Dopo la mobilitazione, gli studenti ottengono un incontro per discutere dei rapporti con Israele. Così l’istituzione ha dato legittimità a manifestazioni che altrove finiscono con la repressione
«Abbiamo occupato perché tutto quello che avevamo provato prima non ha funzionato»: a parlare è Thomas (nome di fantasia), uno degli studenti che la settimana scorsa hanno occupato l’università parigina Sciences Po in solidarietà con la Palestina, e che preferisce non rivelare il suo vero nome per timore di subire le intimidazioni che hanno subito molti manifestanti pro Palestina negli scorsi mesi. «Da mesi protestavamo contro la risposta di Sciences Po alla situazione in Palestina, un silenzio che stride fortemente con risposte date in passato ad altre situazioni in cui ci sono state chiare violazioni del diritto internazionale, abbiamo fatto una miriade di azioni diverse e tentato mille volte di aprire canali di dialogo con l’amministrazione, ma abbiamo sempre trovato un muro, mentre chiunque si impegnasse in azioni di dissenso e protesta pacifica si è trovato represso dall’università tramite sanzioni e indagini disciplinari».
La prima occupazione è iniziata nella serata di mercoledì 24 aprile: ispirandosi al movimento che si è sviluppato nelle ultime settimane negli Stati Uniti, un’ottantina di studenti ha allestito tende nel giardino del campus di Sciences Po ed esposto uno striscione con la scritta: “Non ci sono più università a Gaza”. Le richieste avanzate dal Comitato di solidarietà per la Palestina erano tre: la convocazione di un incontro tra l’intera comunità studentesca e l’amministrazione, l’istituzione di un comitato investigativo sui partenariati tra Sciences Po e le università israeliane, e la fine di ogni azione disciplinare avviata nei mesi scorsi contro studenti pro Palestina.
Qualche ora dopo l’inizio dell’occupazione, i poliziotti antisommossa hanno fatto irruzione nel campus e sgomberato gli studenti. Racconta Thomas: «Abbiamo trovato una grossa indisponibilità al dialogo: l’amministrazione ha fatto sapere alla nostra delegazione che c’erano forti pressioni da parte del governo francese, e nel giro di qualche ora, senza dare una vera opportunità al negoziato, il direttore ha permesso ai poliziotti di sgomberare con la forza degli studenti pacifici che stavano esercitando il proprio diritto al dissenso in quello che dovrebbe essere un campus universitario libero da influenze governative. Quindi a mezzanotte e mezzo siamo stati sgomberati dalla polizia, siamo stati trascinati via, sollevati di peso e buttati fuori dal campus».
Il sostegno
Il 25 aprile gli studenti del Comitato di solidarietà per la Palestina si sono dati appuntamento nel campus storico di Sciences Po, a Rue Saint Guillaume. Le immagini degli studenti trascinati fuori la notte prima, e la notizia che Sciences Po aveva autorizzato un intervento della polizia, hanno mobilitato molti altri studenti che si sono uniti alla protesta.
La mattina del 26 aprile, gli studenti che avevano partecipato all’occupazione notturna hanno bloccato l’accesso all’ateneo, mentre centinaia di studenti sono accorsi in sostegno all’occupazione, organizzando un sit-in davanti all’ingresso dell’edificio. La protesta ha quindi iniziato a ricevere una forte attenzione mediatica, aumentata dall’arrivo di Rima Hassan, giurista franco-palestinese candidata alle elezioni europee per La France Insoumise, che ha mostrato il suo sostegno agli studenti che occupavano Sciences Po.
Anche il Centro di ricerche internazionali di Sciences Po (Ceri) ha espresso solidarietà con gli studenti, in un comunicato in cui, prendendo le distanze dall’amministrazione dell’ateneo, ha dichiarato: «In un istituto di insegnamento superiore aperto al mondo, le posizioni degli studenti sull’attualità internazionale sono legittime e la risposta dell’istituzione non può essere quella di chiamare la polizia». Mentre il Comitato di solidarietà per la Palestina negoziava con l’amministrazione di Sciences Po, fuori dall’ateneo continuavano ad arrivare persone, soprattutto studenti di Sciences Po o di altre università della capitale.
«La nostra forza veniva dall’avere tutte quelle persone in strada davanti a noi che facevano vedere quanto non fossimo quella minoranza sovversiva che l’amministrazione voleva farci sembrare, ma una parte consistente della comunità studentesca», continua Thomas, che in quel momento si trovava all’interno dell’università. Nel pomeriggio, fuori dal campus è arrivato un gruppo di manifestanti pro Israele. Alcuni tra questi, come testimoniato dai molti giornalisti sul posto, si sono avvicinati agli studenti cercando lo scontro e scatenando l’intervento della polizia, che li ha poi allontanati dagli studenti, mentre il gruppo di ebrei antisionisti Tsedek si è interposto tra i due gruppi.
Nel frattempo, gli studenti all’interno dell’università sono arrivati a un accordo con l’amministrazione, che ha accettato di organizzare un incontro con l’intero corpo studenti durante il quale discutere anche la questione dei partenariati tra Sciences Po e le università israeliane, e di sospendere i procedimenti disciplinari avviati nel corso dell’ultima settimana di mobilitazione. Un accordo che gli studenti hanno visto come una vittoria, soprattutto per il fatto che l’amministrazione di Sciences Po ha in qualche modo riconosciuto la legittimità del movimento e le sue richieste, e che sperano possa ispirare gli studenti di altre università in Francia e in Europa.
«Per quanto l’amministrazione ci potesse minacciare con l’espulsione, la perdita del nostro diploma, eccetera, quello a cui noi pensavamo, e uno dei motti dell’occupazione, era proprio che non ci sono più università a Gaza», conclude Thomas, «noi possiamo essere messi in condizioni difficili, ma i nostri colleghi palestinesi o sono morti o non potranno mai finire i loro studi, perché Israele ha distrutto le loro università».
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