Alla domanda, posta in un questionario sulle aspirazioni personali pubblicata in un giornale locale, su come o cosa volesse essere, Angela Merkel da ragazza rispose «Me stessa, quanto più spesso possibile». Un auspicio al quale la ex “ragazza di Kohl” è riuscita a tenere fede, una massima che riesce a portare avanti. Anche dopo essere stata protagonista assoluta della politica mondiale per lustri, e aver salutato la ribalta ritirandosi a una vita privata interrotta solo da pochissime apparizioni pubbliche.

Dopo la festa – riservatissima – per i suoi settant’anni compiuti oggi, in autunno compariranno in libreria le sue memorie, Freiheit, ossia “Libertà”, scritte insieme alla sua leggendaria segretaria, Beate Baumann. Forse quella libertà che si sente addosso ancora di più ora che non ha più vincoli d’incarico e d’appartenenza partitica. Sicuramente quella che le permetteranno di difendersi dalle accuse che, almeno a parole, avrebbero guastato la sua eredità politica. Così, negli ultimi mesi, durante le poche occasioni pubbliche di confronto coi media che sono capitate, Merkel ha dovuto difendere alcune sue scelte, soprattutto in termini di politica estera.

La Russia

In primis, il rapporto che la sua Germania ha instaurato con la Russia. Una relazione in cui solo dopo tanto lavoro si arrivò a un confronto alla pari: resta indimenticato l’incontro con Vladimir Putin in compagnia dei suoi cani, nella piena consapevolezza da parte del presidente russo della cinofobia della cancelliera. Alla fine, sulla linea Berlino-Mosca non correranno mai affetto e intesa come potevano esserci tra Putin e Silvio Berlusconi, ma stima sì. O quantomeno, interesse reciproco a tenersi sempre in buoni rapporti. Che assicuravano da un lato materie prime a buon mercato alla Germania e al resto d’Europa, e per Mosca una via per uscire dall’isolamento. Un legame che oggi sembra impensabile e che è stato pesantemente messo in discussione dopo lo scoppio del conflitto ucraino: la faticosissima manovra di riorganizzazione delle forniture di gas ha chiesto sacrifici pesanti al governo “semaforo”. Prima vittima: le convinzioni ecologiste dei Verdi. La seconda: gli storici rapporti della Spd con la Russia.

«Non mi scuserò». Merkel lo disse sei mesi dopo aver lasciato il governo, a giugno 2022, con il conflitto ucraino appena deflagrato, nella sua prima intervista dopo la pensione. Nessuna comprensione per «l’ingiustificabile» attacco russo, ma anche nessuna ammissione di eventuali errori da lei commessi. Dal punto di vista dell’ex cancelliera, le sue decisioni hanno infatti evitato esiti peggiori. Perché, per Merkel, la politica si muove nei limiti della real politik. Niente ambizioni fuori misura, mai montarsi la testa.

L’impronta pragmatica combinata con una capacità fuori dal comune di individuare i confini dell’agibilità politica in quel preciso istante sono sempre state alla base della sua lezione. Fin da quando ha scoperto la politica, nel 1989: prima della caduta del muro, la fisica con un dottorato in chimica teorica non si era mai preoccupata dell’impegno civico.

Il partito

Ma la caduta del muro apriva prospettive fino a quel momento inedite nella Germania dell’est per una giovane donna: Merkel – che riuniva in sé tutte le caratteristiche di cui l’elefantiaca Cdu di Helmut Kohl aveva bisogno in quel momento – colse l’occasione al volo, come avrebbe fatto ancora molte altre volte nella sua vita. Secondo alcuni, tradendo la sua origine orientale e rinunciando a lavorare per una riunificazione più organica pur di non aprire conflitti interni al partito e compromettere la sua carriera. Una scelta che oggi le viene rimproverata, per esempio da Anne Rabe della Zeit. Di fronte alla possibilità che in autunno i Land orientali che vanno al voto finiscano nell’ingovernabilità o peggio, con AfD primo partito in tutti i sondaggi, ci si interpella infatti su tutti gli errori compiuti ad est. E il giudizio è ancora più duro se la responsabilità di queste mancanze cade in capo alla politica più potente che proprio dall’ex Repubblica democratica tedesca proveniva.

Un parricidio politico e due incarichi ministeriali più tardi il partito, all’inizio degli anni Duemila, diventa suo. Ironia della sorte, proprio a scapito di quel Friedrich Merz che oggi lo guida: una scalata incontenibile, avvenuta non certo con i modi paludati della politica dall’impronta maschile e correntizia che l’establishment conservatore contrappose allora a Merkel. Poi, la furbizia di lasciar perdere la candidatura alla cancelleria nel 2002, mandando a schiantarsi contro Gerhard Schröder il capo della Csu bavarese Edmund Stoiber. Anche in quel caso, la consapevolezza lucidissima di quale fosse l’obiettivo conquistabile.

Dopo il breve interregno – troppo largo per le sue spalle strette – di Armin Laschet, durato giusto il tempo di portare a casa una sconfitta elettorale nel 2021, quel partito che era fiorito sotto la sua guida oggi è consumato dall’ansia di essere ridimensionato dall’aggressione di AfD. L’ha detto Ursula von der Leyen nei suoi auguri di compleanno: Merkel deteneva «la bussola del centro». L’attacco del partito di Alice Weidel arriva forte e, nonostante la Cdu possa beneficiare degli errori della maggioranza e voli nei sondaggi, l’argine nei confronti di tutto quel che supera il partito a destra non è più così netto. Basta guardare proprio agli accordi che negozia sottobanco in Europa quella che per un periodo fu delfina di Merkel, la presidente della Commissione europea alla ricerca di una riconferma.

Ma Merkel per i suo settant’anni non ha ricevuto solo complimenti. L’ex ministro della Salute Jens Spahn ha indicato i tre punti deboli dei governi della sua cancelliera. Oltre ai rapporti con Putin e l’addio all’energia nucleare, quel che già all’epoca le contestava proprio AfD: l’accoglienza dei migranti siriani nel 2015. Una presa di posizione che dà la misura di dove sia arrivato il suo partito oggi. Come nel caso russo, anche il legame con Pechino instaurato da Merkel ha lasciato parecchie grane a chi ha preso il suo posto. Come nel caso russo, anche il rapporto con il mercato cinese va messa nel giusto contesto: la consapevolezza che quello che è diventato un punto di riferimento per il settore automotive tedesco sarebbe risultato presto anche un competitor geopolitico era ancora lontana dal venire quando Merkel ha impostato un rapporto molto vantaggioso per l’economia tedesca.

L’Europa e l’America

Ancora più complessa l’eredità nel contesto europeo. A livello economico la Germania resta locomotiva del continente, ma qualcosa si è rotto: è fermo il motore francotedesco che combinando potere finanziario e capacità diplomatica determinava la direzione della politica europea. Ma il rapporto tra Olaf Scholz e Emmanuel Macron non è neanche lontanamente paragonabile a quello che l’inquilino dell’Eliseo aveva con Merkel. E con i limiti che si pone da solo il cancelliere, deludendo per altro le aspettative del resto del continente, l’orizzonte del possibile si restringe a vista d’occhio.

Esattamente come si riduce la mano a disposizione di uno Scholz che non avrà alle spalle l’intera Europa nei rapporti con l’altra sponda dell’Atlantico. Nel confronto con Donald Trump, arrivato dopo Barack Obama, che non a caso scelse Berlino come ultima meta del suo tour di addio, Merkel era ben consapevole dei suoi mezzi.

Una foto come quella del G7 del 2018 in Canada, quando Merkel si sporgeva verso Trump con le braccia ben piantate sul tavolo, difficilmente si vedrà più, se il tycoon dovesse vincere a novembre. I modi di Scholz sono differenti: per avere dagli americani il via libera per Nord Stream II, il gasdotto che avrebbe dovuto collegare Russia e Germania nel mare del Nord, da vicecancelliere e ministro dell’Economia sarebbe stato disposto ad offrire anche compensazioni molto difficili da digerire per l'opinione pubblica tedesca, come i terminali lng.

Soluzioni ugualmente pragmatiche, ma prive della consapevolezza e della capacità di prendersi la responsabilità delle proprie scelte – un’altra qualità dell’ex cancelliera citata da von der Leyen nel suo messaggio – che rende così differenti il “merkeln” e lo “scholzen”, i due verbi che i tedeschi hanno coniato per descrivere le attitudini dei loro ultimi due cancellieri.

Entrambi indicano una politica fatta di attesa: ma mentre quella ispirata alla pensionata che David Saier ha immaginato come novella miss Marple dell’Uckermark a dispetto delle apparenze è una strategia politica attiva, quella dell’attuale capo di governo appare vittima delle circostanze, guidata dalla speranza che le cose si risolvano da sole.

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