- Dalla collaborazione di Domani con altre testate europee nasce questa collezione di contributi, che danno il quadro di come noi europei stiamo affrontando il tema dell’esodo dei rifugiati ucraini.
- Olga Gnatkova, vicedirettrice di NewsMaker, ci racconta da Chisinau ci racconta una Moldavia europeista che accoglie chi fugge. Nelly Didelot, dalla redazione parigina di Libération, guarda cosa sta succedendo dall’altro lato della Manica: il governo del Regno Unito, lo stesso di Brexit e della retorica anti immigrazione, ora si barcamena sulla politica da adottare verso i profughi ucraini.
- A Berlino, racconta Teresa Roelcke di Der Tagesspiegel, ci si ricorda della crisi dei rifugiati del 2015, e sopravvive la cultura dell’accoglienza. La Polonia è il paese Ue dove sono scappati più ucraini, ma come ci ricorda Michał Kokot di Gazeta Wyborcza ci sono anche altri rifugiati che reclamano attenzione. Del resto per alcuni politici, come Matteo Salvini, ci sono «profughi veri»: l’Europa vista da Roma è anche questo.
Questi sono giorni bui per l’Europa, ma gettano luce sui suoi angoli finora meno raccontati. Dalla collaborazione di Domani con altre testate europee nasce questa collezione di contributi, che danno il quadro di come noi europei stiamo affrontando il tema dell’esodo dei rifugiati ucraini.
Olga Gnatkova, vicedirettrice di NewsMaker, ci racconta da Chisinau una Moldavia europeista che accoglie chi fugge. Nelly Didelot, dalla redazione parigina di Libération, guarda cosa sta succedendo dall’altro lato della Manica: il governo del Regno Unito, lo stesso di Brexit e della retorica anti immigrazione, ora si barcamena sulla politica da adottare verso i profughi ucraini. A Berlino, racconta Teresa Roelcke di Der Tagesspiegel, ci si ricorda della crisi dei rifugiati del 2015, e sopravvive la cultura dell’accoglienza. La Polonia è il paese Ue dove sono scappati più ucraini, ma come ci ricorda Michał Kokot, il collega di Gazeta Wyborcza, ci sono anche altri rifugiati che arrivano dalla Bielorussia o dal Mediterraneo e che reclamano attenzione. Del resto per alcuni politici ci sono «profughi veri»: l’Europa vista da Roma è anche questo, con Salvini che si scopre sostenitore dell’accoglienza, ma solo per alcuni.
La Moldavia delle porte aperte
di Olga Gnatkova, vicedirettrice del sito di informazione NewsMaker di Chisinau.
In Moldavia i volontari vanno a prendere gli ucraini al confine, portano cibo e abiti, li aiutano a trovare un posto dove stare. Un cartello fuori da un bar di Chisinau dice: «Caffè gratis per gli ucraini». La Moldavia, uno dei paesi europei più piccoli e poveri, è diventata un hub per i rifugiati ucraini; nelle ultime settimane la popolazione è cresciuta del 4 per cento.
Per la prima volta sono fiera del mio paese. I moldavi stanno sacrificando il loro comfort per gli altri, abbandonano i soliti litigi su lingua ed etnia. «Volete del tè? Prendete. Volete chiamare la vostra famiglia? Ecco una carta sim»: sono frasi che si sentono spesso, al confine fra Moldavia e Ucraina.
La risposta della Moldavia non si limita alla società civile. Lo scorso anno i moldavi hanno respinto un governo filorusso in favore di un partito pro-Ue che ha fatto una campagna elettorale sui diritti umani e la cooperazione internazionale.
Dallo scoppio della guerra, il governo ha passato il suo test più importante. Il primo giorno di guerra sono state costruite tende umanitarie vicino al confine. Le procedure di immigrazione sono state semplificate.
Un canale social del governo fornisce informazioni ai rifugiati in rumeno, russo e ucraino. Ci sono più di 70 centri d’accoglienza nel paese. Alcune strade hanno perfino i cartelli bilingue.
La questione è se il cuore della Moldavia rimarrà così grande anche se il flusso di rifugiati continuerà a crescere e la guerra di informazioni continuerà sul canale TV Rossiya 24. Questo è un paese in bilico, in molti sensi. Per il momento però ci piace questa nuova idea di Moldavia: un piccolo paese con un grande cuore.
Londra e il limbo francese
di Nelly Didelot, giornalista francese del quotidiano Libération.
Le famiglie ucraine che volevano entrare nel Regno Unito sono finite rinchiuse in alberghi di Parigi, intrappolate in una complicata procedura. Nel frattempo a Calais gli sfollati ucraini per una settimana sono stati ammassati negli ostelli della gioventù prima di essere portati, il 9 marzo, verso centri di accoglienza nella periferia, «per liberare le stanze per i turisti».
La procedura di richiesta d’asilo della Gran Bretagna si è complicata da quando Londra ha lasciato l’Ue e il sistema di asilo comune europeo.
Di decine di migliaia di richieste di visto presentate dagli ucraini, fino a una settimana fa solo 4.600 sono state approvate, molte per ricongiungimento familiare. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin intanto ha accusato il Regno Unito di «mancanza di umanità» dopo che centinaia di ucraini senza visto sono stati respinti a Calais.
Dal 2016 dell’evacuazione della “Giungla di Calais”, dove nel picco massimo hanno vissuto oltre 10mila sfollati, i politici locali francesi hanno fatto di tutto per impedire ai migranti di stabilirsi in città. La sindaca di Calais Natacha Bouchart, che l’anno scorso ha detto a Boris Johnson che inviare navi della marina britannica in acque francesi è «una dichiarazione di guerra marittima», ha offerto alloggi di emergenza ai rifugiati ucraini per un periodo abbastanza lungo da forzare un cambio di politica del premier della Brexit. Dopo venti giorni, e tre milioni di ucraini sfollati, il 15 marzo il ministero dell’Interno di Londra ha ceduto. Il Regno Unito ha iniziato a consentire ai rifugiati con passaporti biometrici di registrarsi online per le domande di visto.
La procedura però è chiusa agli ucraini che hanno già presentato domanda in Ue e il Regno Unito rimane l’unico paese europeo a chiedere visti. Dal 18 marzo il governo britannico versa 418 euro al mese a chi ospita un rifugiato ucraino; una forma di solidarietà, più sbiadita rispetto ad altrove in Europa.
Berlino si riscopre accogliente
di Teresa Roelcke, giornalista del quotidiano Der Tagesspiegel che ha sede a Berlino.
«Non c’è segno migliore che ti trovi a casa, delle tue stesse mura». Così recita un cartellone nel seminterrato affollato della principale stazione ferroviaria di Berlino. Qui i pendolari si affrettano attraverso le vaste sale dai soffitti bassi, passando davanti a persone dall’aspetto esausto, molte delle quali arrivate di recente dall’Ucraina.
Daniil, un tredicenne ucraino, è arrivato a Berlino con la mamma e il cane già ieri, lo stesso giorno in cui il fratello ha compiuto vent’anni. Non erano decisi a lasciare Kiev. «Non è bello quando tuo fratello e tuo padre devono restare», dice Daniil. Aggiunge anche che «una famiglia ci ha adottati», con un sorriso che rivela l’apparecchio ai denti. Lui e la madre sono tornati in stazione per i documenti.
Nel frattempo il via vai continua. La scena ricorda il 2015, solo che stavolta le istruzioni per ricevere pasti gratuiti, bevande, cibo per animali e biglietti del treno non sono in arabo, ma in ucraino, oltre che in inglese e tedesco. Altri cartelli indicano un angolo per bambini, volontari dietro le scrivanie offrono consigli.
Ci sono tante persone disposte ad aiutare. Julia, una studentessa di psicologia di 24 anni in visita a Berlino, spiega che «l’amica che mi ospita oggi lavora oggi, quindi ho pensato di dare una mano qui per qualche ora». Ogni venti minuti c’è un briefing per i volontari, racconta Julia. Come lei, Daniil e sua madre visiteranno le attrazioni di Berlino nei prossimi giorni. A differenza di Julia, però, non sanno quando torneranno a casa. «Forse tra un mese o giù di lì», dice Daniil prima di correggersi: «Cioè, quando la guerra sarà finita…».
La destra e i profughi «veri»
di Francesca De Benedetti della redazione di Domani
Se c’è un contenuto che è circolato sui social di tutti gli europei durante la guerra, è il video che ha come protagonista Matteo Salvini. Tra selfie trash e retorica anti migranti, il leader della Lega è diventato da tempo il politico italiano più seguito su Facebook e Instagram.
Ma stavolta diventa virale per una protesta contro di lui. Durante il tour polacco di Salvini, il sindaco di Przemyśl gli ha sventolato davanti una maglietta con Putin simile a quella che il leader della Lega ha indossato in passato, e ha aggiunto: «Nessun rispetto per te». Le immagini di Salvini imbarazzato hanno fatto impazzire i social. Il sindaco non ha mostrato solo una maglia, ma le contraddizioni della Lega. La guerra in Ucraina porta con sé un riorientamento della politica europea, e anche la destra populista cerca di riposizionarsi.
La Lega sta tentando almeno tre svolte retoriche, tre retromarce. La prima risale a quando ha deciso di appoggiare il governo Draghi: Salvini ha provato a cancellare con un colpo di spugna l’immagine euroscettica. Le altre due svolte si innescano con la guerra, che impone, sia a livello nazionale che europeo, di stringersi attorno alla bandiera; è quello che i politologi chiamano «rally ‘round the flag effect».
Perciò i politici leghisti esibiscono ora il loro allineamento occidentale, anche se un report dell’Europarlamento mette nero su bianco i legami del partito con il Cremlino. L’altra svolta riguarda i rifugiati: quando l’esodo dall’Ucraina è iniziato, Salvini ha dichiarato che «questi sono profughi veri» e ha lanciato tour umanitari. La destra italiana in questo è sintonizzata con quella polacca: in Polonia si accolgono gli ucraini ma si continua a respingere chi arriva dalla Bielorussia. In Italia abbiamo «i rifugiati veri». Parafrasando Orwell, «tutti i rifugiati sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri».
Punti di vista transfrontalieri
di Michał Kokot di Gazeta Wyborcza, il quotidiano che ha sede a Varsavia.
Michael Kurzwelly, artista e attivista, è noto per aver fondato Słubfurt, una città-laboratorio, esperimento transfrontaliero tra Francoforte sull'Oder (Germania) e Słubice (Polonia). Visto l’enorme afflusso di rifugiati in Polonia, gli abbiamo chiesto cosa si può fare perché l’aiuto umanitario sia efficace e sostenibile.
«Non sappiamo come si svilupperà la crisi», dice. «Per ora vedo tanta volontà di accogliere da entrambi i lati del confine, anche se per i polacchi, che hanno un reddito inferiore ai tedeschi, il peso è maggiore. Ma la volontà di aiutare è grande, c’è chi ha preso un mese di ferie per farlo.
A lungo termine la gente dovrà tornare a lavorare e l’assistenza statale sarà indispensabile. Questa crisi dei rifugiati è già più vasta di quella del 2015. I profughi siriani mi dicono che le bombe sull’Ucraina ricordano scene di guerra nel loro paese. L’obiettivo era lo stesso: incutere paura e spingere a fuggire». Cosa si può fare? «Gli aiuti ai rifugiati devono essere molto più coordinati.
Ora arrivano nelle grandi città, in Germania soprattutto a Berlino e Amburgo, ma nelle aree interne non ci sono. Mio figlio vive a Gottinga e quando ha voluto accogliere profughi non sapeva a chi rivolgersi. Sarà necessario un lavoro di pianificazione, anche perché la situazione peggiorerà: Putin bombarda anche vicino al confine con la Polonia, costringe altri a fuggire. Nel frattempo ci siamo dimenticati dei 700 rifugiati che dal confine polacco-bielorusso ora sono rinchiusi in centri polacchi. Nel Mediterraneo le persone continuano a morire nella disattenzione generale. L’Ue se ne ricorda?».
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