La partecipazione record e la spinta dei giovani consentono all’opposizione di avere una maggioranza. È il momento del riscatto europeista. Ma gli ultraconservatori si aggrapperanno al potere a ogni costo, come conferma di fatto a Domani una figura chiave del Pis, facendo trapelare i piani...
«In Polonia un governo guidato da Donald Tusk – sappiatelo – avrà contro il presidente della Repubblica. Avrà contro la Corte costituzionale. E avrà contro la tv pubblica». Con queste parole, Sławomir Mentzen, il leader dei neofascisti di Konfederacja, prova a ricordarci che bisogna avere paura delle destre autoritarie, quando sentono il potere venir meno, e perciò vi si aggrappano a ogni costo.
Ma poi c’è tutto il resto del paese, c’è oltre il 72 per cento che ha scelto di partecipare al voto, c’è un’affluenza che così non si era mai vista. Ci sono i giovani che si sono raccolti in fila ai seggi, ci sono i polacchi che in Sicilia cantavano in attesa di votare dall’Italia, e tutti gli altri sia dall’estero che in patria, gli europeisti, i non rassegnati.
Ci sono tutte queste teste a dire con il loro voto che oggi la Polonia è soprattutto speranza. Che Varsavia non è Budapest, dove il regime orbaniano si autoalimenta di elezione in elezione. Che il governo indemocratico del Pis, il partito ultraconservatore alleato di Meloni in Europa, può essere scalzato.
Non sarà facile, certo. Mentre corre a prendere un volo per Strasburgo, dove sta per cominciare la sessione dell’Europarlamento, Zdzisław Krasnodębski, uomo del Pis in Europa e consigliere del leader Kaczynski, lascia trapelare a Domani i punti del piano degli ultraconservatori per restare al potere.
La speranza di Tusk
«Viva la Polonia! Viva la democrazia!». In via Kredytowa la Coalizione civica di Donald Tusk ha impiantato il suo quartier generale per seguire le elezioni. Non appena le urne si sono chiuse, domenica sera, gli exit poll di Ipsos hanno proiettato una Polonia in mano all’opposizione: certo, con il Pis ancora primo partito, ma senza margini per governare. Anche perché i neofascisti di Konfederacja, che avrebbero potuto fare da stampella, non sfondano: «Il più grande fallimento della mia vita», lo ha ammesso senza mezzi termini Mentzen questo lunedì.
Così quando Donald Tusk ha messo piede nella sala gremita di supporter, e ha lanciato le sue parole d’ordine – «viva la democrazia!» – la base è esplosa in urla liberatorie: «Donald Tusk! Donald Tusk!». E lui ha rilanciato: «Questa è la fine di una brutta fase! È la fine del dominio Pis!».
Quando finalmente, dopo lunedì notte, lo scrutinio delle schede è stato compleato, l’opposizione ha potuto avere una conferma definitiva di ciò che il sondaggio tardivo e gli exit poll prefiguravano, proiettando per l’opposizione 248 seggi, cioè più dei 231 necessari per avere la maggioranza assoluta al Sejm. I dati reali dicono che la Coalizione civica di Tusk ha incassato il 30,7 per cento, e i suoi alleati Terza via e Lewica (sinistra) rispettivamente il 14,4 e l’8,6. In totale il 53,7 per cento di voti.
Il Pis ha il 35,4 e Konfederacja resta attorno al 7. Il Pis insomma retrocede rispetto alle precedenti elezioni, e si vede sfilar via il potere.
La “Pis fatigue”
E dire che il partito al governo aveva fatto di tutto per riuscire, dalla distribuzione di prebende pre-elettorali alla modifica delle regole (per esempio la distruzione dei voti esteri non scrutinati entro 24 ore).
Questo lunedì gli osservatori internazionali della missione Osce, che hanno dovuto supervisionare il voto polacco, hanno descritto un quadro tutt’altro che equilibrato: «L’influenza del partito di governo sui media pubblici e sulla magistratura è preoccupante. Inoltre il Pis ha avuto un chiaro vantaggio per un abuso di risorse che mette a rischio la separazione tra stato e partito», ha detto Douglas Wake.
Anche i referendum identitari, che non hanno raggiunto il quorum, sono stati utilizzati dal Pis per «eludere i vincoli al finanziamento della campagna elettorale». Condizioni che avvicinerebbero precipitevolmente la Polonia all’Ungheria di Viktor Orbán e alle sue derive autocratiche. Con una differenza chiave: i polacchi domenica hanno reagito.
«Si può dire che la mia generazione abbia fatto la storia nel 1989, ma i giovani l’hanno fatta ora», dice la storica Irena Grudzińska-Gross, arrestata da studentessa nel 1968, poi fuggita negli Usa – ha insegnato a Princeton – e tornata a Varsavia a seguire il voto. Sono i giovani infatti che hanno tirato un calcio elettorale a Jaroslaw Kaczynski e al Pis, scegliendo invece uno stato secolarizzato ed europeista; dai 18 anni in poi, hanno preferito Tusk, e lo confermano i dati: il Pis pare sfondare solo tra gli ultrasessantenni.
«La vittoria dell'opposizione è il risultato di una crescente stanchezza della società nei confronti del governo Pis», fa l’analisi Piotr Buras, a capo dell’ufficio di Varsavia dello European Council on Foreign Relations. «In passato l’attrattiva di generosi sussidi sociali è bastata al Pis per tenere alta la sua popolarità. Ma oggi molti elettori constatano l’uso iniquo dei fondi pubblici e il deterioramento dei servizi, come scuola e sanità sottofinanziate».
Il piano per sabotare Tusk
La vittoria dell’opposizione è anche il risultato di un elettorato consapevole: se il terzo polo polacco non avesse superato la soglia di sbarramento dell’8 per cento, quei voti sarebbero finiti reindirizzati al partito più votato, il Pis.
Il successo di Trzecia droga (“Terza via”) indica che gli elettori hanno voluto evitarlo, e inoltre che l’elettorato moderato ha optato per una forza che comunque sostiene Tusk, piuttosto che per il Pis. Provare a sgretolare il fronte tuskiano proprio partendo dal terzo polo è tra i punti che Zdzisław Krasnodębski, l’eurodeputato Pis consigliere di Kaczynski, contempla per far saltare un governo di opposizione. «Alcuni deputati sono più vicini a noi del Pis», dice.
E il Pis è famoso per le sue spregiudicate campagne acquisiti in aula. Ma questo lunedì Trzecia droga ha respinto questa ipotesi. Ancor più inquietante è l’osservazione di Krasnodębski sul fatto che «non c’è solo la crisi migratoria ma pure le guerre, anche in Israele; saranno tempi difficili e ci serve più unità». Il Pis pensa forse allo stato di emergenza? «No no, ma vedremo, in altri paesi europei potrebbe esserci un attacco terroristico...».
Insomma, la paura come alibi per irreggimentarsi. Nel frattempo, il presidente della Repubblica, Duda, che gioca col Pis, potrà prendere tempo e ostacolare l’opposizione, ad esempio affidando il primo incarico al partito più votato (il Pis) oltre che usando i suoi poteri di veto.
Anche se la transizione dovesse mantenersi nella norma, gli ultraconservatori, tra un iter e l’altro, potrebbero comunque restare al potere fino ai primi di gennaio. Dopodiché – ma questo non lo ammette il Pis, lo dicono gli esperti come Buras – «gli ultraconservatori potranno comunque usare il potere che hanno nelle istituzioni e negli apparati statali per complicare la vita alla nuova coalizione».
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