Con i Trattati firmati il 25 marzo del 1957 Roma, da patria del nazionalismo diventò sede dell’europeismo. Un’eredità che non possiamo dimenticare
L’Europa è nata in Italia. Non solo per l’alto contributo ideale e culturale che venne dal Manifesto di Ventotene, ma anche sul piano formale e sostanziale con l’atto di costituzione della prima forma di futura unione. Il 25 marzo del 1957 nella sala degli Orazi e dei Curiazi del Campidoglio i sei paesi fondatori procedettero al varo della Comunità economica europea che rappresentò il fulcro del disegno europeista, a coronamento del primo passaggio, ossia la Ceca istituita nel 1951 a Parigi.
La condivisione del “carbone e dell’acciaio” tra stati ex belligeranti mirava a sgomberare il campo da conflitti per le risorse naturali funzionali all’industria militare specialmente sul confine franco-tedesco.
Su iniziativa di Jean Monnet si lavorò per estendere la cooperazione su materie economiche, dei trasporti e appunto dell’energia, in un contesto in cui il contributo statunitense non fu decisivo e in cui la Gran Bretagna decise di non aderire proprio per non alienarsi il legame privilegiato con Washington.
L’Europa sullo Stretto di Messina
I lavori propedeutici alla nascita della Cee si tennero a Messina nel 1955, nell’abitazione del ministro degli esteri Gaetano Martino, futuro presidente del parlamento europeo. Nonostante non avesse avuto un ruolo attivo nei negoziati che portarono a questo risultato, fu Giovanni Gronchi, primo presidente della Repubblica italiana espressione della Democrazia cristiana, il capo di Stato ospitante al momento della firma dei Trattati di Roma.
Per il governo italiano a siglare gli storici atti furono il presidente del Consiglio dei ministri Antonio Segni e lo stesso Martino, esponente del Partito liberale. Nei saloni del Campidoglio a firmare i documenti su comunità economica e dell’energia atomica (!) che ancora rappresentano il momento più alto, costitutivo, della Comunità europea, c’erano i rappresentanti di Francia, Germania Ovest, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo, i cosiddetti Inner Six, il cuore pulsante da cui partì l’iniziativa per l’Europa unita, direttamente implicati sin dall’inizio nelle due Grandi guerre e sul cui terreno si sono consumate alcune tra le battaglie più cruente.
La celebre dichiarazione di Robert Schuman del 1950 («la solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile») sanciva l’avvio dell’approccio funzionalista, gradualista e anche molto pragmatico e realista per giungere a un’Europa unita.
Un processo che intendeva includere la politica estera e di difesa, arenatasi nel 1954 allorché la Francia non ne ratificò l’adozione. L’obiettivo del Trattato era di stabilire una nuova entità sovranazionale in grado di consentire ai paesi aderenti di collaborare per integrare i rispettivi mercati, incentivando gli scambi ed eliminando progressivamente le barriere commerciali.
Il «mercato comune» da quel momento agì sulla libera circolazione di merci, capitali e persone ed effettuò dunque un passo decisivo verso l’unificazione politica – un’«unione ancora più stretta» – dell’Europa. La «libera concorrenza» e la graduale abolizione delle restrizioni legate gli scambi internazionali attraverso una politica commerciale comune si sommarono al divieto di stipulare accordi restrittivi e la messa in opera di sussidi governativi nazionali che possano pregiudicare il mercato fra i sei paesi membri.
La conseguente unione doganale, oltre ad abolire le quote sulle importazioni e a stabilire un costo estero comune sulle importazioni da paesi non Cee, generò una politica commerciale comune, distinguendola quindi nettamente da un mero accordo di libero scambio. Il Trattato Cee varò inoltre una serie di politiche comuni, a sancire il salto di qualità politico e istituzionale rispetto a un patto commerciale.
Azioni politiche congiunte furono stabilite in settori strategici quali i trasporti e la politica agricola (Pac) e dagli anni Settanta anche nel settore delle regioni e in quello ambientale nonché nella sfera sociale. Infatti, oltre all’aspetto strettamente commerciale, tra le priorità della Cee vi era quello di ridurre il divario economico e sociale fra le aree dei paesi membri, di attenersi ai valori e principi enunciati nella Carta delle Nazioni unite e lavorare per il mantenimento della pace.
L’Europa della solidarietà di fatto
Proprio Schuman, infatti, aveva sottolineato l’audacia necessaria a tutelare la pace mondiale che «non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano». E, con molta efficacia, delineò il lungo e operoso percorso necessario per addivenire alla futura Europa unita, la cui costruzione «non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».
Dal punto di vista istituzionale, il Trattato istituì la Banca europea per gli investimenti (Bei), con l’obiettivo di favorire la crescita economica; fu inoltre creata la Commissione, diretta successione dell’Alta Autorità inaugurata a Parigi. L’organo esecutivo, in base ai trattati, proponeva al Consiglio dei ministri (art. 145 del Trattato) le
decisioni da assumere, previa audizione e parere dell’Assemblea. Quest’ultima, che si riunì per la prima volta nel 1958 e che a partire dal 30 marzo 1962 avrebbe assunto la denominazione di parlamento europeo, proprio sul versante della rappresentanza subì coi Trattati di Roma un importante cambiamento di assetto: non solo perché crebbe in termini numerici, giungendo a 142 membri, ma soprattutto perché fu disposta l’elezione diretta dei suoi membri (sebbene questa norma abbia poi trovato effettiva applicazione solo a partire dal 1979).
La natura costitutiva, genetica, della futura Unione europea, nata da trattati intergovernativi e non da una convenzione o un’assemblea costituente, ne ha segnato il percorso. In ogni caso, i documenti approvati a Roma ressero le istituzioni europee fino alla riforma approvata con il Trattato di Lisbona, dopo per l’appunto il fallimento della convenzione per l’approvazione di una Costituzione europea.
Destino comune
Nella storia europea politica e istituzionale, l’Italia ha giocato un ruolo centrale, non ha senso dire “l’Europa (ci) chiede, dispone, ecc.”, quasi fosse un’entità estera. L’Italia è l’Europa e questa non esisterebbe senza la penisola. In qualche modo, come visto, possiamo dire che l’Europa è nata sullo Stretto di Messina.
I Trattati del 1957 furono siglati a Roma per varie ragioni, ma ebbero un significato simbolico cruciale di rinnovato afflato democratico contro il passato autoritario, considerando il ruolo geopolitico di “Roma e del fascismo”, l’asse diplomatico-militare Roma-Berlino e perché non potevano essere ospitati né in Francia né in Germania. L’Europa dunque oggi chiama, l’Italia risponda in misura adeguata alla sua storia.
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