I socialisti reggono alle provocazioni dei centristi e l’unione va compatta all’Eliseo. Ma macroniani e repubblicani già dicono: niente governo con ministri insoumis
Non c’è ancora un premier ma è già partito il ricatto dei ministri. Emmanuel Macron ha cominciato questo venerdì le consultazioni dei gruppi politici, e all’appello manca solo l’estrema destra (il Rassemblement National con l’appendice di Éric Ciotti), dunque a detta dello stesso presidente della Repubblica un nome per palazzo Matignon arriverà da martedì.
Ci sarebbe già la proposta avanzata pubblicamente dalla formazione politica che in confronto alle altre ha ottenuto più seggi – il nuovo Fronte popolare – ma si sa, per il presidente «nessuno ha vinto» le elezioni. E l’ultimo espediente di macroniani e destra per sabotare il nome di Lucie Castets, la premier in pectore dei frontisti, è quello di porre una condizione: nessun ministro della France Insoumise, o in alternativa boicottaggio in aula.
In questa anomala estate francese – siamo alla settima settimana dopo il voto e ancora Macron non ha investito un premier – ci sono due lavori di tessitura paralleli: uno per una coalizione che regga, e l’altro per minacciare di smontarla con la mozione di censura.
La prova del Fronte
Il principale atto politico delle consultazioni cominciate questo venerdì mattina si riassume in una foto, pubblicata non a caso da Castets sui social. Anche la didascalia è esemplificativa: «Nous sommes prêts, siamo pronti». Ma è soprattutto l’immagine, che parla: il Front populaire fa fronte comune.
A sinistra c’è Manuel Bompard, coordinatore della France Insoumise e fedelissimo del fondatore, Jean-Luc Mélenchon. Assieme a Mathilde Panot, la capogruppo all’Assemblea nazionale, aveva firmato domenica scorsa una “tribuna” minacciando la destituzione di Macron se non avesse nominato Castets premier. L’operazione mediatica, partita a ridosso delle consultazioni, aveva provocato frizioni con gli altri componenti del Fronte, che lamentavano sia il carattere isolato della mossa – sì insomma, di non esser stati neppure consultati – sia l’inopportunità – dato il piglio aggressivo proprio mentre bisognava presentarsi all’Eliseo con indosso la giacca della governabilità.
Ma lo strappo è stato riassorbito perché la priorità era mostrarsi a Macron uniti, ed è infatti di per sé già politicamente rilevante che i vari partiti del Fronte si siano presentati da Macron insieme, facendo digerire al presidente anche la presenza (seppur non una nomina) di Castets. Infatti a destra di Bompard, nella foto, c’è Marine Tondelier, la segretaria degli ecologisti; ha pure dismesso la sua divisa – la giacca verde – in nome dell’unità: tutti in blu notte. È lei la pragmatica tessitrice che dall’inizio della formazione del Front prova a riannodare il filo – spesso sfibrato – tra gli Insoumis e i socialisti. Alla vigilia delle consultazioni, i verdi francesi hanno dato un palco a Castets nella loro “giornata estiva degli ecologisti”, esibendo così il loro investimento politico.
Al centro del gruppo lei, l’alta funzionaria parigina, difensora dei servizi pubblici, niente tessere di partito, a sinistra sì ma mediatrice abbastanza da dire – a differenza di quanto ha fatto Mélenchon all’inizio – che bisogna dialogare con altre forze. Dopo aver già condiviso le sue priorità programmatiche in una lettera ai parlamentari, alla vigilia delle consultazioni Castets ha scritto una lettera ai francesi; e ha ribadito che «la coalizione arrivata prima deve poter formare un governo e cercare accordi in parlamento».
Le mine macroniane
Il resto della foto mostra anche le figure sulle quali si concentra l’opera macroniana di sabotaggio dell’unione. Il comunista Fabien Roussel era stato il primo a far deflagrare apertamente la Nupes, il primo esperimento di unione di sinistra ecologista nato per le legislative del 2022.
Quanto a Oliver Faure, il segretario del Parti socialiste due anni fa si era inimicato una parte del partito – a cominciare da François Hollande – perché aveva accettato l’unione nonostante la subalternità numerica rispetto agli insoumis; adesso che i rapporti di forza si stanno riequilibrando, a maggior ragione Faure difende la linea.
Non è semplice né scontato però, dato che il primo a strattonarlo è il capolista alle europee, Raphaël Glucksmann. Pochissimi giorni prima delle consultazioni se n’è uscito con un’intervista in cui prendeva le distanze da Mélenchon; si è sempre saputo che il suo slogan fosse «ni Jupiter, ni Robespierre» (né Macron né Mélenchon) ma esibirlo proprio a ridosso del primo grande test di unità del fronte è parso controverso. «Il a pris le melon, si è montato la testa», hanno rumoreggiato i socialisti di maggioranza, respingendo le richieste di ridiscutere la strategia nel partito. Ma una fetta di sediziosi c’è, e non a caso Macron la corteggia da prima dell’ultimo voto: nella sua visione di «federazione di progetto» figurano anche Glucksmann, da lui citato, e l’ala centrista socialista.
Disgregare il fronte è sempre stato il primo obiettivo macroniano, e lo si è visto anche questo venerdì. Gabriel Attal, eterno premier dimissionario da settimane e figura di punta del partito di Macron, ha fatto sapere che Renaissance voterà una mozione di censura qualora nel governo ci siano ministri della France Insoumise. Stessa linea per Laurent Wauquiez a nome dei Républicains, che già tra i due turni avevano individuato nella gauche il primo nemico da contenere. La verde Tondelier, uscendo dalle consultazioni, ha detto di voler vedere il bicchiere mezzo pieno: «Il presidente vuole una coabitazione»; insomma, non sarà l’ennesima Macronie. Ma le vie di Macron sono infinite, e comprendono ipotesi politicamente subdole.
Oltre ai nomi di destra che circolano per Matignon – da Xavier Bertrand a Michel Barnier – aleggia anche, non per caso, il fantasma di François Hollande. Tra i nomi circola pure quello di Bernard Cazeneuve, che ha fatto capire di esserne ben felice. L’ex ministro e premier socialista dell’era Hollande è una mina su quella foto di gruppo: gli ecologisti non gli perdonano (tanto per dirne una) il caso di Rémi Fraisse, ma i più infuriati dovrebbero essere proprio i socialisti. Proprio a seguito della presidenza Hollande – che ora si è fatto eleggere in parlamento col Fronte – il partito si era ritrovato ai minimi termini elettorali, ed è del resto a Hollande che Macron deve il suo debutto politico. Attal dice che «sarebbe ok un premier che non venga dal blocco centrale», ma non è detto che questa per la sinistra sia una buona notizia: se il futuro dovesse guardare al passato, questa sarebbe per il Front la più pericolosa mina.
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