Sono in molti a sostenere che la destra europea si sarebbe posizionata per accogliere il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca in novembre. Ciò sarebbe avvenuto con la creazione del gruppo dei Patrioti e nella rottura consumata dai Conservatori con Ursula Von der Leyen nel voto parlamentare per la rielezione della Presidente della Commissione.

Ma davvero si può scommettere sulle elezioni in bilico di un altro paese? E soprattutto ha senso puntare sulla presidenza di Donald Trump, il più imprevedibile dei politici occidentali? Del candidato repubblicano sappiamo che vuole alzare i dazi, subito sulla Cina e magari domani sull’Ue; che intende indebolire il dollaro facendo apprezzare le altre monete, creando un problema per le esportazioni europee; che vuole ridurre l’impegno militare americano in Europa, costringendo ad una rimodulazione dei bilanci degli stati del vecchio continente; e soprattutto che per Trump la politica è un gioco bilaterale fondato sulla negoziazione aggressiva, dove non esistono amici e nemici ma soltanto interessi.

Quest’ultimo punto è particolarmente dirimente poiché l’eventuale Trump 2 non tratterà di certo con i gruppi del Parlamento europeo ma, nel solito modo cinico e realista, con i capi di governo degli Stati nazionali e con la presidente della commissione.

Non dobbiamo dimenticare che il rapporto tra Trump e Junker, all’epoca presidente della Commissione, fu ottimo e che Ursula Von der Leyen si è dimostrata malleabile ad ogni esigenza ed è molto probabile che possa avere una buona relazione con l’eventuale presidenza populista. Certo si può dire che questi gruppi politici, in Europa e nei paesi membri, possano aiutare Trump sul fronte della guerra in Ucraina, che egli dice di voler far cessare. Ma non dobbiamo dimenticare come finì col primo Trump quando si passò dalla promessa di tagli drastici alla NATO al nulla di fatto.

Non è detto che Trump 2 riesca in breve tempo a far cessare il fuoco in Ucraina e anche se ciò accadesse è molto probabile che la Casa Bianca prenderà comunque delle contromisure di sicurezza verso la Russia. Anche con Trump non ci sarà una pace senza armi come la raccontano oggi Salvini, Bardella e Orbán poiché il realismo americano a cui s’ispira il capo repubblicano è fondato sulla deterrenza, che nasce dal rapporto di forza e non da un patto incentrato sull’affinità politica come pensano i leader della destra europea.

Il tycoon populista è inoltre poco dettagliato nel suo programma e dunque incline ai testa coda poiché il suo primo credo è il pragmatismo più che l’isolazionismo come si è soliti sostenere. Trump è dell’idea che per negoziare bisogna spaventare le controparti, chiedere dieci per portare a casa tre o quattro, e non è mai sembrato curarsi del colore di queste varie controparti.

Anche su altre questioni Trump può sorprendere. Nel suo primo mandato mise in discussione la presenza militare americana in Europa, ma finì con il rafforzarla. Mise clamorosamente in discussione il primato del dollaro, ma lasciò la Casa Bianca alla fine del 2020 e il biglietto verde era sugli stessi livelli che Trump aveva trovato quattro anni prima.

Nella mente del leader repubblicano esiste soltanto una politica degli Stati, degli interessi e della forza e non una politica delle reti internazionali e delle alleanze ideologiche. A questa impostazione tutti saranno chiamati ad adeguarsi senza sconti. Questo pragmatismo nelle relazioni internazionali che sarebbe imposto dalla rielezione di Trump dovrebbe essere considerato a specchio anche dalle forze di centro e di sinistra.

Egli è forse un cataclisma a parole, ma è molto più incline alla continuità della politica estera americana quando si scende nella prassi. Sul piano internazionale, il Trump 1 non fu affatto un disastro. Per questo presentare alla seconda presidenza Trump come una tragedia e un disastro impareggiabile è sbagliato quanto considerarlo il proprio paladino.

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