- In Francia il campo progressista si dirige verso le presidenziali come verso una sconfitta certa e si sta condannando all’irrilevanza: non bastano le dita di una mano per elencare tutti i candidati, e Anne Hidalgo, la frontrunner del partito socialista che una volta governava o almeno si opponeva, ora sfiora il tre per cento.
- Restano i giovani a scommettere tutto sull’unione e a indire dal 27 al 30 gennaio una primaria dal basso, per scegliere una candidatura unica, di sinistra ecologista. «Noi siamo quelli che nessuno ascolta», dice Cleo Belaiche della “primaire populaire”. I giovani sono quelli che la classe politica ha deluso di più, che alle amministrative si sono astenuti e lo faranno alle presidenziali.
- Ora che il disastro a sinistra è lampante, anche Hidalgo converge sull’idea delle primarie del fronte unito. Il verde Yannick Jadot pensa piuttosto a un’alleanza; purché sia lui il candidato.
In Francia il campo progressista si dirige verso le presidenziali come verso una sconfitta certa e si sta condannando all’irrilevanza: non bastano le dita di una mano per elencare tutti i candidati, e Anne Hidalgo, la frontrunner del partito socialista che una volta governava o almeno si opponeva, ora sfiora il tre per cento nei sondaggi. Restano i giovani a scommettere tutto sull’unione e a indire una “primaire populaire”, una primaria dal basso, per scegliere una candidatura unica, di sinistra ecologista. I giovani: proprio quella fascia di francesi che la classe politica ha deluso di più, che alle amministrative si sono astenuti e lo faranno alle presidenziali. A meno che il piano non vada a segno. Ora che il disastro è lampante, anche Hidalgo converge sull’idea delle primarie del fronte unito.
I giovani per l’unione
«Noi siamo quelli che nessuno ascolta e che però hanno tanto da dire». Cleo Belaiche parla a nome delle ragazze e dei ragazzi che come lei sono attivi da maggio per la “primaria popolare”. «Non volevamo rassegnarci a una sconfitta certa. Abbiamo chiesto alle forze politiche di sedersi con noi attorno a un tavolo e di individuare alcuni temi condivisi da tutti». Con un piccolo manifesto in dieci punti, che mette insieme «istanze ecologiste e giustizia sociale», il nucleo di giovani fondatori, le associazioni, i «militanti per il clima, le femministe», hanno raccolto firme per le primarie. Sono arrivati a 280mila. «E il sostegno arriva dai francesi di ogni età; molti hanno militato in un partito in passato ma vogliono impedire il tracollo». Le primarie popolari sono già fissate: potrà votare chiunque si riconosca nella piattaforma di idee condivise, il voto si terrà online dal 27 al 30 gennaio, e servirà a individuare una candidatura di rassemblement per le presidenziali, sulla quale convergere. Ma chi è disposto a convergere? Ed è questo il punto. Tanto che la scadenza per dare la disponibilità a sottoporsi alla primaria è slittata: prima era il 30 novembre, ora è il 15 gennaio.
Il fronte frantumato
Mentre i candidati di destra, estrema o centrista che sia, occupano la vetta dei sondaggi per le presidenziali, a sinistra il rischio di non superare neppure il primo turno è concreto. I candidati sono tanti e pochi di loro sono in forma, politicamente parlando. Jean-Luc Mélenchon era riuscito, al primo turno nel 2017, a sfiorare il venti per cento, capitalizzando la crisi di consensi dei socialisti: usciti con le ossa rotte dall’era di François Hollande presidente, con Benoît Hamon all’epoca sono finiti al 6 per cento. Ora Mélenchon, con la France insoumise, ci riprova.
Ma dai sondaggi pare che per l’Eliseo riuscirà a mantenere a malapena la metà della percentuale guadagnata la volta scorsa. Gli ecologisti la loro primaria l’hanno fatta, e Yannick Jadot, il vincente dei Verdi, dato ora attorno all’8 per cento, è lo stesso che la scorsa volta rinunciò alla corsa per convergere su Hamon, che andò malissimo. A sinistra, sono candidati anche Arnaud Montebourg, ex ministro dell’era Hollande, e Fabien Roussel del Partito comunista francese. A oggi nessuno di questi nomi supera il 10 per cento nei sondaggi.
La svolta di Hidalgo
«A novembre, quando abbiamo fatto il punto su chi intendeva partecipare alle primarie popolari, Hidalgo, Mélenchon e Jadot avevano detto no. Ora Hidalgo ha cambiato idea», prende atto Cleo Belaiche. Hidalgo, la sindaca di Parigi, che in città ha già dato segno di voler integrare la piattaforma socialista con le istanze ambientaliste, a inizio dicembre ha fatto i conti con la previsione di un risultato assai debole alle presidenziali. I suoi detrattori le rimproverano di parlare alla Francia cittadina, alla sinistra della capitale, piuttosto che a tutto il resto del paese, fatto anche di borghi e campagne. Gli attacchi arrivano anche dal suo stesso campo; tra i più velenosi, quelli di Ségolène Royal. Così la scorsa settimana la sindaca per rompere l’isolamento si è rivolta ai competitor della sinistra ed ecologisti, proponendo una primaria insieme per una candidatura unica. «Ci ha detto che l’iniziativa potrebbe convergere con la nostra», dicono i portavoce della Primaire Populaire. «I primi a chiederci di unirci, e a raccogliere firme, sono stati i giovani», ha riconosciuto Hidalgo nel comizio a Perpignan.
Previsioni e astensioni
L’unico a trovarsi in linea con l’obiettivo unificante di Hidalgo è per ora Montebourg, ma non sarà lui a fare la differenza. Può farla invece il campo ecologista, anche se non nella direzione delle primarie di campo. Lo staff di Yannick Jadot conferma che «l’idea delle primarie insieme non è una soluzione, il punto è un progetto comune». Jadot, che nel campo progressista è tra quelli coi sondaggi più favorevoli, punta piuttosto a far convergere Hidalgo sul suo nome. L’idea è quella di un leader green, in una Europa che si orienta sempre più al verde, e di una «donna a Matignon», dunque una Hidalgo premier, nel palazzo di governo.
A sinistra fa discutere anche l’ipotesi Taubira: la socialista Christiane Taubira, ex ministra della Giustizia, stando alle rilevazioni emoziona più dei nomi già in campo. E lei tentenna: «Quando le abbiamo chiesto se avrebbe partecipato alle primarie popolari, ci ha detto che non era in grado di dire né sì né no», dicono gli organizzatori. Dunque forse. Comunque vada, sarà un disastro, prevede il politologo Yves Sintomer, che fa la spola tra le università di Parigi 8 e di Oxford: «La crisi della sinistra nel mio paese è ormai strutturale», dice. «Ogni partito fa il suo piccolo gioco politico. Certo, anche le persone possono fare la differenza, ma tra i nomi di cui si parla nessuno si staglia né è capace di fare la differenza». Alle scorse elezioni amministrative l’81 per cento dei più giovani ha ritenuto più appetibile l’astensione, e per le presidenziali più della metà dei francesi tra 18 e 30 anni prevede di non votare. Più la sinistra si frantuma, più aumenta la distanza tra i ragazzi e chi in politica li rappresenta.
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