«Ho tre priorità», ha detto questo lunedì il nuovo ministro degli Interni francese, dopo aver ricevuto le consegne dal suo predecessore Gérald Darmanin. «J’ai trois priorités : rétablir l’ordre, rétablir l’ordre, rétablir l’ordre».

Ristabilire l’ordine: il pugno duro di Bruno Retailleau descrive bene – come una sineddoche, come una parte che racconta il tutto – la natura complessiva del governo Barnier. Non è soltanto un governo di destra, guidato da un repubblicano e tenuto insieme da quel che resta del macronismo; è soprattutto un governo costitutivamente sotto scacco dell’estrema destra, perché senza il beneplacito del Rassemblement National non avrebbe vita.

Questo lunedì l'esecutivo formato e guidato da Michel Barnier ha avuto il suo jour 1, il primo giorno cominciato con una colazione a Matignon e proseguito con il primo consiglio dei ministri.

Ma Marine Le Pen – e con lei il fido Jordan Bardella – era pronta a minacciare la fine del governo prima ancora che iniziasse. Perciò sia la scelta dei ministri da parte di Barnier, sia le scelte annunciate poi dai ministri di Barnier, dipendono dall’assenso tacito della leader di estrema destra.

Governo sub condicione

La sinistra si attrezza infatti per la mozione di censura.

Il Fronte popolare è l’unione di sinistra ecologista che è arrivata prima alle elezioni del 7 luglio, nelle quali peraltro ha praticato massicciamente la desistenza per impedire che i seggi andassero all’estrema destra. Ma Emmanuel Macron – che per nominare un premier ha impiegato nove settimane – ha misconosciuto il Fronte e ha assegnato il compito di formare un governo a Barnier, un repubblicano, dunque non l’espressione di una forza arrivata in testa, né di un partito che aveva fatto barriera contro Le Pen: in queste elezioni i Républicains hanno anzitutto demonizzato la sinistra, mettendo in cantina il cordone sanitario.

Macron ha distribuito le carte secondo regole del gioco ben diverse da quelle emerse alle urne, dato che qui i francesi hanno mostrato di voler bloccare Le Pen e fare spazio al Fronte popolare. Il governo Barnier, composto e sostenuto da repubblicani e macroniani, a questo punto dipende dal lasciapassare del Rassemblement National.

Il presidente che nel 2017 prometteva di fermare l’ascesa di Le Pen sta condividendo con lei la leva decisionale.

Le scelte destrorse

Ecco perché si assiste a un paradosso: più i ministri vogliono apparire duri e spingono a destra l’agenda, più l’esecutivo appare in tutta la sua debolezza, perché è ridotto a rincorrere la destra estrema.

Le Pen ha potuto decidere che nel governo non ci fossero i suoi avversari politici, come Xavier Bertrand, e la presenza nell’esecutivo di Retailleau – figura compatibile col lepenismo su temi come la preferenza nazionale – incarna questo adattamento. Tra i suoi annunci da ministro: «Stop immigrati illegali, cacciamone di più».

A inizio ottobre Barnier dovrà presentare il suo orizzonte politico, e dal jour 1 ad allora avrà anzitutto un obiettivo: non inimicarsi l’RN, pena la sfiducia. Dal canto suo Le Pen va dicendo che il governo non avrà vita lunga, Bardella fa esercizio di ventriloquismo tacciando l’esecutivo di obsoleto macronismo, e così i due aumentano la pressione sulla squadra.

Mentre i volti noti della Macronie, a cominciare da Édouard Philippe, si tengono fuori dall’esperimento puntando sia sulla vita breve del governo che sulle presidenziali, intanto l’esecutivo Barnier si esercita a conciliare estrema destra e agenda neoliberale. Come quando la ministra del Lavoro Astrid Panosyan-Bouvet non rinnega la riforma delle pensioni e sostiene: «Si può migliorare».

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