No all’occupazione israeliana di Gaza, sì all’Autorità palestinese, cooperazione dei paesi arabi. E soprattutto, un’Ue davvero sul campo: l’alto rappresentante ha un piano a sei punti per puntellare il futuro della striscia. Sfruttando il vento a favore da Washington
Certo, c’è la zelante presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alle prese con gli incontri in agenda in Egitto e Giordania. E poi ci sono quei capi di stato e di governo che a stento riescono a mettersi d’accordo fra di loro ma intanto lanciano messaggi al mondo, come il cancelliere tedesco Olaf Scholz che questo venerdì, ricevendo a Berlino il presidente turco, lo ha strigliato ribadendo che «Israele ha diritto di difendersi».
Ognuno ha i suoi fili di relazioni che si intrecciano inevitabilmente con la trama del conflitto in Medio Oriente. Ma il protagonista, per ruolo e per impegno, è senz’altro Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione europea, che rappresenta i governi ovviamente, e pure, da vicepresidente, la Commissione europea.
Dall’inizio della guerra, il socialista spagnolo ha provato a trattenere l’Europa sul binario che dovrebbe appartenerle: mentre von der Leyen si schierava, Borrell mediava; mentre alcuni leader delegittimavano le organizzazioni multilaterali, l’alto rappresentante mai; e se c’era chi faceva finta di non vedere il massacro e l’assedio di Gaza, Borrell invece ripeteva con liturgica costanza che il diritto internazionale umanitario lo si rispetta.
Adesso l’alto rappresentante dell’Unione europea è impegnato nel suo tour cominciato in Israele e poi in Palestina, e che attraversa Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania fino a domenica, per poi riferire lunedì ai ministri degli Esteri Ue in videoconferenza.
Un tour nel quale Borrell va oltre l’arte della politica, sconfina nella figura romanzesca. Parafrasando Nietzsche, «pur avendo il caos dentro di sé – perché a dir poco scoordinata è questa Ue – Borrell in tour diplomatico fa la stella danzante». Là dove l’Unione europea non è riuscita a fermare questa guerra, l’alto rappresentante si concentra sul dopo. E quando l’Ue sembra una polifonia di voci senza accordo fra loro, lui tenta la sintesi.
Le sei condizioni dell’Ue
«Un orrore non giustifica un altro orrore. I migliori amici di Israele sono coloro che chiedono che non si faccia guidare dalla rabbia». Con tali parole, questo venerdì Borrell ha ricordato che l’Unione europea è amica anche del popolo palestinese; e serve ricordarlo, anzitutto ai vertici delle istituzioni europee, visto che c’è chi, come von der Leyen, si è schierato col governo israeliano.
L’alto rappresentante Ue al fianco del primo ministro dell’Autorità palestinese, Mohammad Shtayyeh, ha snocciolato una lista di punti fermi – tre sì, e tre no – che messi insieme compongono una lista di sei condizioni dell’Unione europea; e sulle quali Borrell ha raggiunto una convergenza col suo interlocutore.
Il primo no «è il no agli sfollamenti forzati dei palestinesi, né all’interno di Gaza né fuori». La portata di questo messaggio politico non va sottovalutata: è un «no» che va a sbattere contro le azioni del governo israeliano; non appena l’esercito ha messo piede nel nord di Gaza, mentre tutta la striscia veniva bombardata, ai palestinesi è stato intimato di andare a Sud, e nei piani del governo c’è lo sfollamento nel Sinai egiziano.
La chiave americana
Von der Leyen, che questo venerdì è in Egitto, lavora già a una copia egiziana del memorandum tunisino per favorire questi piani, che tuttavia l’Egitto finora non ha digerito. Né li digerisce Borrell, come fa intendere col suo primo «no».
Il secondo è «il no a cambi territoriali, no alla rioccupazione di Gaza da parte di Israele, e no a farla diventare un safe haven per Hamas». Anche l’amministrazione statunitense va ripetendo da giorni che non è affatto favorevole al piano israeliano di restare a tempo indefinito nella striscia, e la posizione di Borrell – nel contesto di un’Ue in generale fragile su questo dossier – diventa stringente alla luce di questa sintonia politica con Washington.
Non è un caso, che Borrell abbia incontrato anche Benny Gantz, e che il segretario di stato Usa Antony Blinken interloquisca in queste ore con lui: mentre Netanyahu è in calo di consensi, il suo oppositore Gantz – che ora siede nel gabinetto di guerra – è sempre più popolare, e sia Bruxelles che Washington lo rafforzano come interlocutore ragionando in prospettiva.
«Il terzo no è a separare Gaza da tutta la questione palestinese»: Borrell auspica una soluzione politica nella prospettiva dei due stati.
L’Europa in campo a Gaza
«Abbiamo una certa esperienza in State building, in Europa», dice l’alto rappresentante. Sta lavorando su più fronti: con il Qatar anche per la liberazione degli ostaggi israeliani, con il mondo arabo in generale perché per schivare un’occupazione israeliana di Gaza bisogna puntellare un piano alternativo. «Il primo sì è all’Autorità palestinese a Gaza», il secondo è «un maggior coinvolgimento dei paesi arabi», il terzo è «un maggior coinvolgimento dell’Ue, soprattutto nel processo politico, per la costruzione di uno stato palestinese».
Tra gli scenari che circolano in questi giorni, c’è anche un coinvolgimento degli europei in una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, e il fatto che mercoledì il Consiglio di sicurezza Onu abbia approvato la risoluzione per le pause umanitarie a Gaza è un primo segnale di affiatamento. Il futuro non si costruisce in un giorno – né in un tour – ma Borrell sta almeno tentando.
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