Il diavolo sta nei dettagli, e il patto col diavolo pure. Bisogna ascoltare fino in fondo tutto il discorso di politica generale di Michel Barnier, e soprattutto l’intervento di Marine Le Pen subito dopo, per poter definire pienamente il perimetro dell’accordo tra i macroniani, i repubblicani e l’estrema destra.

Era già assodato che il governo Barnier si fondasse sul beneplacito del Rassemblement National, che infatti al momento non sosterrà la mozione di sfiducia contro l’esecutivo, anche se sta attivamente sfruttando la minaccia di votarla per condizionarne l’operato. Quel che gli interventi in Assemblea nazionale mostrano è la vera portata della dote che Barnier sta consegnando all’estrema destra.

L’ipotesi di trasformare il sistema elettorale in proporzionale «a un turno solo», come Le Pen ha sottolineato soddisfatta, è una ipotesi che smantella di fatto il sistema delle desistenze nei collegi che ha consentito finora di contenere, seppur con sempre più difficoltà, l’avanzata del Rassemblement National nelle istituzioni.

Significa che, seppur tutti diano per scontato che durerà poco, il governo Barnier – in quanto tale incarnazione di un abbraccio con l’estrema destra – è in grado di generare ribaltamenti di lungo termine e squilibri di portata istituzionale. Pur di rianimare il macronismo moribondo, Emmanuel Macron, e il premier da lui designato dopo mesi di equilibrismo, danno linfa a Le Pen.

Il programma del traghettatore

Il discorso di politica generale è una prassi ma non un obbligo; era tuttavia uno snodo politico importante per Barnier anche perché, sin da quando è stato designato come premier, il Rassemblement National ha fatto intendere che questo sarebbe stato un test di compatibilità con l’estrema destra. Il primo ministro ha deciso di sottrarsi invece all’ipotesi di un esplicito voto di fiducia, che avrebbe creato imbarazzi costringendo l’estrema destra a esplicitare il proprio supporto e che avrebbe messo a nudo la scarsità numerica degli entusiasti.

«Il governo si muove su un crinale stretto», come ha detto il primo ministro stesso, per poi costruire una cornice emergenziale che desse legittimità a uno dei suoi propositi: i tagli della spesa pubblica. «Sento parlare di spada di Damocle che pende sul governo, ma la vera spada è sulla testa dei francesi ed è un debito pubblico colossale».

L’intervento nel suo complesso rappresenta un tentativo di tenere insieme le destre di varia sfumatura, e ciò si vede dai contenuti. Barnier di fatto conferma la riforma delle pensioni macroniana, anche se promette qualche correttivo. Tra i suoi cinque «cantieri» nomina il potere d’acquisto, che è tra le principali preoccupazioni dei francesi, e ovviamente nomina l’immigrazione, tenendo insieme così i principali slogan elettorali lepeniani.

Quando Barnier giudica «insoddisfacenti» le attuali politiche sull’immigrazione, svela in parte ciò che il suo ministro degli Interni Bruno Retailleau sta rendendo evidente da giorni: la linea securitaria è il trait d’union tra le destre. Retailleau è considerato il vero e proprio avamposto lepeniano nell’esecutivo, e dalle schermaglie di superficie tra lui e i macroniani si vede la ricerca di un assetto interno.

Quando il ministro ha detto che «lo stato di diritto non è intoccabile né sacro», facendo storcere il naso al guardasigilli, ha poi dovuto fare una mezza ammenda: Retailleau è l’esploratore che verifica fino a che punto la linea lepeniana si può spingere.

La sponda di Le Pen

«Chiediamo da tempo un sistema elettorale proporzionale», si è felicitata Le Pen dopo aver sentito Barnier dirsi «pronto a una riflessione e un’azione non ideologiche» sul proporzionale. «Penso a uno scrutinio a un turno».

La leader del RN ha iniziato la settimana sotto processo per sospetta appropriazione indebita di fondi europei, con il rischio di ineleggibilità, e in aula questo martedì ha esordito con un affondo contro le «desistenze», ovvero la pratica del cordone sanitario al secondo turno (che con la riforma del sistema salterebbe). Ha poi esibito «spirito costruttivo», ringraziando Barnier per la considerazione assegnatale, e ha detto quindi di voler «giudicare il governo dalle sue azioni», giustificando così il fatto di non sostenere (per ora) una mozione di censura.

Alla sfiducia lavora invece il Fronte popolare, prima forza in aula ma misconosciuto dall’Eliseo al momento della scelta del premier. Fino all’ultimo Macron e i suoi puntano a disintegrarlo: pure questo martedì, parlando per i macroniani, l’ormai ex premier Gabriel Attal ha detto di «non capacitarsi» che i socialisti non contribuiscano come forza di governo.

© Riproduzione riservata