-Watzinger sarà preso in mano dal ministro verde dell’Agricoltura Cem Özdemir, mentre il posto di Marco Buschmann sarà assorbito da un suo ex collega di partito. Volker Wissing, il ministro dei Trasporti, ha infatti deciso di lasciare la Fdp per rimanere a guidare il suo dicastero (e quello della Giustizia) fino al voto di fiducia. Al ministero delle Finanze è subentrato il sottosegretario socialdemocratico Jörg Kukies.
Gli scenari
Ora come ora, nessuno crede in uno scenario in cui il governo rossoverde possa sopravvivere. Secondo indiscrezioni di stampa, la Cdu si sta già preparando a salire al governo. Nei suoi colloqui con il cancelliere, il capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier ha cercato di calmare le acque, dicendosi sì disposto a sciogliere il Bundestag se dovesse rivelarsi necessario, ma esprimendosi a favore delle tempistiche proposte da Scholz. «La fine della coalizione non è la fine del mondo. È una crisi politica che ci dobbiamo lasciare alle spalle», ha detto il presidente alla stampa. «È l’ora della ragionevolezza e della responsabilità, non della tattica e delle scaramucce». Un tono che riecheggia la dichiarazione del cancelliere in cui Scholz ha accusato Lindner di «pedanteria dettata dalla tattica» e tendenza a bloccare le proposte di legge «anche in circostanze inappropriate».
Scholz, che nel frattempo ha annullato il viaggio alla Cop di Baku, ha cercato in giornata di raggiungere un terreno comune con il capo dell’opposizione, ma l’incontro alla cancelleria con Friedrich Merz non ha portato a un compromesso. Del successivo incontro del leader della Cdu con il capo dello Stato, invece, non sono filtrati dettagli. Il cancelliere sperava che si potesse trovare un accordo su una manciata di leggi da portare a meta entro Natale, ma l’insistenza della Cdu sull’opportunità di votare il prima possibile ha avuto la meglio anche sulla diplomazia tra partiti.
Resta da vedere se in una situazione di stallo simile il cancelliere – apostrofato come «Narr», “buffone”, dall’imprenditore trumpiano Elon Musk su X – riuscirà effettivamente a restare in sella fino a Natale. In mancanza di alleati con cui approvare alcune misure emergenziali per l’economia e la riforma del sistema pensionistico – per non parlare degli aiuti all’Ucraina, che ha perso nel giro di quarantotto ore il sostegno dei due governi più attivi nel sostegno militare, quello americano e quello tedesco – è difficile motivare un’ulteriore permanenza in carica.
Il voto
Le elezioni, in questo contesto, restano un terno al lotto. La grande favorita è chiaramente la Cdu, capace in questi giorni di aggregare intorno a sé oltre il 30 per cento dei consensi. Resta da capire che alleanza si possa formare intorno ai cristianodemocratici. Lo scenario più desiderabile in questo momento per la Cdu è quello della coalizione Giamaica, con Verdi e Fdp, che però rischia di fallire di fronte alla mancata rielezione dei liberali in parlamento. Secondo i sondaggi, infatti, la Fdp non è al momento in grado di superare la soglia di sbarramento del 5 per cento. L’alternativa è una grande coalizione con innesto verde, ma il tempo scorre veloce.
Intanto è anche fallito il primo esperimento di collaborazione con il Bündnis Sahra Wagenknecht in Sassonia, dove si era tentata la coalizione “mora”, avviando le trattative tra Cdu, Spd, Linke e BSW. Forse una prima prova di incompatibilità tra populisti e partiti tradizionali: quel che è certo è che ogni settimana di campagna elettorale in più a disposizione dell’estrema destra di AfD e dei rossobruni del BSW sarà sfruttata senza pietà per togliere terreno al resto dell’arco parlamentare. Con rischi incalcolabili per l’esito del voto.
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