- «Per i politici ungheresi l’energia di Mosca conta più del sangue ucraino». Così la ministra della Difesa di Praga, seguita a ruota da Varsavia, punta il dito sulle ambiguità di Viktor Orbán verso Vladimir Putin e fa saltare l’incontro del gruppo di Visegrad.
- Pensare che su questo salti il gruppo in sé è illusorio, sia perché l’alleanza non è mai stata d’acciaio, ma tattica e a geometria variabile. E anche perché Varsavia è consapevole da tempo dei rapporti del governo ungherese con la Russia. Il gruppo è sopravvissuto alle posizioni di Orbán durante l’invasione della Crimea, e fino a inizio marzo l’ex ministro degli Esteri polacco, emanazione del suo governo a Strasburgo, ancora lo considerava un alleato nell’orizzonte futuro.
- Ma è vero che in questi giorni di guerra la relazione politica tra governo polacco e ungherese incontra sempre più ostacoli. La ragione, più che a Kiev, sta a Washington e Bruxelles, che stanno adottando una strategia comune: lo vedremo dalle prossime mosse della Commissione. Biden e Ue trattengono sempre più a sé la Polonia, sparigliando il suo fronte con l’Ungheria.
«Per i politici ungheresi l’energia di Mosca conta più del sangue ucraino». Così la ministra della Difesa di Praga, seguita a ruota da Varsavia, punta il dito sulle ambiguità di Viktor Orbán verso Vladimir Putin e fa saltare l’incontro di oggi del gruppo di Visegrad.
Ma pensare che su questo salti il gruppo in sé è illusorio, sia perché l’alleanza tra Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia non è mai stata d’acciaio, ma tattica e a geometria variabile. E anche perché Varsavia è consapevole da tempo dei rapporti del governo ungherese con la Russia: non è mai stato un ostacolo insormontabile per una intesa a Bruxelles su scopi condivisi. Ma è vero che in questi giorni di guerra la relazione politica tra governo polacco e ungherese incontra sempre più ostacoli. La ragione, più che a Kiev, sta a Washington e Bruxelles. Amministrazione Usa e Commissione Ue trattengono sempre più a sé la Polonia, sparigliando un suo fronte con l’Ungheria.
Le illusioni di Visegrad
La cooperazione regionale di Visegrad nasce nel 1991, proiettata verso l’Europa. Quattro anni fa il premier ungherese ha detto: «Nel 1990 l’Europa era il nostro futuro, ora siamo noi il futuro dell’Europa», e tenta così di certificare una torsione del gruppo. Non è più europeizzarsi, l’obiettivo, ma dettare i propri interessi. Il punto è che gli interessi, come gli andamenti economici e la cultura politica delle quattro capitali, non convergono: Visegrad si configura come una alleanza tattica. In questo sta la sua forza, e la sua debolezza. «Il fatto che il premier ungherese tentasse di “privatizzare” Visegrad, cioè imporre una propria agenda egemonizzandolo, è stato vissuto con insofferenza», dice da Praga il giornalista Martin Ehl. «Ora che in Repubblica Ceca il nuovo governo è ancor più distante da Orbán e filo-Ue, la cosa si accentua». Il punto di massima coesione ideologica tra i quattro governi viene raggiunto nella crisi dei rifugiati del 2015, con il rifiuto di una politica di accoglienza Ue. Il gruppo resiste al conflitto in Ucraina quando nel 2014 la Russia invade la Crimea: perdura nonostante le discrasie tra una Polonia che all’epoca è guidata dal filo-Ue Donald Tusk, e un’Ungheria che sarebbe stata pronta a spartirsi pezzetti di Ucraina con Mosca; è quanto rivela, nel 2019, un deputato del partito di Tusk, al quale pare Orbán avesse proposto il piano, ricevendo un no. A Varsavia è chiaro chi sia il premier ungherese, e le sue complicità con Putin, ben prima del 24 febbraio. Il tema dell’ancoraggio alla Nato è stato oggetto di discussione interna quest’estate, quando i due governi lavoravano a un’alleanza politica europea.
Guerra e “strategia Biden”
Ma non è stato il rapporto con Mosca a impedire il matrimonio politico. A guerra iniziata, nella prima metà di marzo, l’ex ministro degli Esteri polacco Witold Waszczykowski, oggi eurodeputato ed emanazione del governo polacco in Ue , continuava a ipotizzare che una alleanza con Orbán fosse l’orizzonte futuro. Per lui, se i conservatori (dove siede il suo partito con Fratelli d’Italia), Fidesz e i sovranisti di ID, Lega compresa, non hanno trovato un accordo entro gennaio, è per la competizione interna «degli italiani» cioè Meloni e Salvini. L’operazione dei popolari europei, che alle elezioni di metà mandato hanno cooperato coi conservatori lasciando a margine gli ungheresi, riflette una attitudine sempre più forte a Washington e Bruxelles. Nonostante le trasgressioni allo stato di diritto da parte di entrambi i governi, questa estate Biden ha invitato al suo summit delle democrazie il premier polacco e non quello ungherese. Già con la “crisi Polexit”, e ancor più ora per imperativi di sicurezza, Varsavia si è legata sempre più a Washington, che ricambia. La Commissione Ue con la guerra sposa la strategia di Biden: con l’argomento dell’accoglienza dei rifugiati e della sicurezza, Bruxelles è indulgente verso l’illiberalismo del governo polacco. Stando ai rumor, che l’eurodeputato Daniel Freund conferma, la Commissione approverà il piano di Recovery polacco ma non ungherese; e quando attiverà il meccanismo che condiziona i fondi alla rule of law, comincerà con l’Ungheria.
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