C’è una intesa tra i Verdi europei e Ursula von der Leyen; nella sostanza c’è, appunto, ma è sul piano tattico che non può ancora essere annunciata.

I negoziati che si sono svolti questo mercoledì tra i capigruppo Green e la presidente di Commissione europea in cerca di riconferma mostrano quanto complesso e fragile sia l’equilibrio che regge la sua rielezione.

«No comment» è la risposta di Nicola Procaccini, il capogruppo meloniano dei Conservatori europei, riguardo a come Fratelli d’Italia oltre che Ecr si disporrà nel voto su von der Leyen. Formalmente la presidente incontrerà Ecr la prossima settimana. Informalmente «sento Manfred Weber tutte le settimane», è lo stesso Procaccini a dirlo.

Insomma in apparenza von der Leyen può acchiappare tanti voti, ma il fatto stesso che non possa esibirlo è il segno del complesso marchingegno politico. Altrimenti detto: la trappola.

La grande trappola

Il giovedì pomeriggio di solito gli eurodeputati sono già su un treno o un aereo, scappati via dalla sessione di Strasburgo. Ma proprio alle due di pomeriggio, per giovedì prossimo è segnato in agenda il voto sulla conferma o meno di von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue.

Questo è solo il più piccolo dei tranelli che von der Leyen deve schivare: di doman non v’è certezza, e della prossima settimana ancor meno. Il nodo politico può essere riassunto così: ci sono voti dati per affidabili ma che potrebbero venir meno nel segreto dell’urna; e ci sono invece voti che potrebbero comparire con la parvenza di un aiutino dell’ultimo minuto, ma che se vengono annunciati prima fanno saltare l’equilibrio complessivo.

Anche se il leader del Ppe Manfred Weber a parole sostiene la presidente, e già settimane fa andava dicendo ai suoi che non si sognassero di partire il giovedì pomeriggio, in realtà tutta la riconferma di von der Leyen si regge su una grande trappola: se la presidente si spinge troppo in là in un accordo coi Verdi europei, rischia che le salti il suo gruppo in mano, a cominciare dalla delegazione italiana che fa da pontiera tra il Ppe e Giorgia Meloni. Ma se von der Leyen invece che coi Verdi si espone con Fratelli d’Italia, a quel punto rimbrottano socialisti e liberali.

Cosa c’entra Weber in tutto questo? È stato lui ad avviare la cooperazione con l’estrema destra meloniana e a farla digerire a von der Leyen a colpi di strattoni al green deal. Al congresso del Ppe a Bucarest nel quale lei è stata scelta come spitzenkandidat, il leader dei Popolari non le ha neppure garantito un gruppo coeso alle spalle. Dal Partito popolare austriaco ai Républicains, le si è rivoltato un pezzo di partito contro.

Negli ultimi tempi poi Weber ha continuato a dichiarare di fatto che Meloni era più in sintonia con lui dei Verdi, e ha preso nel gruppo formazioni anticlimatiche come i BBB olandesi. Da settimane i membri del gruppo popolare stanno con gli occhi puntati sul discorso d’intenti che von der Leyen dovrà fare a Strasburgo per guadagnarsi la rielezione: se si sposta troppo sul verde, le saltano i popolari; ma la maggioranza tradizionale con socialisti e liberali, oltre che un’aggiunta verde, richiede espressamente «niente cooperazione strutturata con Ecr», come hanno ribadito anche questo mercoledì Renew e Greens dopo l’incontro con la presidente.

Color verde industria

Anche se non viene dichiarata, una intesa coi Verdi sull’elezione di von der Leyen è possibile, e lo si vede dai documenti programmatici che Popolari europei e Verdi stessi stanno elaborando.

Nella bozza di Cascais, e cioè nel testo elaborato dal Ppe durante le giornate studio del partito a inizio luglio, di cui Domani è in possesso, si trova indicata nel programma di lavoro della Commissione 2024-2029 «una attuazione pragmatica e di successo del Green Deal».

Come aveva anticipato a Domani in un’intervista pubblicata il 23 giugno il capogruppo dei Verdi europei Bas Eickhout, «penso che una convergenza possa essere trovata coniugando l’urgenza della transizione ecologica con quella di tratteggiare anche una politica industriale». Non a caso questo mercoledì mattina, poche ore prima di incontrare von der Leyen, i Verdi le hanno fatto avere la loro piattaforma, che segue proprio la strategia delineata da Eickhout.

Domani ha avuto accesso al documento in anteprima, e si è potuto così constatare che i Greens si sono presentati alla presidente con la mano tesa anche dal punto di vista programmatico. Pur non rinunciando alle ambizioni climatiche, il gruppo ecologista ha tradotto il green deal – cioè il piano verde coniato da von der Leyen stessa nello scorso mandato – in un «piano industriale verde». «Chiediamo un Green Industrial Investment Plan», cioè un piano di investimenti industriali verde, recita il documento: «Dev’essere lanciato entro i primi cento giorni », e giù di riferimenti a competitività e dintorni.

All’uscita dall’incontro, Eickhout assieme alla co-capogruppo Terry Reintke ha preferito non fare annunci su un accordo raggiunto. «Lo si vedrà a Strasburgo», hanno detto i due, dicendo di voler verificare che cosa conterranno le linee programmatiche del discorso tanto atteso della presidente in aula; ciò pur ribadendo che i Verdi potrebbero garantire stabilità e coerenza alla maggioranza.

Stabilità e coerenza sono il punto chiave, perché se si stesse al tabellario coi numeri di seggi di popolari, socialisti e liberali, in pura teoria von der Leyen avrebbe già i 361 voti necessari. Invece col voto segreto e con le trappole disseminate ciò non basta. A inizio settimana la presidente è andata a far questua e negoziati con ciascuna delegazione del Ppe presa singolarmente. Di fatto Weber l’ha mandata a cercarsi i voti uno per uno.

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