«Ci sono molti paesi che guardano al protocollo con l’Albania, ci siamo fatti promotori di una riunione di paesi che la pensano come noi, e Ursula von der Leyen va ringraziata perché ci ha aiutati in questi anni», ha detto Giorgia Meloni alla vigilia del Consiglio europeo.

Anche stavolta l’Italia è l’apripista, ma durante la pandemia era stata ispiratrice di un meccanismo di solidarietà; nell’èra Meloni e con un’Europa che slitta a destra (a cominciare dalla Commissione europea), diventa sperimentatrice di disumanità. «Con l’inizio delle operazioni del protocollo tra Italia e Albania, potremo trarre lezioni da questa esperienza nella pratica», ha detto von der Leyen ai leader in vista del summit di questo giovedì, intercettando i gradimenti dei governi nei quali l’estrema destra è azionista di maggioranza – come l’Olanda dei successi di Geert Wilders – e il panico elettorale di quelli che l’estrema destra la sentono alle calcagna.

A cominciare dalla Germania che tanto influenza e orienta la presidente: dopo le elezioni regionali, lo stesso governo Scholz ha reagito all’avanzata dei postnazisti tirando un colpo mortale alla libertà di circolazione e a Schengen; non c’è troppo da stupirsi che in questo contesto la stessa ministra degli Interni socialdemocratica Nancy Faeser si entusiasmi con von der Leyen su un cambio del sistema di rimpatri.

Dietro le «soluzioni innovative» delle quali Commissione e Consiglio discutono, c’è il ben poco innovativo trattamento disumano dei lager fuori confine. E se le «soluzioni innovative» non sono compatibili con il diritto, ecco che von der Leyen si propone di mutare le regole.

Fuori dall’Ue, pure il laburista britannico Keir Starmer si è detto interessato all’”esperimento albanese”: ormai solo su palazzo della Moncloa sventola una bandierina di contrarietà. Ad agitarla è il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez, che con la nuova vicepresidente di Commissione Teresa Ribera avrà in Ue il compito solitario della controtendenza.

Il dibattito tra governi

Questo giovedì si tiene il Consiglio e la delegazione italiana, in compagnia di quella danese e olandese, ha dato appuntamento nei suoi uffici anche agli altri che vogliano discutere di «soluzioni innovative».

Il governo Meloni – che ha esibito le prove generali della deportazione di migranti in celle prefabbricate in Albania proprio alla vigilia di questo vertice – punta a dare un versante europeo all’operazione anzitutto tenendo insieme i 15 stati membri che a maggio scorso (prima delle europee) in una lettera avevano perorato «new solutions», «soluzioni innovative», che nella pratica si declinavano anche come «trasferimenti dei richiedenti asilo»; all’epoca a firmare furono Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Grecia, Italia, Cipro, Lettonia, Lituania, Malta, Olanda, Austria, Polonia, Romania e Finlandia. Di quella lettera si trova eco anche nel messaggio di von der Leyen ai governi in vista del Consiglio odierno: «percorsi innovativi», ha preso a chiamarli pure lei.

L’Olanda di Wilders primo partito è entusiasta. «Per il Ppe quello albanese è l’esempio», esulta (e esalta) Antonio Tajani. Il governo greco nota che l’esperimento è rivolto a un numero piccolo di persone: per Atene servono soluzioni di portata europea. Non si discute tanto se l’esperimento sia consono a valori e diritti europei, quanto se sia scalabile.

Fino a tempi recenti l’Ue era considerata una potenza normativa, capace cioè di promuovere globalmente diritti; ora fa l’apripista nello smantellarli, come confermato di recente dal premier polacco Donald Tusk: proprio come hanno fatto prima di lui gli ultraconservatori del Pis, vuol derogare al diritto di asilo con la complicità di Bruxelles.

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