L’Unione europea punta molto sulla transizione verde e digitale. Lo fa anche con la sua politica di coesione, che mira a promuovere lo sviluppo regionale per raggiungere una maggiore coesione tra i suoi territori. Verde e digitale sono campi sui quali l’Italia è indietro: con fatica fa passi avanti e si impegna per spendere le risorse disponibili, ma una parte dei fondi non viene usata. Lo mostrano i dati del nono rapporto sulla coesione territoriale e socioeconomica, incrociati con il bollettino di monitoraggio della ragioneria generale dello stato.

Alla fine del 2022 i finanziamenti della politica di coesione per il periodo 2014-2020 hanno rappresentato circa il 13 per cento degli investimenti pubblici totali nell’Unione e fino al 51 per cento per gli stati membri meno sviluppati. Sono state così sostenute 4,4 milioni di imprese e creati 370mila nuovi posti di lavoro.

La politica di coesione è uno strumento flessibile capace di sostenere gli stati e le regioni in tempi di crisi, anche in ambiti inediti. È il caso dei 23 miliardi usati per combattere la pandemia di Covid, serviti per l’acquisto di ventilatori, vaccini e medicinali, e dell’accoglienza di civili in fuga dall’Ucraina: i finanziamenti hanno sostenuto la costruzione di centri e ospedali mobili, ma anche corsi di lingua e assistenza psicologica.

Diventare più verdi

Negli ultimi anni la politica di coesione ha investito con forza in alcuni settori chiave. I fondi dell’Ue hanno contribuito alla transizione verde, per la quale sono stati spesi 69 miliardi tra il 2014 e il 2020. Soldi che hanno consentito a 550mila famiglie di migliorare la prestazione energetica degli edifici e con cui sono stati generati 6mila megawatt di energia rinnovabile (il fabbisogno annuo di 4 milioni di famiglie).

Inoltre, si sono messe in atto misure di protezione contro le inondazioni per 17 milioni di persone e si sono fatte opere di conservazione degli habitat su 3,4 milioni di ettari. L’approvvigionamento idrico è migliorato per 6,9 milioni di cittadini. Per sostenere l’azione verde nel 2021-2027 sono previsti oltre cento miliardi di euro.

Il nuovo rapporto sulla coesione, del resto, mostra che i cambiamenti climatici aggravano le disuguaglianze regionali, incidendo più pesantemente sulle aree costiere, mediterranee e sud-orientali dell’Ue; lì dove i costi dei cambiamenti climatici possono rappresentare ogni anno più dell’1 per cento del Pil. È il caso di paesi come Spagna, Portogallo, Grecia e Slovenia. E ovviamente dell’Italia.

Si può fare di più

Quando si tratta di usare i fondi riservati al green, qual è lo stato dell’arte per l’Italia? Una risposta arriva dai dati del Piano nazionale ricerca, innovazione e competitività per la transizione verde e digitale, che è parte del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). Per il ciclo 2014-2020 lo stato di attuazione del Fondo si attesta, per quanto riguarda gli impegni assunti, al 90 per cento delle risorse disponibili: il Fesr ha uno stato di avanzamento in linea con il Fondo sociale europeo, ma comunque incompleto.

Per il periodo 2021-2027 la nuova politica di coesione ha anche introdotto una serie di attività che non possono essere sostenute dal Fesr, tra cui la disattivazione o la costruzione di centrali nucleari, infrastrutture aeroportuali (tranne che nelle regioni ultraperiferiche) e alcune opere di gestione dei rifiuti, come le discariche.

Negli anni a venire è poi previsto un Fondo per la giusta transizione, uno strumento per concedere sovvenzioni a favore della diversificazione economica dei territori colpiti dalla crisi climatica. Per ottenere le risorse gli stati devono elaborare uno o più piani territoriali, al fine di individuare i quattro territori interessati e i loro bisogni di investimento. L’Italia ha scelto le aree di Taranto e del Sulcis Iglesiente come destinatarie dei finanziamenti (937 milioni, equivalenti al 5 per cento dei fondi).

Contro il digital divide

Poco meglio è andato l’utilizzo dei fondi per la transizione digitale. Tra il 2014 e il 2020 la politica di coesione ha iniettato 14 miliardi per colmare il divario digitale, sia a livello sociale che geografico: lo ha fatto migliorando l’accesso all’e-government e ai servizi di sanità elettronica, e promuovendo la diffusione della banda larga nelle zone remote. Sono così venute alla luce le disparità subnazionali tra le grandi regioni metropolitane e le aree rurali.

Le prestazioni delle reti fisse sono migliorate in tutti gli stati e quasi 8 milioni di famiglie hanno beneficiato di una migliore connessione Internet. Nel periodo 2014-2020 l’obiettivo tematico “Migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione” ha registrato un completamento in termini di impegni del 96 per cento. Altri 40 miliardi di euro sono dedicati alla digitalizzazione nei prossimi anni, ma per il 2021-2027 lo stato di attuazione del Piano per la transizione verde e digitale si ferma al 9 per cento.

Questo contenuto giornalistico fa parte del progetto #CoesioneItalia. L’Europa vicina, che è finanziato dall’Unione europea. I punti di vista e le opinioni espresse sono tuttavia esclusivamente quelli dell’autore e non riflettono necessariamente quelli dell’Ue. Né l’Ue né l’autorità che eroga il finanziamento possono essere ritenute responsabili per tali opinioni.

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