- La Commissione Ue avalla e sostiene le politiche respingenti e disumane della Polonia alla frontiera d’Europa. La Polonia ha già legalizzato i respingimenti illegali, ora Bruxelles si attiva a sua volta per dare un quadro di legalità a quanto fatto da Varsavia.
- Lo fa usando quei dispositivi di emergenza che invece ha lasciato volutamente inutilizzati in estate, quando l’emergenza era dare accoglienza ai rifugiati afghani.
- Solerte nel facilitare alla Polonia i respingimenti e complicare il diritto di asilo a chi lo chiede, Bruxelles è invece inerte di fronte alle limitazioni messe in pratica da Varsavia alla frontiera nei confronti di ong, media, deputati e persino degli eletti Ue.
La Commissione europea avalla e sostiene le politiche respingenti e disumane della Polonia alla frontiera d’Europa. Lo fa usando gli stessi dispositivi di emergenza che invece ha lasciato volutamente inutilizzati questa estate, quando l’emergenza era dare accoglienza ai rifugiati afghani. Solerte nel facilitare alla Polonia i respingimenti e complicare il diritto di asilo a chi lo chiede, Bruxelles è invece inerte di fronte alle limitazioni messe in pratica da Varsavia alla frontiera nei confronti delle ong, dei media, dei deputati e persino degli stessi europarlamentari, ai quali pure la Polonia ha impedito di vedere cosa accade alla frontiera Ue.
La scelta di Bruxelles
La Polonia ha già legalizzato i respingimenti illegali. Ora la Commissione si attiva per dare un quadro di legalità a quanto fatto da Varsavia.
A metà ottobre, la coalizione di governo polacca si è compattata in parlamento per l’espulsione di chi prova a entrare nel paese – e quindi nell’Ue – anche se è richiedente asilo. Significa ignorare che chi prova a entrare abbia una domanda di protezione internazionale, a dispetto della convenzione di Ginevra sui rifugiati. Mercoledì la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson, pur sollecitata sul tema dai giornalisti, non ha espresso parole di condanna per questa «legge polacca sull’espulsione». Al contempo ha presentato una proposta che accompagna e asseconda proprio la linea di Varsavia. Alla Polonia, come a Lituania e Lettonia che confinano con la Bielorussia «responsabile di un attacco ibrido all’Ue», Bruxelles vuol consentire per almeno sei mesi di rinviare la registrazione delle domande di asilo: invece dei 3-10 giorni regolari, ci sarà un intero mese di tempo. La procedura di asilo alla frontiera può essere applicata entro quattro mesi. Mentre i tempi vengono dilatati, i luoghi vengono ristretti: agli stati in questione è consentito circoscrivere la possibilità di registrare la richiesta di asilo a specifici punti. Oltre a complicare le cose ai richiedenti asilo, Bruxelles facilita i rimpatri: «Procedure semplificate e più rapide».
Le espulsioni concordate
La proposta di Bruxelles si avvicina molto alla legalizzazione dei respingimenti, nota il giornalista polacco Witold Głowacki, che conclude: «Questa è l’ennesima conferma che la Commissione Ue sta autorizzando informalmente almeno una parte della dura politica applicata dal governo Pis al confine». A ciò si accompagna l’iperattivismo di Bruxelles per evitare che chi vuol chiedere asilo riesca anche solo ad arrivare alla frontiera europea; e se ci arriva, che se ne vada.
È scritto nella proposta stessa: «La Commissione, l’Alto rappresentante, gli stati membri hanno intrapreso un intenso sforzo diplomatico coi paesi di origine e transito per prevenire ulteriori arrivi attraverso la Bielorussia». A metà novembre, Ursula von der Leyen ha «incaricato il vicepresidente Schinas di impegnarsi immediatamente con i paesi chiave. È stato in Iraq, Emirati Arabi Uniti, Libano, Turchia e Uzbekistan». In quella stessa fase, l’Iraq ha cominciato i voli di rimpatrio.
Una scelta di campo
A chiarire ancor più la volontà politica che sta dietro la proposta di Bruxelles, c’è il raffronto con altri casi. La premessa è che, stando ai dati dello stesso gabinetto Ue, «nel 2021 ci sono state 6.730 richieste di asilo in Polonia». Come ha notato Piotr Buras, che dirige l’ufficio di Varsavia dell’Ecfr, questi numeri sono gestibili; negli anni Novanta i polacchi hanno assorbito senza problemi l’arrivo molto più massiccio dei rifugiati ceceni. A ogni modo la Commissione ha ritenuto che bisognasse far ricorso a un dispositivo di emergenza. «Qualora uno o più stati membri debbano affrontare una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso di cittadini di paesi terzi, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure temporanee a beneficio degli stati interessati»: questo è il Trattato di Lisbona, articolo 78, paragrafo 3. Proprio questo stralcio è anche la base giuridica utilizzata da Bruxelles per avanzare la sua proposta mercoledì. Quando questa estate è cominciato l’esodo dall’Afghanistan, la Commissione è stata sollecitata da eurodeputati e difensori dei diritti perché invocasse quello stesso paragrafo d’emergenza per garantire a livello europeo un’accoglienza immediata. Non lo ha fatto.
Nel 2011, quando il governo italiano si è rivolto alla Commissione per una redistribuzione a livello europeo di circa 10mila tunisini, l’allora commissaria Cecilia Malmström ha risposto che «non vedo un afflusso massiccio» e nessuna leva di emergenza è stata attivata, per l’accoglienza in Ue.
La zona d’ombra
La linea della Commissione, che introietta gli argomenti della destra sovranista, è in sintonia coi governi riuniti nel Consiglio europeo, al quale ora spetta deliberare sulla proposta; l’Europarlamento può solo dare un parere, e protestare come stanno infatti già facendo socialdemocratici, sinistra e verdi. L’approccio securitario di Bruxelles è esasperato dal fatto che «da una dozzina di anni il tema migratorio è in mano a chi ha la delega agli Interni, e affronta la cosa solo in questa chiave», dice Emilio De Capitani, ex segretario della commissione Libertà civili (Libe) dell’Europarlamento e ora visiting professor alla Queen Mary University di Londra. Il tema migratorio è in mano ai ministri dell’Interno Ue e alla Commissaria Ylva Johansson, la stessa che manifesta condivisione per la politica dei muri praticata dalla Polonia. A tirare le fila nella Commissione poi è il vicepresidente Margaritis Schinas, che viene dalla destra di Nea Dimokratia. «Proprio lui di recente ha gongolato perché finalmente l’Ue aveva una “agenzia per le espulsioni”, così l’ha chiamata», ricorda Capitani.
L’europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino è appena tornato dal confine polacco; anche lui, come i deputati polacchi, i media, le ong, non ha potuto entrare nella “zona rossa” stabilita dal governo a ridosso della frontiera. La Commissione almeno su questo reagisce? «Macché. E intanto chi porta acqua o coperte nella zona rossa rischia la galera», dice Majorino. Il paradosso è che mentre i respingimenti diventano norma, «l’attività umanitaria viene criminalizzata». E la Commissione? «Se ne frega».
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