Mentre la Francia affronta emergenza sanitaria e terrorismo, Emmanuel Macron mostra il suo volto illiberale e insegue la destra estrema. Olivier Roy e altri trenta intellettuali che lo avevano votato denunciano ora la sua svolta securitaria e autoritaria
- La svolta illiberale emerge da due proposte di legge. Quella sulla “sicurezza globale” prevede il controllo dei manifestanti ma vieta di filmare i poliziotti, impedendo di denunciare abusi. Giornalisti e difensori dei diritti protestano.
- Quella sui “principi repubblicani” in teoria è una risposta al terrorismo jihadista ma nasconde nuovi strumenti di controllo e una svolta identitaria.
- Una lista di intellettuali, come Olivier Roy, all’Eliseo dice: «Ci fai pentire di averti votato». In nome della libertà dei francesi il presidente sta limitando quella stessa libertà.
Mentre la Francia affronta emergenza sanitaria e terrorismo, Emmanuel Macron mostra il suo volto illiberale. La svolta emerge soprattutto da due proposte di legge: quella sulla “sicurezza globale” e quella “per i princìpi repubblicani”. La conseguenza è che il paese assiste oggi a due paradossi. Il primo è quello di un presidente che mostra grandi ambizioni sul fronte internazionale ma riceve grandi critiche sul fronte interno. C’è una lista di intellettuali, tra i quali il politologo Olivier Roy, registi come Constantin Costa-Gavras, accademici, politici, magistrati, che all’Eliseo manda a dire: «Ci fai pentire di averti votato». Il secondo paradosso è che in nome della libertà dei francesi il presidente sta limitando quella stessa libertà, come del resto scrivono quegli intellettuali, e come denunciano con proteste anche di piazza giornalisti, professori, giuristi. Alla radice di tutto c’è una strategia politica: lo spostamento di Macron più a destra, sia per rifondare il proprio consenso, eroso nella stagione dei gilet gialli, appoggiandosi alla destra vicina a Nicolas Sarkozy, sia nella speranza di sottrarre voti alla destra estrema nelle prossime presidenziali. Ma a giudicare dal dibattito pubblico, non è affatto detto che la strategia sarà vincente.
La deriva securitaria
La “legge sulla sicurezza globale”, presentata come semplice riorganizzazione delle forze dell’ordine, in realtà incide al punto da emendare la legge sulla libertà di informazione del 1881, e scatena le preoccupazioni sia di Bruxelles che dell’Onu. Il passaggio più controverso è quello in cui si impedisce la ripresa video delle forze dell’ordine, «che si tratti del volto o di un altro elemento che ne consente l’identificazione», perché «ciò potrebbe minarne l’integrità fisica e psichica». Il ministro dell’Interno giustifica la cosa dicendo che «bisogna proteggere chi ci protegge». Chi viola la norma rischia un anno di prigione e 45mila euro di multa; soprattutto, dicono giornalisti e associazioni per i diritti umani, a rischio è la libertà di informazione. «Filmare i poliziotti è un diritto democratico», scrive Le Monde in un editoriale rivendicando il suo ruolo di contropotere. Il divieto per la società civile di riprendere la polizia significa sottrarre la possibilità di denunciare abusi, e la questione in Francia è sensibile: la repressione delle proteste dei gilet gialli da parte delle forze dell’ordine è stata un crescendo di violenza da parte della polizia. Lo testimonia un recente docufilm di David Dufresne, Un pays qui se tient sage. Con la nuova legge, quel doc non ci sarebbe neppure. In questi giorni migliaia di francesi sono scesi in piazza per protesta. «Alle 18 di sabato, a Parigi, la polizia ci ha sparato addosso coi cannoni ad acqua», twitta, con tanto di video, il giornalista Pierre Bouvier. Il paradosso è che secondo la legge i poliziotti, viceversa, potranno filmare i manifestanti: saranno dotati di telecamerine, e i droni li aiuteranno nella sorveglianza. La proposta “per la sicurezza” amplifica sia i poteri che la natura delle forze di sicurezza: il ricorso a 170mila agenti di polizie private.
La svolta identitaria
«Nel 2017 abbiamo votato per lei, presidente Macron. Alcuni per la promessa di una svolta liberale e progressista, alternativa alle politiche autoritarie e conservatrici, altri per impedire che vincesse Marine Le Pen», scrivono Roy e le altre trenta personalità. «A nome di quei voti, la interpelliamo: con il pretesto di un’illusione di sicurezza, lei sta per realizzare i sogni dell’estrema destra neofascista: uno stato autoritario e di polizia. Lei restringe le libertà, limitando critiche, proteste, opposizioni. I progetti di legge “sicurezza globale” e “separatismo” ora ribattezzato “legge per rinsaldare i principi repubblicani” fanno indietreggiare le libertà che lei dice di voler difendere». Questa seconda proposta di legge, che se supera il vaglio del Consiglio di stato sarà votata a dicembre, per Macron è una risposta al terrorismo jihadista nel paese, che ha portato di recente alla decapitazione del professor Samuel Paty e agli attentati di Nizza. Ma dietro l’affermazione dei principi repubblicani si nascondono nuovi strumenti di controllo: non si possono diffondere immagini di autorità pubbliche (Paty fu minacciato dopo la diffusione della sua identità sui social), aumenta il controllo sul web, editori inclusi. Soprattutto, il progetto finisce per mettere a bersaglio non l’estremismo jihadista ma l’islamismo tout court, facendo il gioco dei jihadisti che puntano a scatenare una contrapposizione tra musulmani e non. La legge aumenta il controllo sulle associazioni musulmane, con tanto di “verifica sulla qualità del culto”.
L’ultima di Macron è un “sistema di accreditamento per imam”. Su Le Monde, l’intellettuale Edgar Morin esprime timori: sull’onda emotiva della morte di Paty «prende piede un pensiero manicheo. Chi reagisce alla crescente islamofobia è accusato di complicità coi terroristi». La polarizzazione fa sì che «già ci siano due nazioni una contro l’altra: la Francia identitaria e quella umanista».
Verso destra
Dallo stato d’urgenza imposto da François Hollande nel 2015 dopo gli attentati, allo stato d’emergenza per Covid-19 e alle nuove proposte di Macron oggi, c’è un fil rouge: «Siamo in uno stato di eccezione permanente», dice Lynda Dematteo, antropologa all’'École des hautes études en sciences sociales, nota in Italia per aver fatto il primo studio etnografico sulla Lega (L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord). «Tutte le misure di lotta contro il terrorismo hanno contribuito a mettere sotto tensione i diritti civili». C’è però nel Macron di oggi una strategia precisa. L’esperienza dei gilet gialli lo ha segnato. Al contempo, quella contestazione ne ha eroso il consenso, per cui ora lui si affida al mondo politico legato a Nicolas Sarkozy, che spinge a destra. Legati a Sarkozy sono sia il ministro dell’Interno Gérald Darmanin che il premier scelto di recente, Jean Castex. Non ultima c’è la strategia per le presidenziali: «Sottrarre voti all’estrema destra di Le Pen. Da un decennio quella destra ha strumentalizzato il tema repubblicano e della laicità per condannare i musulmani». Non è detto però che inseguire Le Pen sarà vincente: per farlo, Macron sta già alienandosi fette del suo stesso partito ed elettorato.
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