Esiste ancora la “maggioranza Ursula”? Il nodo politico rimasto in filigrana è emerso in queste settimane: non si governa l’Europa con due maggioranze. L’idea di averne due interscambiabili è un perfetto inciucio da Prima repubblica italiana.

Ursula von der Leyen ha recentemente compiuto tale switch usando i voti dei patrioti e di altre destre per alcuni voti sulle migrazioni. I socialdemocratici di S&D e i liberali di Renew ne hanno tratto le conseguenze redendo convulsa la fase di conferma della commissione.

Alla fine la fiducia è rotta e von der Leyen azzoppata: sarà una Commissione rissosa proprio quando ci sarebbe bisogno di unità. L’Europa si fa male da sola e questa volta la causa è la presidente stessa: tutti pensano che abbia fatto la “furba”, peccato mortale a Bruxelles.

La politica dei due forni

Non è immaginabile che i Popolari europei usino quella che in Italia chiamavamo “la politica dei due forni”: votare cioè con due maggioranze diverse a seconda dei temi, pretendendo nel contempo di rimanere l’asse centrale del parlamento.

Da almeno due anni esiste una fronda contro la presidente considerata troppo accentratrice e non collegiale. A nessuno piaceva né piace il metodo “solitario” di governo di von der Leyen. Le proteste erano esplose con la nomina di una cittadina americana (Fiona Scott Morton) a un posto-chiave della Commissione: capa economista della direzione generale della Concorrenza.

Non è l’unico caso di nomina di cittadini extra Ue, come ad esempio quella di Simon Mordue, un britannico elevato, dopo la Brexit, a vicedirettore generale della direzione generale Home, cioè «interno e migrazioni». Mordue si è affrettato a procurarsi la cittadinanza irlandese per rimanere a Bruxelles e oggi è vicedirettore generale al SEAE, cioè il “ministero” degli Affari esteri europeo.

Von der Leyen è stata criticata anche per un’altra nomina: quella dell’eurodeputato tedesco, Markus Pieper (Ppe), come inviato speciale per le piccole e medie imprese. Il parlamento europeo si è opposto (per conflitto di interessi) provocando il ritiro della candidatura. A iniziare da Thierry Breton, l’ex commissario dimessosi in polemica, ormai molti mettono in discussione la “moralità politica” della presidente: il trasformismo non è pratica europea, almeno all’apparenza.

Più debole?

Ora ci si chiede quanto la Commissione von der Leyen II sia uscita indebolita dalle trattative per i commissari, che hanno coinvolto anche l’Italia con la vicenda di Raffaele Fitto.

La presidente è abituata a comandare filtrando tutte le decisioni dei commissari, che siano vicepresidenti o no: il suo gabinetto è diventato il vero centro di potere a Bruxelles. Se ciò sveltisce molte pratiche, ingelosisce personalità abituate a contare di più. Certamente ora non potrà continuare in questa maniera e anche in Germania per lei il terreno si è fatto scivoloso per la forza dell’estrema destra filo-nazista che insidia la possibile prossima maggioranza elettorale della Cdu.

La coppia von der Leyen-Weber, una volta avversari ma oggi saldati dal collante Ppe, riuscirà a far passare le proprie decisioni all’Europarlamento? Una Commissione europea indebolita potrà fare da contrappeso a un Consiglio europeo che si annuncia caotico, con leader nazionali deboli e su posizioni differenziate? La solitaria telefonata del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Vladimir Putin è un chiaro segnale di non-cooperazione.

Commissione vs Consiglio

La storia del processo di integrazione europea è piena di conflitti Commissione-Consiglio ma qui si è andati ben oltre. In questo quadro per l’Italia la cosa migliore da fare è attendere gli sviluppi: molto presto si creeranno spazi utili per manovrare e occorrerà essere svelti a coglierli, una qualità che non manca a Giorgia Meloni e nemmeno a Elly Schlein.

Roma è sempre stata una cerniera cruciale per gli europei, soprattutto in alcuni passaggi critici. Basta non essere troppo ingessati. Molto resta da fare per accelerare il processo di integrazione. Esistono coloro che sperano in una marcia a ritroso, verso la fantomatica «Unione delle patrie»: una contraddizione in termini che non può esistere.

Il nazionalismo è nemico dell’unità europea ma le guerre in atto lo fomentano, rendendo tutto più difficile. La vittoria di Donald Trump costringe i riluttanti europei a stringersi attorno alla Ue per non soccombere. Il compito della commissione von der Leyen II è pieno di insidie e proprio per questo quello dell’Italia colmo di possibilità. Da antieuropea, la premier italiana potrebbe trovarsi a influire in una nuova fase di più stretta unione. Paradossi della storia e della politica. 

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